Sesta domenica di Pasqua – Anno B

Posté par diaconos le 30 avril 2024

Les paroles de Jésus à Ses disciples après Sa résurrection

# Il Vangelo secondo Giovanni è l’ultimo dei quattro Vangeli canonici del Nuovo Testamento. La tradizione cristiana lo attribuisce a uno dei discepoli di Gesù, l’apostolo Giovanni, figlio di Zebedeo. Secondo Philippe Rolland, i primi Padri della Chiesa sono unanimi nell’affermare che questo Vangelo è l’ultimo dei quattro nel tempo e che è stato scritto da Giovanni.  Tra di loro ci sono Ireneo di Lione, morto nel 210, Clemente di Alessandria, morto nel 211, e Origene, morto nel 245. Per non parlare di Marcione, che morì nel 160 e non è un Padre della Chiesa. Questa ipotesi è oggi respinta dalla maggior parte degli storici, che vedono in questo testo l’opera di una comunità giovannea della fine del I secolo, la cui vicinanza agli eventi è stata oggetto di dibattito.

Questo testo fu scritto in greco, come gli altri tre Vangeli canonici, noti come Sinottici, ma si differenzia da essi per la composizione, lo stile poetico, la teologia e probabilmente le fonti, oltre che per alcuni episodi insoliti, come le nozze di Cana e la donna adultera. Nella dottrina trinitaria, il Vangelo secondo Giovanni è il più importante in termini di cristologia, perché afferma implicitamente la divinità di Gesù, che descrive come Verbo incarnato di Dio.

# Il Vangelo secondo Giovanni è l’ultimo dei quattro Vangeli canonici del Nuovo Testamento. La tradizione cristiana lo attribuisce a uno dei discepoli di Gesù, l’apostolo Giovanni, figlio di Zebedeo. Secondo Philippe Rolland, i primi Padri della Chiesa sono unanimi nell’affermare che questo Vangelo è l’ultimo dei quattro nel tempo e che è stato scritto da Giovanni.
Tra di loro ci sono Ireneo di Lione, morto nel 210, Clemente di Alessandria, morto nel 211, e Origene, morto nel 245.

Per non parlare di Marcione, morto nel 160, che non è un Padre della Chiesa. Questa ipotesi è oggi respinta dalla maggior parte degli storici, che vedono in questo testo l’opera di una comunità giovannea della fine del I secolo, la cui vicinanza agli eventi è discussa. Questo testo fu scritto in greco, come gli altri tre Vangeli canonici, noti come Sinottici, ma si differenzia da essi per la composizione, lo stile poetico, la teologia e probabilmente le fonti, oltre che per alcuni episodi singolari, come le nozze di Cana e la donna adultera.

Nella dottrina trinitaria, il Vangelo secondo Giovanni è il più importante in termini di cristologia, perché afferma implicitamente la divinità di Gesù, che descrive come Verbo incarnato di Dio. # Il Sacro Cuore è una devozione al cuore di Gesù Cristo, come simbolo dell’amore divino con cui Dio ha assunto la natura umana e ha dato la vita per gli uomini. Questa devozione è particolarmente diffusa nella Chiesa cattolica, ma anche nella Chiesa anglicana e in alcune chiese luterane.

Sottolinea i concetti di amore e di adorazione di Cristo. La Solennità del Sacro Cuore fu istituita da Papa Clemente XIII nel 1765 ed estesa a tutta la Chiesa cattolica da Papa Pio IX nel 1856. La diffusione di questa devozione nella Chiesa cattolica, a partire dal XVII secolo, si deve alle rivelazioni di una suora di Paray-le-Monial, Marguerite-Marie Alacoque, che affermò di averla ricevuta da Cristo stesso durante varie apparizioni tra il 1673 e il 16752.

In seguito, a partire dal XIX secolo, essa derivò dalle rivelazioni di un’altra suora cattolica, la Madre Superiora del convento della Congregazione del Buon Pastore di Oporto, Maria del Divin Cuore Droste zu Vischering, che chiese a Papa Leone XIII di consacrare il mondo intero al Sacro Cuore di Gesù. Pio XI disse : « Lo spirito di espiazione o di riparazione ha sempre avuto il primo e principale ruolo nel culto del Sacro Cuore di Gesù ».

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli : « Come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. » Vi ho detto questo perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia completa. Il mio comandamento è questo : « Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato »

Non c’è amore più grande che dare la vita per coloro che amiamo. Voi siete miei amici se fate ciò che vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il padrone; vi chiamo amici, perché tutto quello che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga. Perciò qualsiasi cosa chiederete al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri. (Gv 15, 9-17)

Come io ho amato voi

È l’amore di Gesù che vive nel cuore dei suoi discepoli la fonte del loro amore reciproco. Egli insisteva su questo comandamento, la cui osservanza era l’anima della vita cristiana : « Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amato, anche voi dovete amarvi gli uni gli altri ». (Gv 13,34) La misura dell’amore che dovevano avere gli uni per gli altri era in quella parola : come io ho amato voi. E Gesù spiegò come li amava. Dare la vita per i propri amici è la più grande prova d’amore che si possa dare loro.

Ecco perché contemplare Gesù che muore sulla croce sarà sempre il modo migliore per comprendere la grandezza del suo amore. Queste parole di Gesù rimasero profondamente impresse nel cuore di Giovanni, che le ripeté anche in seguito. Secondo l’apostolo Paolo, Gesù dimostrò un amore ancora più grande quando volle morire non solo per i suoi amici, ma anche per i peccatori. Gesù aveva appena detto che avrebbe dato la vita per i suoi amici.

Poi, rivolgendosi amorevolmente ai suoi discepoli, aggiunse : « Voi siete miei amici !« . Questo per dire loro allo stesso tempo : « Lo proverete, da parte vostra, con l’obbedienza dell’amore ». Gesù fece loro apprezzare molto questa bella parola « amico » che aveva dato loro. E ne spiegò il significato profondo. Disse loro : « Non vi chiamo più servi, perché il servo rimane estraneo ai pensieri e ai progetti del suo padrone, ma vi ho dimostrato che siete miei amici, perché vi ho fatto conoscere tutti i progetti di misericordia e di amore che il Padre mio mi ha affidato per realizzare la salvezza del mondo ».

Questo è ciò che Gesù ha espresso in questi termini familiari : « Tutte le cose che ho udito dal Padre mio ». Con tutto il loro amore per Gesù, non potevano mai dimenticare che egli era il Signore, e quanto più li elevava a lui, tanto più sentivano il bisogno di umiliarsi alla sua presenza. Tutto questo », ha aggiunto Gesù, « l’ho fatto perché andiate liberamente, con gioia, al vostro lavoro e portiate frutto, un frutto permanente per la vita eterna ». Queste cose, queste parole e queste istruzioni di Gesù, in cui tutto era amore da parte sua, egli le ha elargite ai suoi, affinché essi si amassero a loro volta.

Così gli apostoli hanno compreso l’immensa importanza di questo amore reciproco, che è l’anima della Chiesa nella sua comunione con Gesù. 

Il diacono Michel Houyoux


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Mercredi de la cinquième semaine du Temps de Pâques – Année Paire

Posté par diaconos le 30 avril 2024

♥ Par Jésus † avec Lui † et en Lui † ♥

 # Dans la théologie chrétienne, on parle de communion mystique pour décrire le lien existentiel personnel étroit, la communion qui unit le chrétien à Jésus-Christ et par laquelle il partage les bienfaits salvateurs de sa vie, de sa mort et de sa résurrection. Cette communion est dite mystique parce qu’elle s’accomplit de manière mystérieuse et surnaturelle. Au sein du christianisme, il existe différentes approches du thème de la communion mystique.

Dans le catholicisme romain, l’anglicanisme et le luthéranisme, cette union est établie par le baptême et nourrie par les sacrements, qui sont considérés comme les moyens privilégiés par lesquels la grâce est communiquée. Le mysticisme met tellement l’accent sur l’identification du Christ avec le chrétien qu’il prétend qu’une sorte de fusion complète a lieu, bien qu’ils restent des personnes distinctes. Le rationalisme religieux imagine Dieu comme une réalité immanente au monde et à l’esprit humain.

Le Christ est immanent à la nature et à l’esprit humains. Par conséquent, le salut est pensé de manière universelle, indépendamment de la foi consciente de l’homme en Christ. C’est pourquoi il cite souvent le texte biblique : « De même qu’en Adam tous meurent, de même en Christ tous seront rendus vivants » (1 Co 15, 22).

Le Vrai cep est une parabole donnée par Jésus-Christ. Elle est citée dans l’Évangile selon saint Jean. Elle parle de l’importance pour le croyant de rester attacher au vrai cep qui symbolise le Christ, cela pour porter du fruit en abondance. Les fruits, étant à l’image de la relation entre le sarment et le plant principal par la sève qui circule entre les deux, peuvent faire référence à beaucoup d’autres passages bibliques comme celui des fruits de l’Esprit en Galate 5 verset 22.

Pour saint Augustin, les sarments sont dans la vigne afin de recevoir d’elle leur principe de vie. Les humains doivent rester attacher aux vertus données, à la parole transmise par le Christ afin de donner des fruits sains. Benoît XVI dans un commentaire, aborde le sujet de la liberté et des préceptes divins. Mélanger les deux n’est pas incompatible. Il faut écouter Dieu et il nous donnera la force pour créer et marcher dans notre chemin. La récolte spirituelle sera alors abondante.

Que signifie être chrétien ?

Cette page de l’Évangile de Jean nous conduit au cœur même de la foi : Jésus explique enfin à ses disciples ce que signifie être son disciple. Jésus n’est pas seulement un guide ou un compagnon, un ami ou un frère. Il est notre vie. Il est vivant en chacun de nous et nous fait vivre sa vie divine. Il nous enseigne qu’il est la vraie vigne, mais pas la seule ; il est le cep, le tronc auquel il veut rattacher tous ceux qu’il appelle à la vie : « Je suis la vigne et vous êtes les sarments ».

Nous, chrétiens, sommes unis à Lui par la foi et le baptême. Dieu attend de nous que nous devenions une vigne vivante qui porte du fruit. Cela n’est possible que si nous sommes unis au Christ ; en quelques lignes, un mot revient sept fois, et c’est le verbe « demeurez en moi », nous dit Jésus. Les chrétiens sont des hommes et des femmes qui demeurent dans le Christ. Cela soulève inévitablement une question : demeurer en Jésus oui, mais comment ? Comment être sûr de le rencontrer ? »

De l’Évangile de Jésus Christ selon Jean

En ce temps-là, Jésus disait à ses disciples : « Moi, je suis la vraie vigne, et mon Père est le vigneron. Tout sarment qui est en moi, mais qui ne porte pas de fruit, mon Père l’enlève ; tout sarment qui porte du fruit, il le purifie en le taillant, pour qu’il en porte davantage. Mais vous, déjà vous voici purifiés grâce à la parole que je vous ai dite. Demeurez en moi, comme moi en vous. De même que le sarment ne peut pas porter de fruit par lui-même s’il ne demeure pas sur la vigne, de même vous non plus, si vous ne demeurez pas en moi.

Moi, je suis la vigne, et vous, les sarments. Celui qui demeure en moi et en qui je demeure, celui-là porte beaucoup de fruit, car, en dehors de moi, vous ne pouvez rien faire. Si quelqu’un ne demeure pas en moi, il est, comme le sarment, jeté dehors, et il se dessèche. Les sarments secs, on les ramasse, on les jette au feu, et ils brûlent. Si vous demeurez en moi, et que mes paroles demeurent en vous, demandez tout ce que vous voulez, et cela se réalisera pour vous. Ce qui fait la gloire de mon Père, c’est que vous portiez beaucoup de fruit et que vous soyez pour moi des disciples. » (Jn 15, 1-8)

Le cep et les sarments

Les interprètes se demandèrent quelle circonstance extérieure put amener Jésus à se présenter à ses disciples sous l’image d’u  cep de vigne. les uns pensèrent que ce fut la vue de la coupe avec laquelle il institua la cène, en prononçant cette parole : «Je ne boirai plus de ce produit de la vigne» Les exégètes qui admirent que ce discours fut prononcé en plein air, sur les pentes du Cédron , se représentèrent Jésus passant le long d’une vigne. Mais puisque Jean garda le silence sur ce détail, nous ajouterons, avec R. Strier, qu’il y eut quelque chose de mesquin à penser que Jésus dut avoir sous les yeux l’objet matériel dont il fit une image.

Ce qui est digne de toute notre attention, c’est l’admirable parabole par laquelle il figura son union avec les siens, cette union dont il leur parla, cette union qui fut aussi vivante, aussi intime, aussi organique que celle des sarments avec le cep dont ils tirèrent la sève, la vie, la fertilité. Il est le vrai cep, le véritable, celui qui, dans la sphère spirituelle et morale, et dans ses rapports avec les âmes, réalise pleinement l’idée du cep dans la nature.

Le cep de vigne est une plante sans apparence et sans beauté, mais elle est vivace et produit des fruits exquis un vin généreux. Une telle plante donne lieu à une comparaison pleine de vérité de richesse et de beauté. «Mon Père est le vigneron», ajouta Jésus. C’est Dieu qui planta ce cep au sein de notre humanité, en envoyant son Fils au monde, et qui, par l’effusion de l’Esprit, provoqua sa croissance ; c’est Dieu qui amena les âmes à la communion avec Jésus.

Il y a, dans les ceps de vigne, des rejetons sauvages qui ne portent jamais de fruit ; le vigneron les retranche, afin qu’ils n’absorbent pas inutilement la sève. Un homme peut, de diverses manières, appartenir extérieurement à Jésus-Christ en se rattachant à son Église, en professant la foi chrétienne sans avoir part à la vie sanctifiante du Christ. Tôt ou tard, il se verra retranché, exclu de cette communion apparente avec Jésus.

Les vrais sarments portent du fruit. Ceux-ci, Dieu les nettoie, les émonde , les purifie et  les émonde. Jésus eut dit que ces sarments fertiles durent être débarrassés de tout jet inutile, et même d’une partie de leur feuillage qui empêcherait le fruit de mûrir. C’est Dieu encore qui poursuit, dans ses enfants, cette œuvre de purification et de sanctification continue, il l’accomplit par sa Parole, par son Esprit, par tous les moyens de sa grâce.

Si cela ne suffit pas, le céleste cultivateur emploie l’instrument tranchant et douloureux des épreuves, de la souffrance et des renoncements qu’il impose à ses enfants. Car ce qu’il veut à tout prix, c’est qu’ils portent plus de fruit. Jésus, se tournant vers ses disciples, les rassura au sujet de ce mot sévère : il nettoie tout sarment qui porte du fruit.Déjà ils furent nets, purs : au moyen de la parole divine que Jésus leur annonça, un principe impérissable de vie nouvelle fut déposé dans leur cœur, et s’y développa peu à peu jusqu’à la perfection.

Jésus invita ses disciples à renoncer constamment à tout mérite propre, à toute sagesse propre, à toute volonté et à toute force propres, ce qui fut, pour eux, la condition d’une communion vivante avec lui. «Si vous le faites, je demeurerai en vous, comme la source intarissable de votre vie spirituelle. Sinon, vous vous condamneriez à la stérilité du sarment séparé du cep

Afin de rendre plus frappante encore la conséquence négative qui précède, Jésus déclara solennellement que ce fut lui qui fut le cep et que ses disciples furent les sarments ; pour conclure qu’en lui, ils porteront beaucoup de fruit, mais que, hors de lui, ils n’en porteraient aucun, pas plus que le sarment séparé du cep. Mais ce fruit, qui le porte ?

Celui-là seul qui demeure en moi, dit Jésus ; d’où il résulte que c’est l’Esprit de Christ, qui, comme la sève du cep dans le sarment, nous fait seul porter du fruit; c’est ce que confirme le fait d’expérience que nous hors de Christ, comme le sarment détaché du cep, ne pouvons rien produire, rien de véritablement bon, rien qui supporte le regard du Dieu saint et qui lui soit agréable.

Le thème ici formulé n’est pas celui de l’impuissance morale de l’homme naturel pour tout bien ; c’est celui de l’infécondité du croyant laissé à sa force propre, quand il s’agit de produire ou d’avancer la vie spirituelle, la vie de Dieu, en lui ou chez les autres.

Non seulement celui qui ne demeure pas en Jésus, dans une communion vivante avec lui, ne peut rien faire, mais il va au-devant d’une succession de jugements terribles. Le sarment séparé du cep est d’abord jeté dehors, hors de la vigne qui représente le royaume de Dieu, et il sèche nécessairement, puisqu’il ne reçoit plus la sève du cep. Qu’on pense à Judas, par exemple dont Jésus annonça la ruine.

Ce jugement, moralement accompli dès maintenant, aura au dernier jour son issue tragique que décrivirent les paroles : «On ramasse ces sarments, et on les jette au feu et ils brûlent» Dans la parabole, ce sont les serviteurs du vigneron ; dans la réalité, ce sont les anges de Dieu. Après avoir prononcé ces redoutables paroles, Jésus revint avec tendresse à ses disciples qui demeurèrent en lui, et il leur promit les grâces les plus précieuses : toutes leurs prières furent exaucées et ils eurent le bonheur de glorifier Dieu par des fruits abondants.

La communion des disciples avec Jésus est ici exprimée par ces deux termes : «Si vous demeurez en moi et que mes paroles demeurent en vous» Les paroles de Jésus, qui sont esprit et vie, et qu’ils gardent dans leur cœur, sont le lien vivant de communion avec lui. Inspirés par elles, ils sont à la source de toutes les grâces divines, et leurs prières, qui ne seront plus que les paroles de Jésus transformées en requêtes, obtiendront toujours un exaucement certain.

Dieu, dans ses perfections, sa puissance, sa sainteté, son amour, se glorifie en reproduisant, dans le moindre de ses enfants, ces divers traits de sa ressemblance, plus que par toute la magnificence des œuvres de la création. Portez beaucoup de fruit à la gloire de Dieu, ce sera la preuve certaine que vous êtes mes disciples et le moyen de le devenir toujours de nouveau.

Diacre Michel Houyoux

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Sixième dimanche de Pâques – Année Paire

Posté par diaconos le 29 avril 2024

 Jean 15:10

# L’Évangile selon Jean est le dernier des quatre Évangiles canoniques du Nouveau Testament. La tradition chrétienne l’a attribué à l’un des disciples de Jésus, l’apôtre Jean, fils de Zébédée. Selon Philippe Rolland, les premiers Pères de l’Église sont unanimes à affirmer que cet Évangile est le dernier des quatre dans le temps et qu’il a été rédigé par Jean. Ce sont en particulier, Irénée de Lyon mort en 210, Clément d’Alexandrie mort en 211, et Origène mort en 245. Sans compter Marcion mort en 160 qui n’est pas un Père de l’Église. Cette hypothèse est aujourd’hui rejetée par la plupart des historiens, qui voient dans ce texte l’œuvre d’une  communauté johannique, à la fin du Ier siècle, dont la proximité avec les événements fit débat.

Ce texte fut rédigé en grec, tout comme les trois autres évangiles canoniques, dits synoptiques, mais il s’en démarqua par sa composition, son style poétique, sa théologie, et probablement par ses sources, ainsi que par quelques épisodes singuliers, à l’instar des Noces de Cana ou encore de la  femme adultère. Dans la doctrine trinitaire, l’Évangile selon Jean est le plus important en matière de christologie, car il énonce implicitement la divinité de Jésus, qu’il décrit comme le Verbe de Dieu incarné.

# L’Évangile selon Jean est le dernier des quatre Évangiles canoniques du Nouveau Testament. La tradition chrétienne l’a attribué à l’un des disciples de Jésus, l’apôtre Jean, fils de Zébédée. Selon Philippe Rolland, les premiers Pères de l’Église sont unanimes à affirmer que cet Évangile est le dernier des quatre dans le temps et qu’il a été rédigé par Jean. Ce sont en particulier, Irénée de Lyon mort en 210, Clément d’Alexandrie mort en 211, et Origène mort en 245. Sans compter Marcion mort en 160 qui n’est pas un Père de l’Église. Cette hypothèse est aujourd’hui rejetée par la plupart des historiens, qui voient dans ce texte l’œuvre d’une communauté johannique, à la fin du Ier siècle, dont la proximité avec les événements fait débat.

Ce texte fut rédigé en grec, tout comme les trois autres évangiles canoniques, dits synoptiques, mais il s’en démarqua par sa composition, son style poétique, sa théologie, et probablement par ses sources, ainsi que par quelques épisodes singuliers, à l’instar des Noces de Cana ou encore de la femme adultère Dans la doctrine trinitaire, l’Évangile selon Jean est le plus important en matière de christologie, car il énonce implicitement la divinité de Jésus, qu’il décrit comme le Verbe de Dieu incarné.

# Le Sacré-Cœur est une dévotion au cœur de Jésus-Christ, en tant que symbole de l’amour divin par lequel Dieu a pris la nature humaine et a donné sa vie pour les hommes. Cette dévotion est particulièrement présente au sein de l’Église catholique mais aussi dans l’Église anglicane et dans certaines Églises luthériennes. Elle met l’accent sur les concepts d’amour et d’adoration voués au Christ. La solennité du Sacré-Cœur a été instituée par le pape Clément XIII en 1765 et étendue à toute l’Église catholique par le pape Pie IX en 1856. x

L’extension de cette dévotion dans l’Église catholique à partir du XVIIe siècle vient des révélations d’une visitandine de Paray-le-Monial, Marguerite-Marie Alacoque, qui affirma l’avoir reçue du Christ lui-même lors de différentes apparitions entre 1673 et 16752. Plus tard, à partir du XIXe siècle, elle provient des révélations d’une autre religieuse catholique, la mère supérieure du couvent de la congrégation du Bon Pasteur de Porto, Marie du Divin Cœur Droste zu Vischering, qui demanda au pape Léon XIII qu’il consacre le monde entier au Sacré-Cœur de Jésus. Pie XI a indiqué : «L’esprit d’expiation ou de réparation a toujours tenu le premier et principal rôle dans le culte rendu au Sacré-Cœur de Jésus».

De l’Évangile de Jésus Christ selon Jean

En ce temps-là, Jésus disait à ses disciples : « Comme le Père m’a aimé, moi aussi je vous ai aimés. Demeurez dans mon amour. Si vous gardez mes commandements, vous demeurerez dans mon amour, comme moi, j’ai gardé les commandements de mon Père, et je demeure dans son amour. Je vous ai dit cela pour que ma joie soit en vous, et que votre joie soit parfaite. Mon commandement, le voici : «Aimez-vous les uns les autres comme je vous ai aimés.»

Il n’y a pas de plus grand amour que de donner sa vie pour ceux qu’on aime. Vous êtes mes amis si vous faites ce que je vous commande. Je ne vous appelle plus serviteurs, car le serviteur ne sait pas ce que fait son maître ; je vous appelle mes amis, car tout ce que j’ai entendu de mon Père, je vous l’ai fait connaître. Ce n’est pas vous qui m’avez choisi, c’est moi qui vous ai choisis et établis afin que vous alliez,

que vous portiez du fruit, et que votre fruit demeure. Alors, tout ce que vous demanderez au Père en mon nom, il vous le donnera. Voici ce que je vous commande : c’est de vous aimer les uns les autres. » (Jn 15, 9-17)

Comme je vous ai aimés

C’est l’amour de Jésus vivant dans le cœur de ses disciples qui fut la source de leur amour mutuel. Il insista sur ce commandement, dont l’observation fut l’âme de la vie chrétienne : «Je vous donne un commandement nouveau : c’est de vous aimer les uns les autres. Comme je vous ai aimés, vous aussi aimez-vous les uns les autres.» (Jn 13, 34) La mesure de l’amour qu’ils durent avoir les uns pour les autres fut dans ce mot : comme je vous ai aimés. Et Jésus expliqua comment il le aima. Donner sa vie pour ses amis, la plus grande preuve d’amour qu’on puisse leur donner.

Aussi, contempler Jésus mourant sur la croix sera toujours le meilleur moyen de se pénétrer de la grandeur de son amour. Cette parole de Jésus resta profondément gravée dans le cœur de Jean ; il la répéta, plus tard. D’après l’apôtre Paul, Jésus montra un amour plus grand encore, quand il voulut mourir, non seulement pour ses amis, mais pour des pécheurs. Jésus vint de dire qu’il donne sa vie pour ses amis.

Puis, se tournant avec amour vers ses disciples, il ajouta : «Vous êtes mes amis  !» Ce fut leur dire en même temps : «Vous le prouverez, de votre côté, par l’obéissance de l’amour » Jésus leur fit apprécier hautement ce beau mot d’ami qu’il leur donna. Et, pour cela, il leur en expliqua le sens profond. : «Je ne vous appelle plus serviteurs, parce que le serviteur reste étranger aux pensées et aux projets de son maître, mais je vous ai prouvé que vous êtes mes amis, parce que je vous ai fait connaître tous les desseins de miséricorde et d’amour que mon Père m’a chargé d’accomplir pour le salut du monde.»

C’est là ce que Jésus exprima par ces termes familiers : «Toutes les choses que j’ai entendues de mon Père.» Malgré tout leur amour pour Jésus, ils ne purent jamais oublier qu’il était le Seigneur, et plus il les élevait jusqu’à lui plus ils éprouvaient le besoin de s’abaisser en sa présence. Bien que Jésus éleva ses disciples jusqu’à ce rapport intime d’amour avec lui, ils ne durent pas oublier qu’ici toute l’initiative vint de lui. : il qui les eut choisis pour leur apostolat .

Tout cela, ajouta Jésus, je le fit, afin que vous alliez librement, joyeusement, à votre œuvre et que vous puissiez porter du fruit, un fruit permanent pour la vie éternelle. Ces choses, ces paroles et ces instructions de Jésus dans lesquelles tout fut amour de sa part, il les prodigua aux siens, afin qu’à leur tour ils s’aimèrent les uns les autres. Il leur en fit une douce obligation, sur laquelle il insista, aussi les apôtres comprirent-ils compris l’immense importance de cet amour mutuel qui est l’âme de L’Église dans sa communion avec Jésus.

Diacre Michel Houyoux

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Mardi de la cinquième semaine du Temps Pascal – Année Paire

Posté par diaconos le 29 avril 2024

 

Je vous laisse la paix, je vous donne ma paix. Jean 14 27, Facing Fear ...

# Le Saint-Esprit est et la troisième entité de la Trinité dans le christianisme. L’Esprit saint est une personne différente du Père et du Fils, et formant avec eux un seul Dieu. Le dogme de la Trinité fut formulé progressivement, lors des conciles anciens, en particulier à partir du premier concile de Nicée. Cette interprétation repose sur l’usage dans la Bible hébraïque et les écrits juifs du terme ruach ha-kodesh esprit saint pour désigner l’esprit de YHWH Le Saint-Esprit dans le judaïsme se réfère généralement à l’aspect divin de la prophétie et de la sagesse. Il se réfère également à la force divine, à la qualité et à l’influence du Dieu sur l’univers ou sur ses créatures, dans des contextes donnés.

L’Esprit saint est un terme qui apparaît, via le syriaque, aussi dans les écrits pré-islamiques et dans le Coran. Ce terme est polysémique. . Le mot Esprit traduit dans le Nouveau Testament le mot grec Pneuma (littéralement Souffle). C’est pourquoi l’étude du Saint-Esprit est appelée la pneumatologie. L’objectif principal de l’œuvre du Saint-Esprit dans la Bible est la communication de la paix et de la vie surnaturelle de Dieu dans et à travers la vie de l’être humain, homme et femme, afin d’accomplir ce pour quoi il est venu : Glorifier le Fils Jésus-Christ.

De l’Évangile de Jésus Christ selon Jean

En ce temps-là, Jésus disait à ses disciples : « Je vous laisse la paix, je vous donne ma paix ; ce n’est pas à la manière du monde que je vous la donne. Que votre cœur ne soit pas bouleversé ni effrayé. Vous avez entendu ce que je vous ai dit : Je m’en vais, et je reviens vers vous. Si vous m’aimiez, vous seriez dans la joie puisque je pars vers le Père, car le Père est plus grand que moi.
Je vous ai dit ces choses maintenant, avant qu’elles n’arrivent ; ainsi, lorsqu’elles arriveront, vous croirez. Désormais, je ne parlerai plus beaucoup avec vous, car il vient, le prince du monde. Certes, sur moi il n’a aucune prise, mais il faut que le monde sache que j’aime le Père, et que je fais comme le Père me l’a commandé. » (Jn 14, 27-31a)

Dernières consolations

Jésus, pressentant toutes les difficultés et toutes les craintes qui assaillirent le cœur de ses disciples, leur fit part d’une grâce suprême, d’un bien sans lequel il n’y eut pas de bonheur, avec lequel nous ne saurions jamais être malheureux : la paix. Jésus fit allusion dans ces paroles à la formule de salutation par laquelle les Israélites s’abordaient ou se quittaient.

Huit jours plus tard, les disciples se trouvaient de nouveau dans la maison, et Thomas était avec eux. Jésus vient, alors que les portes étaient verrouillées, et il était là au milieu d’eux. Il dit : «La paix soit avec vous !» La plupart des commentateurs allemands prirent le mot de paix dans le sens de l’hébreu schalôm, bien-être, prospérité, salut, et pensèrent que Jésus présent aux siens tous les fruits objectifs de son œuvre, en un mot, le salut éternel. Mais non, ce qu’il leur donna, ce fut la paix intérieure d’une âme remplie d’une douce confiance en son Dieu Sauveur.

Il leur laissa la paix, comme le plus précieux des legs à son départ. Il fit plus : «Tl leur donna réellement sa paix », la paix inaltérable et profonde dont il jouissait lui-même et qu’il puisait constamment dans la communion de son Père. Ce fut ainsi qu’il leur fit part encore de sa joie, car tout ce qui fut à lui appartint à ses rachetés. Le monde en fut réduit à de vains souhaits, à de trompeuses promesses, souvent intéressées. Jésus donna réellement, abondamment et par l’amour le plus pur. Ces paroles inspirèrent aux disciples la plus entière confiance en lui

Jésus, à la fin du discours, revint à son point de départ ; ce fut après avoir donné aux siens tous les secours les plus puissants pour dissiper le trouble et les craintes qui purent encore assaillir leur cœur. Les disciples n’avaient que trop bien entendu cette parole : «Je m’en vais», mais ils avaient moins bien saisi celle-ci : «Je reviens à vous» ; de là leur tristesse et leur trouble. Ce fut pourquoi Jésus, plongeant un regard dans leur cœur, voulut leur faire sentir que leur amour pour lui dut leur faire de son élévation auprès du Père un motif de joie.

Ils prirent part à la joie qu’il éprouva lui-même de quitter ce monde de péché et de souffrance pour retourner auprès du Père et partager sa félicité et sa gloire. Ce fut le seul passage des évangiles où Jésus pensa à lui-même, et tira de son propre repos le motif d’une exhortation. «Que vous croyiez que je m’en suis réellement allé à mon Père, et que vous compreniez la nature spirituelle de mon règne.»

Ces promesses si positives de Jésus, bientôt rendues vivantes dans leur cœur par le Saint-Esprit, leur furent expliquées par les grands événements de sa mort, de sa résurrection et de son retour dans la gloire. Alors ils crurent. Le prince du monde vint, s’approcha. Jésus le vit venir dans les misérables instruments dont il se servit pour accomplir son œuvre de ténèbres.

Mais il ajouta : «Tout prince du monde qu’il est, il n’a rien en moi, ni droit, ni pouvoir.» La mort même à laquelle Jésus se soumit fut parfaitement libre et volontaire ; ce fut le sacrifice de son dévouement et de son amour. Pour parler ainsi, il fallut que Jésus eût la conscience de sa parfaite sainteté.

Diacre Michel Houyoux

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◊ Opus Dei : cliquez ici pour lire l’article →Méditation : Mardi de la 5ème Semaine de Pâques

Vidéo KTO – La paix de Dieu : cliquez ici → https://youtu.be/ANTIrV-n6Pg

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