VI Domenica di Pasqua Anno B

Posté par diaconos le 4 mai 2021

Non c’è amore più grande che dare la vita per quelli che ami

6 DOMENICA DI PASQUA

# L’11 luglio 2017, Papa Francesco ha introdotto l’offerta della vita come uno dei casi nel processo di beatificazione e canonizzazione. Il motu proprio prende il titolo dalle parole di Gesù riportate nel Vangelo secondo San Giovanni: « non c’è amore più grande che dare la vita per coloro che si ama » (Gv 15,13). Certamente, l’offerta eroica della propria vita, suggerita e sostenuta dalla carità, esprime una vera, piena ed esemplare imitazione di Cristo, e per questo merita quell’ammirazione che la comunità dei fedeli è solita riservare a coloro che hanno accettato volontariamente il martirio del sangue o hanno esercitato le virtù cristiane a livello eroico.

Maiorem hac dilectionem (latino per « [Non c'è] amore più grande ») è una lettera apostolica in forma di motu proprio emessa l’11 luglio 2017 da Papa Francesco. Introduce l’ »offerta della vita » come uno dei casi nella procedura di beatificazione e canonizzazione. Riguarda i cristiani che « hanno offerto volontariamente e liberamente la loro vita per gli altri e hanno perseverato in questa intenzione fino alla morte ».

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Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo San Giovanni

09 Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi. 10 Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11 Questo vi ho detto, affinché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. 12 Questo è il mio comandamento: Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. 13 Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per coloro che si amano.

14 Voi siete miei amici se fate quello che vi comando.
15 Non vi chiamo più servi, perché un servo non sa quello che fa il suo padrone; vi chiamo amici, perché tutto quello che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. 16 Voi non avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho reso responsabili, perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga. Allora qualsiasi cosa chiederete al Padre nel mio nome, ve la darà. 17 Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri. «  (Gv 15,9-17)

Dio è amore

« Dio è amore. » Queste tre piccole parole ci rivelano la vera natura di Dio. Dio è amore, prima di tutto all’interno della sua stessa natura divina composta da tre persone che non cessano di comunicare tra loro, che non fanno altro che amarsi.

Dio ci ha creato a sua immagine e somiglianza. Siamo esseri fatti per amare e per essere amati. La tragedia è proprio quando questo amore manca, quando è mal dato o mal ricevuto. I media sono pieni di queste storie d’amore iniziate male o finite male…

Gesù ci ha lasciato, come un testamento, due grandi affermazioni : « Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi e Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi ». Che immensa verità! Che enorme felicità !

Per questo Gesù può dire ai suoi discepoli : « Amatevi gli uni gli altri », Amatevi gli uni gli altri con quell’amore che ricevete dal Padre e che io vi ho mostrato attraverso le mie parole, le mie azioni e tutta la mia vita, compresa la mia morte e risurrezione.

Come amarsi l’un l’altro ?

In questo settore, non ci sono ricette pronte. I Vangeli ci mostrano l’amore del Signore per gli uomini: il suo amore è universale, cioè è offerto a tutti senza alcuna esclusione. Quando amiamo veramente e quando sappiamo di essere amati, cresciamo e l’altra persona si sente sistemata nella vita. Sta a noi fare lo stesso !

Guardiamo come l’amore scende da Dio: il Padre ama Gesù, Gesù ci ama e noi, su sua richiesta (Vangelo), cui fa eco Giovanni (Seconda Lettura), cerchiamo di amarci gli uni gli altri. Cerchiamo di farlo alla maniera di Dio, come Dio stesso e suo Figlio hanno fatto con noi. Questo significa amarsi l’un l’altro abbondantemente, come fece Gesù, anche fino a dare la vita se necessario.

Amare fino al punto di dare la vita. « Questo è il mio corpo dato, il mio sangue versato; fate questo in memoria di me, fate questo come me! « La misura dell’amore è dare senza misura ». Amatevi l’un l’altro…. . Chi devo amare ? Per chi sono responsabile ? Chi si aspetta qualcosa da me ? Qual è il mio atteggiamento verso chi mi circonda, la mia famiglia, i miei colleghi di lavoro ?

L’apostolo Pietro (prima lettura) fu il primo a stupirsi, insieme agli ebrei che lo accompagnavano, nel vedere che il centurione dell’esercito reale si gettava in ginocchio e che anche i pagani ricevevano il dono dello Spirito in abbondanza. Dio dà senza meschinità, generosamente, abbondantemente e ci invita a fare lo stesso.

Siamo chiamati, con quello che siamo e dove siamo, a dare, a donarci e a perdonare… e a ricominciare senza mai fermarci. Che il nostro cuore sia la misura del cuore di Dio! E che la nostra mano, se possibile, sia la stessa! Non ci pentiremo mai di essere stati buoni e anche troppo buoni. Ma ci pentiremo sempre di aver chiuso la nostra mano e il nostro cuore quando gli altri li hanno aperti per ricevere da noi.

« Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi… Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi ».

Diacono Michel Houyoux

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◊ Maranantha (Italia) : clicca qui pereggere l’articolo → VI Domenica di Pasqua Anno B 

◊  Qumran  : clicca qui pereggere l’articolo →  Testi – VI Domenica di Pasqua (Anno B)

 Padre Fernando Armellini

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Lundi de la sixième semaine de Pâques

Posté par diaconos le 3 mai 2021

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# L’Évangile selon Jean est le dernier des quatre Évangiles canoniques du Nouveau Testament. La tradition chrétienne l’a attribué à l’un des disciples de Jésus, l’apôtre Jean, fils de Zébédée. En effet, selon Philippe Rolland, les premiers Pères de l’Église sont unanimes à affirmer que cet Évangile est le dernier des quatre dans le temps et qu’il a été rédigé par Jean. Ce sont en particulier, Irénée de Lyon mort en 210, Clément d’Alexandrie mort en 211, et Origène mort en 245. Sans compter Marcion mort en 160 qui n’est pas un Père de l’Église.

Cette hypothèse est aujourd’hui rejetée par la plupart des historiens, qui voient dans ce texte l’œuvre d’une « communauté johannique », à la fin du Ier siècle, dont la proximité avec les événements fait débat. Ce texte est rédigé en grec, tout comme les trois autres évangiles canoniques, dits « synoptiques », mais il s’en démarque par sa composition, son style poétique, sa théologie, et probablement par ses sources3, ainsi que par quelques épisodes singuliers, à l’instar des Noces de Cana ou encore de la « femme adultère ». Dans la doctrine trinitaire, l’Évangile selon Jean est le plus important en matière de christologie, car il énonce implicitement la divinité de Jésus, qu’il décrit comme le « Verbe de Dieu » incarné .

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De l’Évangile selon saint Jean

06 Jésus lui répond : « Moi, je suis le Chemin, la Vérité et la Vie ; personne ne va vers le Père sans passer par moi. 07 Puisque vous me connaissez, vous connaîtrez aussi mon Père. Dès maintenant vous le connaissez, et vous l’avez vu. » 08 Philippe lui dit : « Seigneur, montre-nous le Père ; cela nous suffit. »

09 Jésus lui répond : « Il y a si longtemps que je suis avec vous, et tu ne me connais pas, Philippe ! Celui qui m’a vu a vu le Père. Comment peux-tu dire : “Montre-nous le Père” ? 10 Tu ne crois donc pas que je suis dans le Père et que le Père est en moi ! Les paroles que je vous dis, je ne les dis pas de moi-même ; le Père qui demeure en moi fait ses propres œuvres.

11 Croyez-moi : je suis dans le Père, et le Père est en moi ; si vous ne me croyez pas, croyez du moins à cause des œuvres elles-mêmes. 12 Amen, amen, je vous le dis : celui qui croit en moi fera les œuvres que je fais. Il en fera même de plus grandes, parce que je pars vers le Père, 13 et tout ce que vous demanderez en mon nom, je le ferai, afin que le Père soit glorifié dans le Fils. 14 Quand vous me demanderez quelque chose en mon nom, moi, je le ferai. (Jn 3, 6, 14)

Jésus révéla la parfaite liberté de l’Esprit dans son action

 Par ce contraste profond entre la chair et l’Esprit, reproduisant nécessairement chacun son semblable, Jésus expliqua et motiva la sentence qui précède. Le mot chair désigne l’homme naturel, tel qu’il naît, grandit et vit, depuis que, par la chute, le péché a envahi notre humanité .

Le mot est pris ici dans son sens moral mais il renferme, en outre, la notion de l’infirmité, de la souffrance et de la mort qui sont la suite du péché. Or, d’un tel homme assujetti à la chair, il ne peut naître que des êtres en tout semblables à lui.

Ce qui est sous l’action puissante et créatrice de l’Esprit de Dieu est un être de nature spirituelle affranchi de la domination de la chair pénétré et dirigé par le même principe qui lui a donné la vie, le Saint-Esprit. Jésus parla d’êtres personnels.

Pour dissiper si possible l’étonnement de Nicodème, Jésus décrivit l’action de l’Esprit par une comparaison empruntée à la nature. Cette comparaison s’offrait à lui dans le terme même qui, en hébreu et en grec, désigne l’esprit et qui signifie en même temps vent. Il personnifie le vent (il souffle où il veut) et fit remarquer qu’on le constata par ses effets (le bruit), bien qu’on ne sache ni d’où il vint ni où il alla.

Il en est de même de l’œuvre de l’Esprit ; celui en qui elle s’accomplit a conscience de la transformation qui s’opère en lui, il la constate par ses effets, mais il ignore de quelle manière elle s’accomplit. Toute vie est un mystère.

Nicodème demanda ; « Comment  ? »  À cette question, il ne saurait y avoir de réponse propre à satisfaire une curiosité tout intellectuelle. Qu’il se replia sur lui-même qu’il s’arrêta au fait d’expérience et qu’il se demanda : « Suis-je né d’en haut ? »

Par l’image qu’il eut choisie, Jésus révéla la parfaite liberté de l’Esprit dans son action : «  Il souffle où il veut  », et souvent là même où les personnes le soupçonnent le moins. Jésus enseigna encore par la même image que ceux en qui cet Esprit opère ne savent pas jusqu’où il les conduira. Il ouvre ainsi devant eux de grandes et glorieuses perspectives.

Pour dissiper si possible l’étonnement de Nicodème, Jésus décrivit l’action de l’Esprit par une comparaison empruntée à la nature. Cette comparaison s’offrit à lui dans le terme même qui désigne l’esprit et qui signifie en même temps vent. Il personnifie le vent (il souffle où il veut) et fait remarquer qu’on le constate par ses effets (le bruit), bien qu’on ne sache ni d’où il vient ni où il va.

Il en est de même de l’œuvre de l’Esprit ; celui en qui elle s’accomplit a conscience de la transformation qui s’opère en lui, il la constate par ses effets, mais il ignore de quelle manière elle s’accomplit. Toute vie est un mystère.

Nicodème  demanda ; «   comment ? » À cette question, il ne saurait y avoir de réponse propre à satisfaire une curiosité tout intellectuelle. Qu’il se replia sur lui-même qu’il s’arrêta au fait d’expérience et qu’il se demanda :  » Suis-je né d’en haut ? »

Par l’image qu’il eut choisie, Jésus révéla la parfaite liberté de l’Esprit dans son action : «  Il souffle où il veut », et souvent là même où les personnes le soupçonnent le moins. Jésus enseigna par la même image que ceux en qui cet Esprit opère ne savent pas jusqu’où il les conduira. Il ouvrit devant eux de grandes et glorieuses perspectives.

Jésus s’étonna, à son tour, et il ne craignit pas d’exprimer cet étonnement, au risque d’humilier son interlocuteur, en lui faisant sentir que jusqu’ici il eut négligé la source où il aurait pu puiser les lumières qui lui manquèrent.  Comme docteur d’Israël; Jésus le considéra comme représentant du corps enseignant dans sa nation.

Jésus insista, et il voulut faire sentir à Nicodème qu’il y eut en lui et dans ses pareils mais de l’incrédulité. Non seulement ils ne purent pas pénétrer dans le sens profond des Écritures qui les auraient éclairés, mais voici un témoignage, rendu avec la plus entière certitude, reposant sur une intuition immédiate de la vérité divine, et ce témoignage : « Ils ne le reçoivent pas » .

Ils montrèrent ainsi qu’ils furent animés de l’incrédulité qui repoussa les choses divines. Reste une question que les interprètes résolurent de manières diverses. De qui parla Jésus ? Quelques-uns (Luthardt, Weiss) pensèrent que Jésus associa à son propre témoignage celui de Jean-Baptiste, plusieurs fois rappelé dans les premiers chapitres ne l’Évangile, et qu’il reprocherait ainsi aux pharisiens de ne l’avoir pas reçu.

Luther, Bèze, Tholuck pensèrent que Jésus voulut dire : Moi et tous les prophètes, Bengel : Moi et le Saint Esprit ; Chrysostome : Moi dans mon unité avec Dieu. D’autres, n’ont vu dans ce nous qu’un pluriel de majesté ; mais cette forme de langage ne se retrouve pas dans la bouche du Sauveur.

M. Godet, avec Lange, Hengstenberg, M. Westcott, admit qu’il s’agit des disciples de Jésus, « dont un où plusieurs se trouvaient en ce moment auprès de lui et qui commençaient déjà à devenir les organes de ce doctorat nouveau inauguré par lui. En la personne de Jésus puis dans ses actes et ses paroles, le ciel fut constamment ouvert sous leurs yeux ; Sur ce fondement, ils témoignèrent.

Quelle vivacité, quelle fraîcheur dans la déclaration de Jean et d’André, dans celle de Philippe, dans l’exclamation de Nathanaël… ! Jésus ne se sentit plus seul. De là le sentiment de joie profonde, qui se trahit jusque dans la forme du langage.  Luthardt  fit observer que  nous voyons paraître ici cette forme du parallélisme qui constitue le rythme poétique de la langue hébraïque. Ce qui trahit l’émotion et caractérise toujours un moment d’élévation particulière.

Nicodème comprit que les choses furent plus avancées qu’il ne le pensa ! Tandis que ses collègues et lui attendirent l’heure solennelle de l’avènement du royaume, ce royaume fut déjà là à leur insu et d’autres y participèrent avant eux.  Les choses terrestres sont celles qui ont lieu sur la terre, à la portée de chacun, quelle qu’en soit d’ailleurs la nature. .

La régénération dont Jésus  parla à Nicodème appartint à ce domaine, parce qu’elle s’accomplit sur la terre et dans notre expérience même, qui peut en éprouver le besoin et savoir quant elle a été réalisée en nous. Les choses célestes sont celles qui ont lieu dans le ciel et qui, par leur nature, appartiennent exclusivement à ce monde invisible où Dieu règne.

Ces grands faits du salut s’accompliront aussi sur la terre et deviendront l’objet de la foi des croyants, mais ils n’étaient pas encore révélés quand Jésus en parla à Nicodème ; il put encore les désigner comme des choses célestes, qui même restèrent telles à toujours par leur nature, leur origine et leur destination. Si nous ne croyons pas quand on nous parle de nous, de notre conscience, de la nécessité d’un renouvellement moral, nous croirons bien moins quand on nous parlera de notre sa rédemption par l’envoi du Fils de Dieu, par sa vie, par sa mort, et par son retour dans la gloire.

Toutes les autres vérités de la foi seront reçues avidement par celui qui aura été amené à les désirer, à en avoir faim et soif.   « Et ces choses célestes, nul ne peut vous les révéler, si ce n’est le Fils de l’homme ». C’est ainsi que Meyer d’après de Wette, indiquèrent le sens de ce verset et son rapport avec le verset qui précède.

M. Godet le fit en ces termes qui présentèrent l’autre face de la même vérité : « Sans la foi à mon témoignage, point d’accès pour vous aux choses célestes ».Ces paroles de Jésus reproduisirent la pensée : « Personne ne vit jamais Dieu, le Fils unique qui est dans le sein du Père est celui qui nous l’a fait connaître ». 

Personne ne vit jamais Dieu, et, par conséquent, nul ne le connaît dans son essence, fut exprimé : « Personne n’est monté au ciel, ni n’a pu en rapporter la vérité divine. Celui-là seul est excepté qui, par son incarnation, est descendu du ciel, et qui ainsi est devenu le Fils de l’homme.

Lui seul peut vous enseigner les choses célestes que vous devez croire, car, non seulement il est venu du ciel, mais par sa communion intime et indissoluble avec Dieu, il est dans le ciel. »  Quelques interprètes éprouvèrent des scrupules à prendre comme une métaphore l’expression monter au ciel, à cause du terme qui lui fait antithèse : Celui qui est descendu du ciel.

Cette dernière expression, comme le remarqua Monsieur Weiss, signifie dans le langage du quatrième Évangile (Jn 16, .28) que Jésus  quitta l’existence céleste, dont il vivait auparavant auprès du Père.

Diacre Michel Houyoux

 Liens avec d’autres sites web chrétiens

◊  Abbaye de Scourmont (Belgique) : cliquez ici pour lire l’article → Homélie pour le lundi de la sixième semaine de Pâques

◊  Paroisse Notre Dame de Bidassoa : cliquez ici pour lire l’article →MÉDITATION DU LUNDI DE LA SIXIÈME SEMAINE DE PÂQUES

  Je suis le chemin, la vérité et la vie

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Sixième dimanche de Pâques de l’année B

Posté par diaconos le 3 mai 2021

Il n’y a pas de plus grand amour que de donner sa vie pour ceux qu’on aime

Et vivez dans l'amour en suivant l'exemple de Christ, qui nous a… Éphésiens 5:2

# Le 11 juillet 2017, le pape François introduisit l’offrande de la vie parmi les cas d’espèce dans la procédure de béatification et de canonisation. Le motu proprio tire son titre de paroles de Jésus rapportées dans l’évangile selon saint Jean : « il n’y a pas de plus grand amour que de donner sa vie pour ceux qu’on aime » (Jn 15,13). Il est certain que l’offrande héroïque de sa vie, suggérée et soutenue par la charité, exprime une imitation véritable, pleine et exemplaire du Christ et c’est pourquoi elle mérite cette admiration que la communauté des fidèles a l’habitude de réserver à ceux qui ont volontairement accepté le martyre du sang ou ont exercé les vertus chrétiennes à un niveau héroïque .

Maiorem hac dilectionem (latin pour « [Il n'est pas] de plus grand amour ») est une lettre apostolique sous forme de motu proprio publiée le 11 juillet 2017 par le pape François. Elle introduit l’« offrande de la vie » parmi les cas d’espèce dans la procédure de béatification et de canonisation. Elle concerne les chrétiens qui « ont offert volontairement et librement leur vie pour les autres et ont persévéré dans cette intention jusqu’à la mort ».

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De l’Évangile de Jésus-Christ selon saint Jean

09 Comme le Père m’a aimé, moi aussi je vous ai aimés. Demeurez dans mon amour. 10 Si vous gardez mes commandements, vous demeurerez dans mon amour, comme moi, j’ai gardé les commandements de mon Père, et je demeure dans son amour. 11 Je vous ai dit cela pour que ma joie soit en vous, et que votre joie soit parfaite. 12 Mon commandement, le voici : Aimez-vous les uns les autres comme je vous ai aimés. 13 Il n’y a pas de plus grand amour que de donner sa vie pour ceux qu’on aime. 14 Vous êtes mes amis si vous faites ce que je vous commande.

15 Je ne vous appelle plus serviteurs, car le serviteur ne sait pas ce que fait son maître ; je vous appelle mes amis, car tout ce que j’ai entendu de mon Père, je vous l’ai fait connaître. 16 Ce n’est pas vous qui m’avez choisi, c’est moi qui vous ai choisis et établis, afin que vous alliez, que vous portiez du fruit, et que votre fruit demeure. Alors, tout ce que vous demanderez au Père en mon nom, il vous le donnera. 17 Voici ce que je vous commande : c’est de vous aimer les uns les autres. » (Jn 15, 9-17)

Dieu est Amour

« Dieu est Amour. » Ces trois petits mots nous révèlent la vraie nature de Dieu. Dieu est amour, d’abord à l’intérieur de sa propre nature divine constituée de trois personnes qui ne cessent de communiquer entre elles, qui ne font que cela, s’aimer.

Dieu nous a  créés à sa propre image. Nous sommes des êtres faits pour aimer et pour être aimés. Le drame, c’est justement quand cet amour fait défaut, quand il est mal donné ou mal reçu. Les médias sont pleins de ces histoires d’amour qui ont mal commencé ou mal tourné…

 Jésus nous a laissé, comme un testament, deux grandes affirmations : « Comme le Père m’a aimé, moi aussi je vous ai aimés » et « Aimez-vous les uns les autres comme je vous ai aimés » Nous sommes aimés de Dieu. Quelle immense vérité ! Quel énorme bonheur !

 C’est pourquoi Jésus peut dire à ses disciples : « Aimez-vous les uns les autres », Aimez-vous de cet amour que vous recevez du Père et que je vous ai montré à travers mes paroles, mes actions et toute ma vie, y compris ma mort et ma résurrection.

 Comment s’aimer les uns les autres ?

En ce domaine, il n’y a pas de recettes toutes faites. Les évangiles nous montrent l’amour du Seigneur pour les gens :   son amour est universel, c’est à dire, offert à tous sans exclusion aucune. Quand on aime vraiment et quand on se sait aimé, on grandit et l’autre se sent posé dans l’existence. À nous de faire de même !

Regardons comme l’amour descend bien de Dieu : le Père aime Jésus, Jésus nous aime et nous, à sa demande (Évangile), répercutée par Jean (Deuxième lecture), nous nous efforçons de nous aimer les uns les autres. Essayons de le faire  à la manière de Dieu, comme Dieu lui-même et son Fils l’ont fait avec nous. Cela veut dire de nous aimer les uns les autres avec  profusion, comme Jésus, jusqu’au don de notre vie si nécessaire.

 Aimer jusqu’à donner notre vie. « Voici mon corps livré, mon sang versé ; faites cela en mémoire de moi, faites cela comme moi ! » La mesure de l’amour, c’est de donner sans mesure. S’aimer les uns, les autres…. . Qui ai-je à aimer ? De qui suis-je responsable ? Qui attend de moi quelque chose ? Quelle est mon attitude envers mon entourage, ma famille, mes collègues de travail ?

L’apôtre  Pierre ( première lecture) est le premier  stupéfait  avec les Juifs qui l’accompagnaient, de voir que le centurion de l’armée royale se jette à ses genoux et que  même les païens reçoivent à profusion le don de l’Esprit. Dieu donne sans mesquinerie, généreusement, abondamment et il nous invite à faire pareil.

 Nous sommes appelés, avec ce que nous sommes et là où nous sommes, à donner, à nous donner et à pardonner… et à recommencer sans jamais nous arrêter. Que notre cœur soit à la mesure du cœur de Dieu ! Et que notre main, si possible, le soit également ! Nous ne regretterons jamais d’avoir été bons et même trop bons. Mais nous regretterons toujours d’avoir fermé notre main et notre cœur quand d’autres les ouvraient pour recevoir de nous.

« Comme le Père m’a aimé, moi aussi je vous ai aimés… Aimez-vous les uns les autres comme je vous ai aimés »

Diacre Michel Houyoux

Liens avec d’autres sites Web chrétiens

◊ Croire : cliquez ici pour lire l’article →  Dimanche 9 mai 2021 6e dimanche de Pâques

◊ lectioyouth.net : cliquez ici pour lire l’article →  Sixième Dimanche de Pâques B

Vidéo  Homélie du 6e dimanche de Pâques par le f. Thibaut du Pontavice

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Fifth Sunday of Easter Time in Year B

Posté par diaconos le 2 mai 2021

The Last Supper Discourse : The Vine and the Vine Stems

John 15 vine and branches

# The True Vine is a parable given by Jesus Christ. It is quoted in the Gospel according to Saint John. It speaks of the importance for the believer to remain attached to the true vine, which symbolises Christ, in order to bear fruit in abundance. The fruit, being the image of the relationship between the branch and the main plant through the sap that circulates between the two, can refer to many other biblical passages such as the fruit of the Spirit in Galatians 5 verse 22.

For St. Augustine, the branches are in the vine in order to receive their life-giving principle from it. Humans must remain attached to the virtues given, to the word transmitted by Christ in order to give healthy fruits. Benedict XVI, in a commentary, addresses the subject of freedom and divine precepts. Mixing the two is not incompatible. We must listen to God and he will give us the strength to create and walk our way. The spiritual harvest will then be abundant.

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From the Gospel of John

As Jesus passed from this world to his Father, he said to his disciples : « I am the true vine, and my Father is the vinedresser. Every branch in me that bears no fruit my Father takes away ; every branch that does bear fruit he cleanses, that it may bear more; but you are already clean and made pure by the word that I have spoken to you, ‘Remain in me, as I in you.

As the branch cannot bear fruit by itself unless it abides in the vine, so neither can you unless you abide in me. I am the vine, and you are the branches. He who abides in me, and I in him, the same bears much fruit, for apart from me you can do nothing. If anyone does not abide in me, he is like a branch that has been thrown out and is withered.

The dry branches are gathered up and thrown into the fire, and they burn. If you abide in me, and my words abide in you, ask whatever you wish, and you shall receive it. This is the glory of my Father, that you bear much fruit: so shall you be my disciples. « This is the glory of my Father, that you bear much fruit » (Jn 15:1-8)

Author +FATHER MARY LANDRY C+MPS

« And now flee from your occupations for a while, hide yourself from your tumultuous thoughts for a while. Put away now your heavy cares, and postpone your laborious tensions. Turn to God, and rest a little in him. Enter into the cell of thy soul, shut out all but God and that which helps thee to seek him; door closed, seek him. Say now, all my heart, say now to God: I seek your face, your face, Lord, I seek him. (Saint Anselm).

Allegory of the vine and the branches

Christ is the true vine, we are the branches and the Father is the vinedresser. The Father wants us to bear much fruit. This is normal. A vinedresser plants the vine and cultivates it in the hope that it will bear abundant fruit. When we start a business we hope it will be profitable. Jesus insists : « I have chosen you and appointed you to go forth and bear fruit, and your fruit » (Jn 15, 16).

You have been chosen. God has looked upon you with favour. Through baptism you have been grafted onto the vine which is Christ. You have the life of Christ, the Christian life. You have what is essential for bearing fruit: union with Christ, because « the branch cannot bear fruit by itself unless it remains on the vine » (Jn 15, 4). Jesus says it clearly : « apart from me you can do nothing » (Jn 15, 5).

« His strength is only gentleness; there is no greater tenderness than this; and nothing is more solid » (St. Francis de Sales). How many things have you wanted to do without Christ ? The fruit that the Father expects from us is that of our good works, of the practice of virtues. And what union with Christ will enable us to bear such fruit? That of faith and charity, that is, abiding in the grace of God.

If you abide in his grace, all your virtuous acts are fruit pleasing to the Father. They will be works that Jesus Christ will accomplish through you. They will be works of Christ that will give glory to the Father and become heaven for you. How worthwhile it is to live always in the grace of God! « If anyone does not abide in me [through sin], he is like a branch that has been thrown out and is withered.

The dry branches (…) are thrown into the fire, and they burn » (Jn 15, 6). May the Virgin Mary help us to increase grace in us so that we can produce fruit in abundance for the glory of the Father. Lord, my God, give my heart to desire you, by desiring you, to seek you, by seeking you, to find you, by finding you, to love you.

Supplementary material

◊ Deacon Michel Houyoux  : click here to read the paper →  Fifth Sunday in Easter time – Year B

Links to other Christian Web sites

◊ The Augustinians : click here to read the paper →   Fifth Sunday of Easter – Year B
◊ Pahtways to God   : click here to read the paper →  Fifth Sunday of Easter Year B

   Homily for 5th Sunday of Easter Year B 2021 by Fr Emmanuel Ochigbo

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