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Quinta domenica di Quaresima – Anno B

Posté par diaconos le 12 mars 2024

Figlio dell'uomo»: un titolo divino-umano di Cristo - Famiglia Cristiana

È giunta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato

# Il Figlio dell’uomo è una figura escatologica utilizzata negli ambienti apocalittici giudaici a partire dal periodo postesilico. Questa espressione compare in particolare nel Libro di Daniele. Nei Vangeli, è il titolo più spesso usato da Gesù quando parla di se stesso. L’espressione stessa è una traduzione letterale del greco uios tou anthrôpou, un trasferimento dell’aramaico bar nasha, parole utilizzate all’epoca di Gesù come sostituto linguistico di « essere umano ».

Le interpretazioni a cui ha dato luogo nel cristianesimo hanno spostato il significato iniziale sull’umanità di Gesù. La sua prima attestazione risale al settimo capitolo del Libro di Daniele, datato alla persecuzione di Antioco Epifane, poco prima della rivolta dei Maccabei (160 a.C. circa). Nel Nuovo Testamento ci sono più di ottanta passi in cui Gesù di Nazareth si definisce « Figlio dell’uomo ». Egli si è presentato come il futuro giudice escatologico.

# La kenosi è una nozione della teologia cristiana espressa da una parola greca, κένωσις, « azione di svuotamento, di spogliazione di tutto »; il significato di questa nozione nel cristianesimo è illuminato dall’epistola di Paolo ai Filippesi (Fil 2,6) Questa nozione ha dato origine a numerosi sviluppi di una teologia che pone grande enfasi sull’abbassamento di Dio. Per amore, Dio si spoglia degli altri suoi attributi divini, come l’onnipotenza, la gloria, l’impassibilità, la perfezione, l’autosufficienza e la Provvidenza che governa il mondo.

La teologia della kenosi affronta il mistero del male affermando che è innanzitutto Dio a soffrire e non l’uomo: « Ma no, Dio non permette mai il male, ne soffre, ne muore, ne è innanzitutto vittima ». La teologia della kenosi è stata formalizzata dai Padri della Chiesa e ha fatto parte dei dibattiti cristologici dei primi concili. La kenosi, quindi, non riguarda la natura divina di Cristo, ma solo la sua umanità. Per Paolo di Tarso, la teologia della kenosi afferma che l’incarnazione del Verbo corrisponde a una rinuncia agli abituali privilegi divini: Dio è solo Amore e gli attributi di Dio sono solo gli attributi dell’Amore. Per Moltmann, un Dio che è solo onnipotente è un essere imperfetto.

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni

In quel tempo c’erano alcuni greci tra coloro che erano saliti a Gerusalemme per adorare Dio durante la festa di Pasqua. Vennero da Filippo, che era di Betsaida in Galilea, e gli chiesero : « Vorremmo vedere Gesù ». Filippo lo disse ad Andrea ed entrambi lo dissero a Gesù. Allora Gesù disse loro : « È giunta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. Amen, amen, vi dico : se un chicco di grano cade in terra e non muore, rimane solo; ma se muore, porta molto frutto. »

Chi ama la propria vita la perde ; chi invece mette da parte la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se qualcuno vuole servirmi, mi segua; e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre mio lo onorerà.Ora la mia anima è sopraffatta. Cosa devo dire ? « Padre, salvami da quest’ora » ? Ma no! È per questo che sono arrivato a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome ! Allora venne una voce dal cielo che disse : « L’ho glorificato e lo glorificherò ancora ».

Quando la folla lo udì, disse che fu come un tuono. Altri dissero : « Un angelo gli parlò ». Ma Gesù rispose loro : « La voce non era per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sta per essere scacciato; e io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti gli uomini a me ». Con questo intendeva il tipo di morte che stava per subire (Gv 12, 20-33).

Vogliamo vedere Gesù

Vogliamo vedere Gesù. Questa fu la richiesta di alcuni greci all’indomani della Domenica delle Palme. Erano simpatizzanti della religione ebraica e si erano recati a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Avevano sentito parlare del suo ingresso trionfale a Gerusalemme. Si misero quindi alla ricerca dei discepoli e alla fine trovarono Filippo. Gli si avvicinarono e gli esposero il loro più grande desiderio: vedere la gloria di colui di cui tutti cantavano le lodi.

Sì, sono d’accordo, ma la gloria che erano invitati ad accettare era quella di un uomo crocifisso. Hanno visto la morte dell’autore della vita, un uomo esaltato al di sopra di tutti, inchiodato a una croce. Questo Gesù innalzato da terra conoscerà la gloria perché attirerà a sé tutti gli uomini. « Vorremmo vedere Gesù ». Questa è una frase meravigliosa che sale da ogni cuore che desidera Dio. Gesù parla oggi a ciascuno di noi. Anche noi vogliamo vedere Gesù. Gesù ci fa capire una cosa molto importante : lo incontreremo dove non avremmo mai pensato di incontrarlo.

 Egli è sempre visibile, ma in modi che non avevamo immaginato. È nel malato che andiamo a trovare sul suo letto d’ospedale; è nell’uomo che è stato licenziato senza motivo, nel carcerato con cui ci teniamo in contatto, nella persona che è vittima di calunnie e dicerie. quetto ciò che facciamo per il più piccolo di questi, lo facciamo per lui. Con Gesù, i valori si capovolgono. L’umiliazione diventa grandezza. Il fallimento diventa trionfo. Lo strumento di tortura più degradante dell’epoca diventa la croce gloriosa. La vediamo come uno splendente simbolo d’amore.

Questa croce si trova nelle nostre chiese, ma anche agli incroci e sulle cime delle colline. Quando la guardiamo, scopriamo la glorificazione di un amore che va oltre ogni nostra immaginazione. Ma vedere Gesù non è sufficiente. Egli si aspetta che lo seguiamo e lo imitiamo. È un invito che ricorre spesso nei Vangeli : prendere la nostra croce e seguire Gesù. Il cammino di Cristo è una rapida discesa. È esattamente il contrario di quello che gli uomini consigliano.

Viviamo in un mondo che privilegia il denaro, il potere e lo status. Ma quando Gesù cerca l’uomo, scende nell’incarnazione e diventa uno schiavo. Scende tra gli uomini e diventa l’ultimo. È così che ci invita a seguirlo, fino alla morte, per poter partecipare alla sua risurrezione. Seguire Gesù significa anche soffrire accanto ai nostri simili, accanto a coloro che vivono nella disperazione. Egli ci invita anche a unirci a coloro che si impegnano a combattere la povertà.

In breve, dobbiamo riscoprire il significato evangelico della carità: amare, ascoltare gli altri, essere al servizio, condividere, essere attenti ai più poveri. Ogni domenica celebriamo l’Eucaristia in comunione con tutta la Chiesa, la cui missione è quella di condurci a Gesù. Inviandoci a testimoniare il suo amore e la speranza che ripone in noi, Gesù ci ricorda che è con noi ogni giorno fino alla fine del mondo. Preghiamolo insieme, affinché ci dia forza e coraggio per la missione che ci ha affidato.

Il Diacono Michel Houyoux

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Mardi de la quatrième semaine du Carême – Année Paire

Posté par diaconos le 12 mars 2024

La Guérison du paralytique à la piscine de Béthesda - Restout ...

 Jésus guérit un paralytique à la piscine de Béthesda

# La Guérison à la piscine de Béthesda est un miracle attribué à Jésus-Christ, qui guérit un paralytique à la piscine de Bethesda. Il est cité dans l’Évangile selon Jean. Il se veut créateur de foi, mais aussi le symbole du Christ venu relever l’humanité pécheresse. Ce miracle parle en fait de l’humanité qui demande à l’envoyé de Dieu de rétablir son parcours hors du péché afin de pouvoir vivre en suivant les préceptes de l’Église. Ce paralysé c’est pour le Frère Dominique toute l’humanité qui cherche son rattachement au divin, à la vie apportée par le Christ. «Lève toi … et marche» correspond à la nouvelle aventure synonyme de fraternité que propose le Messie. C’est la conversion des humains grâce à l’eau.

Saint Jean Chrysostome écrit sur ce miracle qu’il faut savoir se réjouir du bonheur qui arrive à son prochain. Il ne faut pas suivre la voie de la colère et de la jalousie, ni de l’envie envers la prospérité de son frère. Il donne la référence de saint Paul dans sa lettre aux Romains qui dit ; «Réjouissez-vous avec ceux qui se réjouissent ; pleurez avec ceux qui pleurent» (Rm 12,15). Sebastiano Ricci représenta la scène dans La Piscine de Bethesda vers 1724. Ce tableau est conservé par la Royal Collection et loué à Osterley Park.

De l’Évangile de Jésus Christ selon Jean

À l’occasion d’une fête juive, Jésus monta à Jérusalem. Or, à Jérusalem, près de la porte des Brebis,
il existe une piscine qu’on appelle en hébreu Bethzatha. Elle a cinq colonnades, sous lesquelles étaient couchés une foule de malades, aveugles, boiteux et impotents. Il y avait là un homme qui était malade depuis trente-huit ans. Jésus, le voyant couché là, et apprenant qu’il était dans cet état depuis longtemps, lui dit : «Veux-tu être guéri ?»

Le malade lui répondit : «Seigneur, je n’ai personne pour me plonger dans la piscine au moment où l’eau bouillonne ; et pendant que j’y vais, un autre descend avant moi.» Jésus lui dit : « Lève-toi, prends ton brancard, et marche.» Et aussitôt l’homme fut guéri. Il prit son brancard : il marchait ! Or, ce jour-là était un jour de sabbat. Les Juifs dirent donc à cet homme que Jésus avait remis sur pied : «C’est le sabbat ! Il ne t’est pas permis de porter ton brancard.»

Il leur répliqua : « Celui qui m’a guéri, c’est lui qui m’a dit : “Prends ton brancard, et marche !” » Ils l’interrogèrent : « Quel est l’homme qui t’a dit : “Prends ton brancard, et marche” ? » Mais celui qui avait été rétabli ne savait pas qui c’était ; car, Jésus s’était éloigné, et il y avait foule à cet endroit. Plus tard, Jésus le retrouva dans le Temple et lui dit : «Te voilà guéri. Ne pèche plus, il pourrait t’arriver quelque chose de pire. »

L’homme partit annoncer aux Juifs que c’était Jésus qui l’avait guéri. Et ceux-ci persécutaient Jésus parce qu’il avait fait cela le jour du sabbat. (Jn 5, 1-16)

Guérison par Jésus d’un paralytique

Au mois de décembre, la Pâque était proche. L’Évangile de Jean fut écrit avant la ruine de Jérusalem ; car un réservoir alimenté par une source subsista après cette catastrophe ; et quelques siècles plus tard,au temps d’Eusèbe, elle jaillissait encore. La porte des brebis, mentionnée dans l’Ancien Testament était située au nord-est de Jérusalem, près du temple. On avait appelé ce lieu Béthesda, c’est-à-dire maison de grâce, ou de miséricorde, sans doute parce qu’on voyait, avec raison, dans cette source une marque de la bonté de Dieu envers tant de malheureux qui venaient y chercher la guérison ou le soulagement de leurs maux.

Il portait ce nom, dit M. Félix Bovet, parce que le petit bétail qui entrait à Jérusalem y arrivait par l’est, car ce fut de ce côté-là que se trouvèrent les immenses pâturages du désert de Juda. De nos jours encore, c’est par la porte de Saint-Étienne qu’entrent à Jérusalem tous les moutons nécessaires à la subsistance de la ville. On estima que cette porte de Saint-Étienne fut la même que celle qui s’appelait autrefois porte des brebis. Peut-être y avait-il aussi près de cette porte un marché où l’on vendait de ces animaux pour les sacrifices. Cette piscine, fut un vaste bassin où jaillissait une source d’eau entourée de portiques pour abriter les malades qui s’y rassemblaient.

Il y eut une fête qui tombait entre ces deux époques, c’était celle de Purim, célébrée en mars, en mémoire de la délivrance du peuple juif par le moyen d’Esther. Jean nomma quelques-unes de ces maladies, pour donner une idée de toutes celles qui purent s’y trouver encore. Les paralytiques, mentionnés ici, étaient des malades dont les membres étaient desséchés, perclus, atrophiés : «Un autre jour de sabbat, Jésus était entré dans la synagogue et enseignait. Il y avait là un homme dont la main droite était desséchée. » (lc 6, 6) Tel était l’homme qui fut guérit par Jésus.

Monsieur Félix Bovet fut témoin d’un triste spectacle tout semblable à celui qui se présenta à Béthesda. Ce fut à la piscine d’Ibrahim, près de Tibériade : la salle où se trouvait la source état entourée de plusieurs portiques, dans lesquels se trouvèrent une foule de gens entassés les uns sur les autres, couchés sur des grabats, ou roulés dans des couvertures, avec de lamentables expressions de misère et de souffrance. ces paralytiques couchés dans les cinq portiques du lavoir de Béthesda !

La piscine est en marbre blanc, de forme circulaire, et couverte d’une coupole soutenue par des colonnes. Le bassin est entouré intérieurement d’un gradin où l’on peut s’asseoir. (Félix Bovet, Voyage en Terre Sainte) Ces malades attendaient le jaillissement de la source, qui était intermittente. Le même phénomène fut observé, récemment encore, par divers voyageurs à une source située au sud-est de Morija, à l’es de Jérusalem, et qui s’appelle la source de la Vierge. Elle est quelquefois complètement desséchée, puis on la voit de nouveau jaillir avec abondance, deux ou trois fois par jour.

Le mouvement de l’eau fut interprété comme un phénomène dût à une intervention surnaturelle : «Car un ange descendait de temps en temps dans le réservoir et troublait l’eau ; celui donc qui y entrait le premier après que l’eau avait été troublée guérissait, de quelque maladie qu’il fût atteint.» Jésus vit ce malade parmi tous les autres, et ressentit pour lui une profonde compassion. Il savait, qu’il y eut longtemps qu’il souffrit, par cette intuition divine avec laquelle il pénétrait toute la vie de ceux qu’il avait devant lui. La question : «Veux-tu être guéri ?» parut étrange. Il était bien évident qu’il le voulait !

Paralysé depuis tant d’années, découragé, ayant vu toutes ses espérances déçues, cet homme avait probablement perdu jusqu’à la faculté de vouloir. Le premier but de la question de Jésus fut d’exciter cette volonté paralysée comme le corps du malade, de produire chez lui un mouvement d’espoir et d’énergie. Le malade sentit la compassion de Jésus et n’hésita pas à lui raconter toute sa misère. D’ailleurs Jésus avait en vue une guérison plus grande que celle du corps ; et pour qu’il pût opérer ce relèvement moral, il lui importa d’obtenir du malade une réponse ferme à cette question  : «Veux-tu ?

Il y eut une simplicité touchante dans la réponse de cet homme. Non seulement il fut malade, impuissant, mais abandonné : «Je n’ai personne ! Je viens, toujours le dernier, toujours trop tard ! » Quel découragement ! La parole créatrice de Jésus eut un effet immédiat. Ces Juifs étaient des membres du sanhédrin qui, sans avoir égard au miracle accompli, ni à la délivrance d’un malheureux, ne songèrent qu’à faire respecter la lettre de la loi ! : «Ainsi parle l’Éternel : Prenez garde à vos âmes ; Ne portez point de fardeau le jour du sabbat, Et n’en introduisez point par les portes de Jérusalem. » (Jr 17, 21)

Heureux de sa délivrance, cet homme en appela à l’ordre et à l’autorité de Jésus qui l’eut guéri ; cette autorité, il l’opposa sans hésiter, à celle des membres du conseil. La question des chefs du peuple fut habile, et trahit leur peu de sincérité. Ils ne demandèrent pas : «Qui t’a guéri ?» Ils évitèrent avec soin de constater le miracle, qui les gênait. Le malade guéri ne put répondre, parce que Jésus ne s’était pas fait connaître. Ce fut dans le temple que Jésus trouva cet homme. Il s’y était rendu pour rendre grâces à Dieu. Ce fut là que l’attendit une grâce nouvelle, le sérieux avertissement de Jésus. Le péché, cause de la souffrance, telle fut la loi universelle du monde moral que nous révèle partout l’Écriture, d’accord avec l’expérience : «Ses disciples lui posèrent cette question: Rabbi, qui a péché, cet homme ou ses parents, pour qu’il soit né aveugle ?» (Jn 9, 2)

Mais chez cet homme, la maladie fut l’effet de quelque péché particulier, puisque Jésus, après sa délivrance, l’exhorta à ne plus se laisser aller à la vie de désordre qu’il menait autrefois. S’il la recommençait, il pouvait s’attendre à quelque chose de pire. Or par quelque chose de pire que trente-huit ans dans la maladie, Jésus entendait la perdition. La première déclaration de cet homme, montra qu’il y avait en lui plus que cette préoccupation personnelle : il s’était abrité sous l’autorité de Jésus ; il saisit l’occasion d’affirmer à nouveau, en rappelant sa guérison, l’autorité de celui qui opéra sa merveilleuse délivrance, en faisant connaître cette fois le nom de son bienfaiteur. Il ne put savoir qu’il en résulterait des inconvénients pour celui-ci.

Jésus, pour se justifier d’avoir fait du bien le jour du sabbat, éleva sa pensée vers Celui qu’il nomma son Père, dans un sens que lui seul put donner à ce nom. Il vit son Père exerçant une action immense et incessante sur tout l’univers et, en particulier, sur ses créatures intelligentes, qu’il voulut amener au salut. Ce fut là ce que Jésus, par une expression populaire, appela travail de Dieu. Ce travail ne fut pas interrompu par aucun sabbat. Dieu agit non seulement depuis la création du monde d’une manière continue, incessante, mais il agit jusqu’à présent ou jusqu’ici.

Par ce dernier terme Jésus désigna l’instant où eut lieu la guérison qu’on lui reprocha et dans laquelle se manifesta l’action de Dieu. Et, se sentant en communauté parfaite de volonté et d’action avec le Père, Jésus ajouta : «Et moi aussi je travaille.» Il travaille, non par simple imitation de Dieu, mais en vertu d’une nécessité morale de sa nature divine. Et en agissant ainsi, il ne viola pas plus le sabbat que Dieu ne le viole, il l’accomplit, non selon la lettre, mais selon l’esprit et dans l’amour qui  porta Dieu à l’instituer.

 Il ne répond pas que la loi de garder le sabbat a été temporelle, et que maintenant elle serait abolie : mais plutôt il nie qu’il ait violé la loi, d’autant que ce qu’il avait fait était une œuvre divine… C’est le point sur lequel Christ s’arrête, que le saint repos qui a été commandé par la loi de Moïse n’est point troublé quand on s’emploie à œuvres de Dieu. Et par cette raison, non seulement il excuse son fait, mais aussi le fait de cet homme qui a chargé son lit. Car c’était une dépendance et comme une partie du miracle, d’autant que ce n’était qu’une approbation d’iceluy. Et puis, si on estime entre les œuvres de Dieu l’action de grâces, et la publication de sa gloire, ce n’était point une profanation du sabbat de rendre témoignage de pieds et de mains de la grâce de Dieu. — Calvin

Diacre Michel Houyoux

Compléments

◊ Diacre Michel Houyoux : cliquez ici pour lire l’article → Béthesda : «À la découverte du monde biblique par l’archéologie»

◊ Diacre Michel Houyoux : cliquez ici pour lire l’article →Je ne suis pas venu appeler des justes, mais des pécheurs

Liens avec d’autres sites web chrétiens

◊ Regnum Christi : cliquez ici pour lire l’article → Aussitôt l’homme fut guéri

◊ Gloire à Dieu : cliquez ici pour lire l’article → Aussitôt l’homme fut guéri

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Vidéo Cliquez Icihttps://youtu.be/MdrV8Nn02Q8

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