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Tutti i Santi – Solennità

Posté par diaconos le 1 novembre 2022

1° novembre: festa di Ognissanti, il significato di questa ricorrenza -  Napolitan.it

# La festa di Ognissanti è una ricorrenza cattolica, celebrata il 1° novembre, in cui la Chiesa cattolica onora tutti i santi, conosciuti e sconosciuti. La celebrazione liturgica inizia con i vespri della sera del 31 ottobre e termina alla fine del 1° novembre. Precede di un giorno la Commemorazione dei fedeli defunti, la cui solennità è stata fissata ufficialmente per il 2 novembre. I protestanti non venerano i santi, ma alcune chiese luterane celebrano questa festa. Le Chiese ortodosse e le Chiese cattoliche orientali di rito bizantino continuano a celebrare la domenica di Ognissanti, la domenica dopo la Pentecoste.

Le feste in onore di tutti i martiri esistevano nelle Chiese orientali già nel IV secolo, la domenica dopo la Pentecoste. Ancora oggi, la Comunione delle Chiese ortodosse celebra la domenica di Ognissanti in questa data. A Roma, nel V secolo, la domenica successiva alla Pentecoste si celebrava già una festa in onore dei santi e dei martiri. Dopo la trasformazione del Pantheon di Roma in santuario, il 13 maggio 610 Papa Bonifacio IV lo consacrò come Chiesa di Santa Maria e dei Martiri. Bonifacio IV volle commemorare tutti i martiri cristiani i cui corpi erano onorati in questo santuario.

La festa di Tutti i Santi è stata poi celebrata il 13 maggio, anniversario della dedicazione di questa chiesa ai martiri, forse anche in riferimento a una festa celebrata dalla Chiesa siriana nel IV secolo. Ha sostituito la festa di Lemuria dell’antica Roma, che veniva celebrata in questa data per allontanare gli spettri maligni. La celebrazione della festa cristiana di Ognissanti il 1° novembre è una specificità cattolica apparsa in Occidente nell’VIII secolo. È forse da questo periodo che si celebra il 1° novembre, quando Papa Gregorio III dedica a tutti i santi una cappella nella Basilica di San Pietro a Roma.

Intorno all’835, Papa Gregorio IV ordinò che la festa fosse celebrata in tutta la cristianità. Secondo alcuni storici, questa decisione fu il motivo per cui la festa di Ognissanti fu fissata al 1° novembre. Su consiglio di Gregorio IV, l’imperatore Ludovico il Pio istituì la festa di tutti i santi in tutto l’Impero carolingio. La celebrazione di Ognissanti era seguita localmente da un ufficio per i defunti già nel IX secolo. Nel 998, i monaci di Cluny istituirono una festa dei morti il 2 novembre, che entrò nella liturgia romana come commemorazione dei fedeli defunti nel XIII secolo.

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo

In quel momento, vedendo le folle, Gesù salì sul monte. Si sedette e i suoi discepoli vennero da lui. Poi aprì la bocca e insegnò loro. Egli disse: « Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli ». Beati quelli che piangono, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati quelli che sono perseguitati per amore della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi se vi insulteranno, vi perseguiteranno e diranno ogni sorta di male contro di voi falsamente, per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché la vostra ricompensa è grande nei cieli ! «  (Mt 5,1-12a)

Le Beatitudini

Gesù, salito su un altopiano della montagna, si siede con le folle schierate intorno a lui e inizia solennemente l’insegnamento che segue. In otto beatitudini proclama la felicità e indica le qualità di coloro che hanno una parte nel regno dei due. Sono, innanzitutto, coloro che aspirano ai beni spirituali di questo regno: i poveri in spirito, la cui umiltà li mette in possesso del regno; coloro che piangono, che troveranno consolazione ; coloro che sono miti, che con la loro mitezza conquisteranno la terra; coloro che hanno fame e sete di giustizia, che vedranno soddisfatto il loro ardente desiderio. Seguono coloro che possiedono le disposizioni e sono nella condizione di membri del regno : i misericordiosi, che otterranno misericordia; i puri di cuore, che vedranno Dio; coloro che portano la pace e saranno chiamati figli di Dio; coloro che sono perseguitati per amore della giustizia, la cui ricompensa sarà grande.

La montagna non designava una cima particolare, ma in generale l’altezza, in contrapposizione alla pianura. Così gli abitanti delle valli dicono: vai alla montagna, senza indicare con questo un punto particolare della catena di cui si tratta. La tradizione è stata più precisa degli evangelisti e ha collocato il monte delle Beatitudini non lontano dalla città di Tiberiade, situata ai margini del lago omonimo. Dietro la montagna che domina Tiberiade si trova un ampio altopiano, che degrada dolcemente verso una roccia che forma la cima. È su questa roccia che Gesù trascorse la notte in preghiera e che all’alba chiamò i suoi discepoli e scelse i suoi apostoli.

Poi scese verso la folla che lo aspettava sull’altopiano e da lì insegnò al popolo. Secondo Luca, Gesù scese ed è in una pianura che tenne il suo discorso. Secondo Matteo, salì su un monte con il popolo. Luca riporta un ulteriore dettaglio: Gesù salì prima in cima e poi scese sull’altopiano.

Ai piedi della roccia, in cima all’altopiano, c’è una piccola piattaforma, una sorta di pulpito naturale, da cui una grande moltitudine può facilmente vedere e ascoltare. È da questo punto che Gesù si è seduto. I suoi discepoli, quelli che aveva chiamato all’apostolato e quelli che avevano già ascoltato e gustato la sua parola, lo circondavano come sempre. Questo discorso, che esponeva i principi spirituali e sublimi del regno che Gesù era venuto a fondare, non poteva essere compreso da tutti, né poteva essere messo in pratica se non da coloro che erano animati dallo spirito di quel regno ; ma Gesù parlava e insegnava in vista del futuro. La sua parola è stata una rivelazione e, quando la sua opera sarà compiuta, quella parola diventerà luce e vita nel cuore dei suoi redenti.

Aprire la bocca, un ebraismo che indica la solennità dell’azione, la sacra libertà di parola. « Qui Luca scrive vividamente un preambolo per mostrare come Gesù si preparava a predicare: salì su un monte, si sedette, aprì la bocca; questo per far sentire la serietà della sua azione. (Lutero) « Molti dei pensieri di questo discorso si trovano negli insegnamenti di Gesù e con applicazioni diverse, che Gesù ha utilizzato più volte, a volte brevi precetti morali, che sarebbero riapparsi anche nei suoi insegnamenti. È stato un ingresso bello, dolce e amorevole nella dottrina e nella predicazione di Gesù.

Non procedette, come Mosè o un dottore della legge, con comandi, minacce o terrori, ma nel modo più affettuoso, più adatto ad attrarre i cuori, e con promesse benevole. Questo amore, tuttavia, aveva una profonda serietà, perché coloro che Gesù dichiarava felici erano molto infelici nel mondo. Erano felici solo per la promessa che accompagnava ognuna di queste dichiarazioni e le motivava. I poveri in spirito sono coloro che si sentono poveri nella loro vita interiore, moralmente e spiritualmente, e quindi desiderano le vere ricchezze dell’anima (lo spirito è la facoltà con cui entriamo in relazione con Dio e realizziamo la vita morale). Questo sentimento di povertà davanti a Dio non è ancora un pentimento, ma un’umiltà profonda e dolorosa che porta ad esso.

I poveri in spirito sono tutti coloro il cui animo è distaccato dai beni della terra, come diceva Bossuet e aggiungeva : « O Signore ! Vi do tutto: abbandono tutto per avere una parte in questo regno! Mi spoglio del cuore e dello spirito, e quando ti piace spogliarmi davvero, mi sottometto (Meditazioni sul Vangelo). Così intesa, la prima beatitudine di Matteo rispondeva alla prima beatitudine di Luca e non aveva un significato quasi identico a quello della quarta beatitudine : « Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia ». Che si tratti di povertà spirituale o temporale, di umiltà o di distacco, o di entrambe, a tale situazione si risponde con la promessa, o meglio con la dichiarazione positiva e presente: perché di loro è il regno dei cieli.

Coloro che piangono, o che sono in lutto, o che sono tristi, saranno confortati, perché questa tristezza li porta alla fonte del perdono, della pace, della vita. Questa mitezza, questo abbandono alla volontà di Dio, in presenza di violenza, ingiustizia e odio, è prodotta in loro da un senso umile e rattristato di ciò che manca loro. Implica la rinuncia ai vantaggi e alle gioie di questo mondo; ma, con un magnifico compenso, coloro che la praticano erediteranno la terra. La terra della promessa, Canaan, è presa nel suo senso spirituale e significa la patria superiore, il regno di Dio, il cui possesso è assicurato a coloro che sono miti. « Il mondo usa la forza per possedere la terra; Gesù ci insegna che si conquista con la dolcezza »

Questa fame e sete dei beni spirituali che mancano, della vera giustizia interiore di cui si sentono privi, di una vita conforme alla volontà di Dio, nasce in loro dalle disposizioni di un ardente desiderio di vita, ricorre spesso nella Scrittura. Ogni anima che sperimenta questo davanti a Dio sarà soddisfatta, soddisfatta della giustizia, poiché è della giustizia che ha fame e sete. Le successive rivelazioni del Vangelo gli insegneranno come raggiungere questo obiettivo. I misericordiosi sono coloro che non pensano solo alla propria miseria, ma che solidarizzano con la miseria dei loro fratelli. Bisogna aver provato la propria miseria, aver sofferto in prima persona, per poter simpatizzare con la sofferenza degli altri. Bisogna essere stati oggetto dell’amore infinito di Dio per poter amare gli altri e praticare la carità nei loro confronti.

È il doppio pensiero che lega questa beatitudine alle precedenti. Ad essi si lega anche la considerazione che coloro che Gesù chiama alla felicità dei suoi discepoli avranno ancora bisogno di ottenere misericordia nel giorno del giudizio supremo, perché anche se sarà loro assicurato il regno dei cieli, anche se saranno confortati e riempiti di giustizia, ci saranno ancora molte mancanze e imperfezioni nella loro vita che dovranno essere coperte. Saranno perdonati e mostreranno misericordia come hanno mostrato misericordia.

Il cuore è, secondo le Scritture, l’organo della vita morale. Essere puri di cuore significa, in contrasto con le opere esterne, essere liberi da ogni contaminazione, da ogni falsità, da ogni ingiustizia, da ogni malizia in questo centro intimo di pensieri e sentimenti. Non è questo lo stato morale dell’uomo naturale. Poiché ogni promessa corrisponde alla disposizione descritta in ciascuna di queste beatitudini, coloro che sono puri di cuore sono felici, perché vivranno nella Sua comunione mentre sono in vita, e un giorno Lo contempleranno immediatamente nella suprema bellezza delle Sue perfezioni, fonte inesauribile della beatitudine celeste.

Coloro che non solo sono pacifici in se stessi, ma che, avendo trovato la pace, si sforzano di procurarla agli altri e di ristabilirla tra gli uomini, laddove è disturbata. Sono felici, felici e felici.  Tuttavia, questo amore aveva una profonda serietà, perché coloro che Gesù dichiarava felici erano molto infelici nel mondo. Erano felici solo per la promessa che accompagnava ognuna di queste dichiarazioni e le motivava. I poveri in spirito sono coloro che si sentono poveri nella loro vita interiore, moralmente e spiritualmente, e quindi desiderano le vere ricchezze dell’anima (lo spirito è la facoltà con cui entriamo in relazione con Dio e realizziamo la vita morale). Questo senso di povertà davanti a Dio non è ancora un pentimento, ma un’umiltà profonda e dolorosa che porta ad esso.

I poveri in spirito sono tutti coloro il cui animo è distaccato dai beni della terra, come diceva Bossuet e aggiungeva : « O Signore ! Vi do tutto: abbandono tutto per avere una parte in questo regno! Mi spoglio del cuore e dello spirito, e quando ti piace spogliarmi davvero, mi sottometto (Meditazioni sul Vangelo). Così intesa, la prima beatitudine di Matteo rispondeva alla prima beatitudine di Luca e non aveva un significato quasi identico a quello della quarta beatitudine: « Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia ». Che si tratti di povertà spirituale o temporale, di umiltà o di distacco, o di entrambe, a tale situazione si risponde con la promessa, o meglio con la dichiarazione positiva e presente: perché di loro è il regno dei cieli.

Coloro che piangono, o che sono in lutto, o che sono tristi, saranno consolati, perché questa tristezza li porta alla fonte del perdono, della pace, della vita. Questa mitezza, questo abbandono alla volontà di Dio, in presenza di violenza, ingiustizia e odio, è prodotta in loro da un senso umile e rattristato di ciò che manca loro. Implica la rinuncia ai vantaggi e alle gioie di questo mondo; ma, con un magnifico compenso, coloro che la praticano erediteranno la terra. La terra della promessa, Canaan, è presa nel suo senso spirituale e significa la patria superiore, il regno di Dio, il cui possesso è assicurato a coloro che sono miti. « Il mondo usa la forza per possedere la terra; Gesù ci insegna che si conquista con la dolcezza » (Lutero)

Questa fame e sete dei beni spirituali che mancano, della vera giustizia interiore di cui si sentono privi, di una vita conforme alla volontà di Dio, nasce in loro dalle disposizioni di un ardente desiderio di vita, ricorre spesso nella Scrittura. Ogni anima che sperimenta questo davanti a Dio sarà soddisfatta, soddisfatta della giustizia, poiché è della giustizia che ha fame e sete. Le successive rivelazioni del Vangelo gli insegneranno come raggiungere questo obiettivo. I misericordiosi sono coloro che non pensano solo alla propria miseria, ma che solidarizzano con la miseria dei loro fratelli. Bisogna aver provato la propria miseria, aver sofferto in prima persona, per poter simpatizzare con la sofferenza degli altri. Bisogna essere stati oggetto dell’amore infinito di Dio per poter amare gli altri e praticare la carità nei loro confronti.

Coloro che piangono, o piangono, tristezza, saranno consolati, perché questa tristezza li porta alla fonte del perdono, della pace, della vita. Questa dolcezza, questo abbandono alla volontà di Dio, in presenza della violenza, dell’ingiustizia e dell’odio, è prodotto in loro dal sentimento umile e rattristato di ciò che manca loro. Implica la rinuncia ai benefici e alle gioie di questo mondo; ma, per un magnifico compenso, coloro che la praticano erediteranno la terra. La terra della promessa, Canaan, è intesa nel suo senso spirituale come la casa in alto, il regno di Dio, il cui possesso è assicurato ai miti. « Il mondo usa la forza per possedere la terra, Gesù ci insegna che si vince con la mitezza » (Lutero)

Questa fame e questa sete per i beni spirituali che mancano loro, per la vera giustizia interiore di cui si sentono privati, per una vita conforme alla volontà di Dio, nascono in loro dalle disposizioni di un ardente desiderio di vita, spesso restituisce per iscritto. Ogni anima che la sperimenta davanti a Dio sarà soddisfatta, soddisfatta della giustizia, poiché è di giustizia che ha fame e sete. Successive rivelazioni del Vangelo le insegneranno come farà questo. I misericordiosi sono coloro che non solo pensano alla propria miseria, ma simpatizzano con la miseria dei loro fratelli. Devi aver sentito la tua stessa miseria, aver sofferto te stesso, per poter simpatizzare con la sofferenza degli altri. Bisogna essere stati l’oggetto dell’amore infinito di Dio per poter amare gli altri e praticare la carità verso di loro.

Tale è il doppio pensiero che lega questa beatitudine alle precedenti. A loro è legato anche da questa considerazione che coloro che Gesù chiama alla felicità dei suoi discepoli avranno ancora bisogno di ottenere misericordia nel giorno del giudizio supremo, perché, sebbene sicuri del regno dei cieli, sebbene consolati e soddisfatti della giustizia, lì rimarranno nella loro vita molte mancanze e imperfezioni da coprire. Saranno perdonati e mostrata misericordia come hanno mostrato misericordia.

Il cuore è, secondo la Scrittura, l’organo della vita morale. Essere puri di cuore è, al contrario delle opere esterne, essere liberati da ogni contaminazione, ogni falsità, ogni ingiustizia, ogni malizia in quel centro interiore di pensieri e sentimenti. Tale non è lo stato morale dell’uomo naturale. Ogni promessa corrispondente al provvedimento descritto in ciascuna di queste beatitudini, i puri di cuore sono felici, perché vivranno tutta la vita nella sua comunione e un giorno immediatamente lo contempleranno nella bellezza suprema delle sue perfezioni, fonte inesauribile della beatitudine del cielo.

Coloro che non solo sono pacifici essi stessi, ma che, trovata la pace, si sforzano di procurarla agli altri e di restaurarla fra gli uomini là dove è travagliata. Sono felici, perché saranno chiamati con questo titolo dolce e glorioso: figli di Dio. Questo titolo esprime una realtà profonda; poiché, poiché questi figli di Dio portano la pace, hanno un tratto di somiglianza con il loro Padre che è “il Dio della pace” Romani 16:20; 2 Corinzi 13:11, agiscono secondo il suo Spirito. Quindi sono figli di Dio, ma per di più saranno chiamati tali, il loro titolo sarà riconosciuto sia da Dio che da tutti.

Per la giustizia, i perseguitati sono felici, perché di loro è il regno dei cieli. Nell’ottava beatitudine, Gesù ritornò alla prima. Si chiude così un ciclo armonioso di esperienze e promesse. I primi quattro riguardano coloro che cercano nei loro bisogni più profondi, gli ultimi quattro, coloro che hanno trovato e stanno già svolgendo una certa attività nel regno di Dio. Ogni promessa, fonte di felicità che corrisponde esattamente e abbondantemente ad ogni stato d’animo descritto, risplende un raggio di gloria del regno dei cieli: agli afflitti; comfort; ai mansueti il ​​possesso della terra; all’affamato, sazietà al misericordioso, misericordia; ai puri di cuore, la vista di Dio; a coloro che portano la pace, titolo di figli di Dio.

Ma nella prima e nell’ultima beatitudine, Gesù, che è il Signore del regno dei cieli, l’ha dispensata interamente ai poveri e ai perseguitati; e là solo parlò al presente: « Questo regno è loro ». La ricompensa, che in nessun modo sminuisce la verità della salvezza per grazia mediante la fede, è grande in proporzione alla fedeltà e all’amore con cui i discepoli di Gesù hanno sofferto per il suo nome. Tuttavia nessun cristiano cerca questa ricompensa senza Dio e la felicità di servirlo, altrimenti perderebbe ciò che lo rende grande e dolce Gesù ha mostrato ai suoi discepoli perseguitati motivo di gioia nella mente

Il diacono Michel Houyoux

Collegamenti ad altri siti web cristiani

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 Video Padre Fernando Armellini

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Commémoration de tous les fidèles défunts

Posté par diaconos le 1 novembre 2022

L’offrande parfaite

# La rétribution des âmes, la rétribution après la mort, est, en religion, la récompense ou la punition qu’il advient au défunt, après sa vie, dans l’Au-delà. Platon, le premier sans doute en Occident, lie la notion de rétribution des âmes à celle de transmigration des âmes. Il existe plusieurs formes : le Jugement dernier, la loi du karma…, peut-être la justice immanente.

Les Égyptiens admettent un Jugement de l’âme. La « pesée de l’âme » ou psychostasie fait partie de l’ensemble des rites accomplis durant le « Jugement des morts ». Sur un plateau de la balance est déposé le cœur du postulant, symbole de sa conscience ; sur l’autre, la plume de Mâat évoque la sublime légèreté de la Règle qui ne tolère pourtant aucun manquement grave. Platon avance, le premier en Occident, la théorie de la rétribution des âmes, dans le cadre de la métempsycose..

Il dit ceci dans le Phédon : « J’ai bon espoir que, pour les morts, quelque chose existe, et, comme cela se dit du reste depuis longtemps, quelque chose qui est bien meilleur pour les bons que pour les mauvais ». Platon avança que « cela se dit depuis longtemps », mais pas vraiment : Homère ne crut pas à des sanctions post mortem, les Mystères d’Éleusis admirent que les profanes allèrent dans un Bourbier et que les initiés entrèrent dans la félicité des Îles des Bienheureux sans idée de sanction, l’orphisme supposa une réincarnation ou une palingénésie qui tint plus d’un accord que d’une règle,

Pythagore affirme la métempsycose sans pour autant affirmer qu’il y a récompense ou châtiment. Chez les Juifs, la doctrine des récompenses et des peines post mortem, liée à la doctrine de l’immortalité de l’âme et de la Vie éternelle(Olam Haba), n’apparaît que tard, dans un livre, écrit au Ier siècle av. J.-C.. à Alexandrie, qui ne fait pas partie de la Bible juive : Sagesse, 3-5 dont tient compte l’exégèse.

Selon le Nouveau Testament écrit à partir du Ier siècle, sur le trône de Dieu, juge suprême, s’assiéra, dans toute sa gloire, « le Fils de l’homme », c’est-à-dire le Christ, le Verbe incarné, celui à qui le Père « a remis tout jugement » (Mathieu, XXV, 31). Tous les morts comme tous les vivants seront appelés « selon leurs œuvres » et leur foi, à une « résurrection de vie » ou à une « résurrection de damnation » (Jean, V, 28).

En Inde, pour l’hindouisme, c’est la théorie du karma. Il y a trois karma : 1) L’âgami-karma (karma futur) est le karma du futur, il se forme à partir des actions et des intentions du présent et se réalise dans l’avenir selon la loi de la causalité. 2) Le prârabdha-karma (karma commencé) est le karma qui se réalise dans le présent. 3) Le sanchita-karma est constitué dans le passé mais n’a pas encore été suivi d’effet.

La « pesée de l’âme » ou psychostasie fait partie de l’ensemble des rites accomplis durant le « Jugement des morts ». Sur un plateau de la balance est déposé le cœur du postulant, symbole de sa conscience ; sur l’autre, la plume de Mâat évoque la sublime légèreté de la Règle qui ne tolère pourtant aucun manquement grave. Platon avance, le premier en Occident, la théorie de la rétribution des âmes, dans le cadre de la métempsycose.

Selon le Nouveau Testament écrit à partir du Ier siècle, sur le trône de Dieu, juge suprême, s’assiéra, dans toute sa gloire, « le Fils de l’homme », c’est-à-dire le Christ, le Verbe incarné, celui à qui le Père « a remis tout jugement » (Mathieu, XXV, 31). Tous les morts comme tous les vivants seront appelés « selon leurs œuvres » et leur foi, à une « résurrection de vie » ou à une « résurrection de damnation » (Jean, V, 28).

Sur un plateau de la balance est déposé le cœur du postulant, symbole de sa conscience ; sur l’autre, la plume de Mâat évoque la sublime légèreté de la Règle qui ne tolère pourtant aucun manquement grave. Platon avance, le premier en Occident, la théorie de la rétribution des âmes, dans le cadre de la métempsycose. Il dit ceci dans le Phédon (63c) : « J’ai bon espoir que, pour les morts, quelque chose existe, et, comme cela se dit du reste depuis longtemps, quelque chose qui est bien meilleur pour les bons que pour les mauvais »

Platon avance que « cela se dit depuis longtemps », mais pas vraiment : Homère ne croit pas à des sanctions post mortem, les Mystères d’Éleusis admettent que les profanes vont dans un Bourbier et que les initiés entrent dans la félicité des Îles des Bienheureux sans idée de sanction, l’orphisme suppose une réincarnation ou une palingénésie qui tient plus d’un accord que d’une règle.

De l’Évangile de Jésus Christ selon Matthieu

 En ce temps-là, Jésus disait à ses disciples : «  Quand le Fils de l’homme viendra dans sa gloire, et tous les anges avec lui, alors il siégera sur son trône de gloire. Toutes les nations seront rassemblées devant lui ; il séparera les hommes les uns des autres, comme le berger sépare les brebis des boucs : il placera les brebis à sa droite, et les boucs à gauche. Alors le Roi dira à ceux qui seront à sa droite : ‘Venez, les bénis de mon Père, recevez en héritage le Royaume préparé pour vous depuis la fondation du monde.

  Car j’avais faim, et vous m’avez donné à manger ; j’avais soif, et vous m’avez donné à boire ; j’étais un étranger, et vous m’avez accueilli ; j’étais nu, et vous m’avez habillé ; j’étais malade, et vous m’avez visité ; j’étais en prison, et vous êtes venus jusqu’à moi !’ Alors les justes lui répondront : ‘Seigneur, quand est-ce que nous t’avons vu..? tu avais donc faim, et nous t’avons nourri ?  tu avais soif, et nous t’avons donné à boire ?  tu étais un étranger, et nous t’avons accueilli ? tu étais nu, et nous t’avons habillé ?   tu étais malade ou en prison. Quand sommes-nous venus jusqu’à toi ?’ Et le Roi leur répondra : ‘Amen, je vous le dis : chaque fois que vous l’avez fait à l’un de ces plus petits de mes frères, c’est à moi que vous l’avez fait.

 Alors il dira à ceux qui seront à sa gauche : ‘Allez-vous-en loin de moi, vous les maudits, dans le feu éternel préparé pour le diable et ses anges. Car j’avais faim, et vous ne m’avez pas donné à manger ; j’avais soif, et vous ne m’avez pas donné à boire ;   j’étais un étranger, et vous ne m’avez pas accueilli ; j’étais nu, et vous  ne m’avez pas habillé ; j’étais malade et en prison, et vous ne m’avez pas visité.’   Alors ils répondront, eux aussi : ‘Seigneur, quand t’avons-nous vu avoir faim, avoir soif, être nu,  étranger, malade ou en prison, sans nous mettre à ton service ?’

  Il leur répondra : « ‘Amen, je vous le dis :  chaque fois que vous ne l’avez pas fait à l’un de ces plus petits, c’est à moi que vous ne l’avez pas fait.’ Et ils s’en iront, ceux-ci au châtiment éternel, et les justes, à la vie éternelle. «  (Mt 25, 31-46)

Ne vous endormez pas

« Veillez donc, parce que vous ne savez pas quel jour votre Seigneur vient. »  (Mt 24-42) : telle fut la  conséquence pratique que  Jésus tira de toute cette prophétie et surtout de l’ignorance où tous furent laissés sur le jour où il vint . « Si le maître de la maison savait à quelle veille de la nuit le voleur vient, il aurait veillé et n’aurait pas laissé percer sa maison. «   (Mt 24, 43)  : Cet exemple, pris dans la vie ordinaire, doit rendre plus sensible l’exhortation parce que le maître de maison ne savait pas à quelle heure le voleur viendrai : il y entra avec effraction. Être préparé par la foi, par l’amour, à recevoir Jésus.

Jésus demanda qui fut le serviteur fidèle et prudent ? Il chercha un tel serviteur, puis il s’écria avec effusion : « Heureux est-il ! Il est heureux à cause de sa fidélité même et parce que son maître peut l’élever à un poste plus éminent» ». Sa méchanceté consista dans l’hypocrisie avec laquelle il dit : « Mon maître » , en le reconnaissant pour tel  ; ensuite dans l’aveuglement avec lequel il se persuada que son maître tarderait à venir et tardera longtemps encore ; enfin dans la mauvaise conduite à laquelle il se livra, soit envers ses compagnons de service, soit même avec les ivrognes.

La pauvreté spirituelle est définie comme une vertu évangélique

Cette vertu, associée à la promesse du Royaume des cieux, a été abordée par de nombreux auteurs chrétiens. Si le Catéchisme de l’Église catholique indique qu’elle concerne les personnes qui se reconnaissent par « leur qualité de cœur, purifié et éclairé par l’Esprit », de nombreux auteurs chrétiens ont cherché à préciser le sens de cette pauvreté et ce qu’il fallait faire pour l’obtenir. Ainsi, cette « pauvreté dans l’esprit » s’obtient, d’après ces auteurs, par une humilité volontaire face à Dieu, un accueil libre et joyeux de ses faiblesses (morales, physiques, psychologiques), une attention tournée vers Dieu et l’autre.

C’est aussi un chemin de dépouillement de toutes les « richesses intérieures, les dons reçus de Dieu », un renoncement aux consolations et grâces spirituelles que Dieu veut nous donner. Ce renoncement, cet appauvrissement, libre et joyeux est associé, pour les chrétiens, à la promesse de posséder le Royaume des cieux, et donc de « jouir de la présence de Dieu » ; ce bonheur étant possible, d’après certains auteurs, « dès à présent ». Pour sœur Lise, « seul le pauvre d’esprit peut aimer, car pour aimer il faut avoir besoin de l’autre. Être pauvre, c’est être dans un état de réceptivité… comme quelqu’un qui prend un bain de soleil.

La pauvreté radicale arrache la personne à tout ce qui fait obstacle au don total de l’amour. Cette pauvreté est ouverture à l’envahissement… et ça fait peur… s’il fallait que Dieu m’envahisse, que les autres m’envahissent… et pourtant cette disposition conduit à la liberté intérieure. Le vrai pauvre n’est jamais aigri quand il tend la main » Pour le père Marie-Eugène de l’Enfant-Jésus, la vertu de pauvreté spirituelle permet de purifier la vertu théologale d’espérance, il dit : « C’est dans la pauvreté spirituelle que l’espérance trouve sa pureté qui fait sa perfection. Seule la pauvreté spirituelle peut assurer la perfection de l’espérance. »

L’espérance est obtenue par l’élimination de tout le reste, par ce dégagement souverain qu’est la pauvreté spirituelle. ». À ce sujet il cite saint Jean de la Croix : « Moins l’âme possède les autres choses, plus elle a de capacité et d’aptitude pour espérer ce qu’elle désire, et par conséquent plus elle a d’espérance plus la mémoire se dépouille et plus elle acquiert d’espérance ; par la suite, plus elle a d’espérance et plus elle est unie à Dieu. Car plus une âme espère en Dieu, plus elle obtient de Lui. » e père Mas Arrondo, dans son livre Toucher le Ciel indique que dans les 5e demeures,  on commence à jouir amplement du ciel sur la terre. Beaucoup plus de personnes y vivent qu’on ne peut le penser » Et que chacun reçoit en gage, à l’intérieur de lui-même, le royaume de Dieu. C’est un don gratuit accordé par Dieu le Père.

Diacre Michel Houyoux

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◊ Vie chrétienne : cliquez ici pour lire l’article →  Commémoration de tous les fidèles défunts

 ◊ Dom Armand Veilleux   Homélie pour la Commémoration de tous les Défunts 

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