Quarta domenica di Quaresima – Anno Paolino
Posté par diaconos le 8 mars 2024
El figlio del duomo
# Mosè, primo profeta dell’ebraismo, è la figura più importante della Bibbia ebraica, che riceve la Legge per l’ebraismo, prefigura Gesù Cristo per il cristianesimo e precede il profeta Maometto per l’Islam. Per le tradizioni monoteistiche ebraica e cristiana, Mosè è l’autore divinamente ispirato del Pentateuco, cioè dei primi cinque libri della Bibbia, che costituiscono la Torah ebraica e sono chiamati « Legge di Mosè » in queste due religioni. Mosè scrisse anche « sotto la dettatura di Dio » il Decalogo e tutta una serie di leggi religiose, sociali e alimentari.
Oltre a questa idea di scrittura mosaica sotto dettatura di Dio, nota come « Torah scritta », i rabbini attribuiscono a Mosè anche la « Torah orale » sotto forma di commenti alla Legge codificati nella Mishna. Nell’Islam, Mosè – con il nome di Musa – è il profeta che compare in modo più evidente nel Corano, essendo citato centotrentasei volte. È uno dei « grandi profeti », considerato uno dei messaggeri inviati da Allah, e prefigura il profeta Maometto. Le narrazioni mosaiche del Corano fanno riferimento al Pentateuco e all’Aggada, ma offrono anche episodi originali, sottolineando il parallelismo tra Maometto e Mosè.
# Sembra che già nell’antichità cristiana la quarta domenica di Quaresima, nota come Domenica Laetare, abbia assunto il carattere speciale di una pausa nel mezzo della Quaresima (come la Domenica Gaudete durante l’Avvento). Il nome deriva dall’incipit dell’introito della Laetare, « Laetare Jerusalem » (Rallegrati, Gerusalemme). In passato, a differenza delle altre domeniche di Quaresima, il Papa si recava a cavallo alla stazione di Santa Croce di Gerusalemme, dove si venerava la Croce Gloriosa.
Il termine « Domenica Laetare » è utilizzato dalla maggior parte dei riti liturgici latini (come la tradizione cattolica e l’anglicanesimo) e da alcune denominazioni protestanti che hanno le loro origini nel rito della Chiesa europea. In Belgio, Laetare è una festa tradizionale celebrata principalmente a Stavelot, nella provincia di Liegi, nell’arco di 3 giorni (sabato, domenica e lunedì). È una tradizione secolare che risale al 1502. Come la domenica di Gaudete in Avvento, la Chiesa celebra la sua gioia e i paramenti liturgici possono eccezionalmente essere rosa (una miscela di viola e bianco) invece che viola in questo giorno.
In quel tempo Gesù disse a Nicodemo : « Come Mosè innalzò il serpente di bronzo nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché in lui chiunque crede abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna. Dio infatti ha mandato il suo Figlio nel mondo non per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui sfugge al giudizio; chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell’unico Figlio di Dio. E questo è il giudizio: la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chi fa il male odia la luce ; non viene alla luce, perché non vengano scoperte le sue opere; ma chi fa la verità viene alla luce, perché si veda che le sue opere sono state fatte in unione con Dio ». (Gv 3, 14-21)
Il Figlio dell’uomo doveva essere innalzato
Gesù cercò di iniziare Nicodemo alle cose celesti che solo lui poteva rivelare. Per rendere accessibile a Nicodemo il mistero della sua opera di redenzione, Gesù prese in prestito dall’Antico Testamento un magnifico simbolo ben noto al suo interlocutore; e, applicandolo a se stesso, fece una chiarissima predizione della sua morte Il popolo d’Israele, avendo mormorato contro Dio, fu punito con il terribile flagello dei serpenti ardenti, che causò la morte di molti dei colpevoli. Allora il popolo pentito, confessando il proprio peccato, si recò da Mosè, pregandolo di intercedere per loro.
n risposta alla loro preghiera, al servo di Dio fu ordinato di innalzare un serpente di bronzo su un’asta, e tutti coloro che credettero alla promessa di Dio e contemplarono questa immagine del male di cui soffrivano furono guariti. Allo stesso modo, aggiunge Gesù, il Figlio dell’uomo doveva essere innalzato; innalzato prima di tutto sulla croce, che sarebbe diventata per lui il cammino verso la gloria. Il significato della parola « essere innalzato » è confermato da altre affermazioni di Gesù e anche dal fatto che, nella lingua aramaica che egli parlava, la parola corrispondente significava : essere innalzato su un palo, essere appeso o crocifisso lì.
Era necessario, disse Gesù: una necessità gloriosa, fondata sull’eterna misericordia di Dio, sul suo consiglio già annunciato dalle profezie, che si sono adempiute. Lo scopo di quest’opera d’amore di Gesù era simile a quello raggiunto nel deserto per gli israeliti morenti: affinché ognuno non perisse nel suo peccato, come i colpevoli perirono nel deserto, ma avesse la vita eterna. Quest’ultima parola si trova qui per la prima volta nel Vangelo. Si ripropone più volte. Il dono della vita eterna implica il perdono, la riconciliazione con Dio, ma anche la partecipazione dell’anima salvata alla vita di Dio stesso, una vita imperitura e benedetta.
Dio ha amato tanto: questo amore è il principio e la fonte suprema della salvezza. Ha amato il mondo, questo mondo decaduto e peccatore in rivolta contro di lui; ha amato tutta l’umanità, alla quale ha destinato questa manifestazione del suo amore. Non solo ha inviato, ma ha rinunciato a ciò che aveva di più caro, il suo unico Figlio : « Chi non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci darà anche lui ogni cosa » (Rm 8, 32).Per evitare di perire nel suo peccato e nella sua miseria, egli richiede solo che ogni uomo riponga in se stesso tutta la fiducia del suo Cuore. Infine, ha aperto gli occhi di questo credente sulle prospettive immense e benedette della vita eterna. La parola « Figlio unigenito » è propria di Giovanni, ma perché non l’avrebbe usata Gesù, che così spesso si definisce Figlio ?
Gesù ha confermato che lo scopo della sua venuta nel mondo era quello di manifestare l’amore eterno di Dio e non di giudicare il mondo. Lo scopo di questo amore è così universale che tutto il mondo può essere salvato attraverso Gesù Cristo. Questa universalità della salvezza è espressa nel modo più solenne dalla triplice ripetizione della parola mondo. Gesù, annunciando così lo scopo misericordioso della sua venuta, era ben lontano dal negare l’ultimo giudizio, che, al contrario, gli è riservato alla fine dei tempi e che egli annuncia nel modo più solenne : « Non meravigliatevi di questo, perché viene l’ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno. Quelli che fanno il bene risorgeranno alla vita, ma quelli che fanno il male risorgeranno al giudizio » (Gv 5, 28-29).
Durante la sua permanenza sulla terra, e mentre proclamava la misericordia divina, Gesù ha esercitato, con la forza della verità, un altro giudizio reale, interiore, al quale nessun uomo può sottrarsi: « Allora Gesù disse : « Sono venuto in questo mondo per un giudizio, perché quelli che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi »". (Gv 9, 39). « Gesù, che ha appena rivelato il suo amore redentore per il mondo intero, ora rivela a Nicodemo la natura del vero giudizio. E anche questa rivelazione è una completa trasformazione dell’opinione comune. La linea di demarcazione non sarà tra Giudei e Gentili, ma tra credenti e non credenti, indipendentemente dalla loro nazionalità ». (Godet)
Poiché il Figlio di Dio è venuto non per giudicare, ma per salvare, chi crede in lui, chi ha accolto in lui la grazia divina, chi si è donato a lui, non è giudicato. Il giudizio deve essere stato esercitato nella sua coscienza dalla verità e lo ha portato al pentimento, ma ora ne è libero e respira nell’atmosfera della grazia e dell’amore divini ; ne ha la testimonianza dentro di sé. « Chi crede nel Figlio di Dio ha in sé questa testimonianza; chi non crede a Dio lo rende bugiardo, perché non crede alla testimonianza che Dio ha dato al suo Figlio ». (1 Gv 5, 10)
Gesù ha confermato queste parole dichiarando che il credente è libero, anche dal giudizio finale : « In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato ha la vita eterna e non entra nel giudizio, ma è passato dalla morte alla vita » (Gv 5, 24).Dove apparirà solo per avere chiaro il suo stato d’animo. Gesù ha detto : « Chi non crede, chi persiste nella sua incredulità, è già stato giudicato, semplicemente perché il Figlio unigenito di Dio è venuto a lui, pieno di grazia e di verità, e lo ha rifiutato, chiudendogli il cuore ».
Rimane nel suo peccato, al quale ha aggiunto il peccato più grave, il disprezzo della misericordia di Dio. Chi crede nel Figlio di Dio ha in sé questa testimonianza; chi non crede a Dio lo rende bugiardo perché non crede alla testimonianza che Dio ha dato al suo Figlio.Gesù è penetrato ancora più a fondo nell’anima e ha scoperto la natura e la causa del giudizio. È perché la luce è apparsa nel mondo con la venuta di Gesù, e che alla sua presenza avviene in ogni anima una decisione, una crisi, un giudizio: o ama la luce e si dona a Colui che la fa risplendere, o preferisce l’errore, la menzogna, il male, e si rifugia in essa per darsi alle sue opere che erano malvagie e rimangono tali.
Rifiutando Gesù, l’uomo giudica se stesso. L’indagine più rigorosa di tutta la sua vita non rivelerebbe meglio la sua disposizione. Chi compie azioni malvagie o fa il male non solo non ama la luce, ma la odia, perché essa rivela, accusa e condanna le disposizioni più intime del suo cuore, e si guarda bene dal venire alla luce, cioè dall’avvicinarsi a Gesù, perché sa che le sue azioni sarebbero esaminate, convinte della loro colpevolezza, come davanti a un tribunale. La situazione è ben diversa per chi pratica la verità, la verità morale che, negli scritti di Giovanni, è spesso più o meno sinonimo di santità e che è l’esatto contrario delle azioni cattive o del male. Fare la verità si riferisce allo sforzo perseverante di elevare la propria condotta al livello della propria conoscenza morale, per realizzare l’ideale di bene percepito dalla coscienza. (Godet)
Chi agisce viene alla luce, si avvicina a Gesù con fiducia, non temendo, ma desiderando che le sue opere siano rese manifeste. È perché ha in sé la testimonianza che le sue opere, la sua vita, le disposizioni del suo cuore sono fatte in Dio, in comunione con lui, in conformità al suo spirito e alla sua volontà. « Molto forte per caratterizzare le opere dell’uomo sincero, prima che abbia trovato Cristo. Ma sia in Israele che al di fuori della sfera teocratica, è da un impulso divino che proviene tutto il bene della vita umana » (Gv 37-44).
« Ovunque ci sia docilità da parte dell’uomo verso questa iniziativa divina, vale questa espressione di opere fatte in Dio, che comprende tanto i sospiri del peccatore umiliato e del credente pentito quanto le nobili aspirazioni di un Giovanni o di un Natanaele » (Godet). Gesù ha riconosciuto che ci sono uomini che, prima ancora di arrivare a lui, la luce perfetta, hanno un cuore sincero e retto, amano la verità e cercano la luce : « Chiunque è dalla verità, ascolti la mia voce » (Gv 18, 37). Sono queste le anime che il Padre attira a Gesù e che non gli resistono. Queste parole, che concludevano la conversazione, erano un incoraggiamento per Nicodemo, che era venuto lui stesso da Gesù.
Il diacono Michel Houyoux
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