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­Diciottesima domenica del Tempo Ordinario – Anno B

Posté par diaconos le 31 juillet 2024

Io sono il pane della vita.... - GIF animé gratuit


# La vita eterna è percepita in modo diverso da popoli diversi in epoche e religioni diverse. Nel Neolitico si credeva nell’esistenza dell’anima, un principio diverso dal corpo. Costruivano monumenti monumentali dove custodivano i corpi, matrici dell’anima. La camera sotto i dolmen era chiusa da una porta con un foro attraverso il quale gli spiriti dei corpi sepolti potevano uscire. Antichi Egizi: Iside, in quanto moglie di Osiride, era la dea associata ai riti funebri. Dopo aver trovato tredici delle quattordici parti del corpo del suo amato, assassinato e massacrato dal geloso fratello Set, gli donò il soffio della vita eterna e gli diede un figlio Horus.


Per poter gioire della vita eterna, gli Egizi avevano bisogno di mantenere intatti i loro corpi e i loro nomi. Privarsi di uno dei due era, ai loro occhi, la punizione definitiva. La palma è il simbolo della vita eterna. L’ebraismo proclama la perpetuità dell’anima; la vita eterna è una delle credenze fondamentali dell’ebraismo. Il mondo a venire, noto come “Olam haBa”, è strettamente legato all’escatologia e al messianismo ebraico. L’autore che ne ha parlato di più è stato l’apostolo.

Giovanni


Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni

In quel momento, quando le folle videro che Gesù non c’era e nemmeno i suoi discepoli, la gente salì sulle barche e si diresse verso Cafarnao in cerca di Gesù. Quando lo trovarono sull’altra sponda del fiume, gli dissero : “Rabbì, quando sei arrivato qui ? Gesù rispose : “Amen, amen, vi dico che mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato dei pani e vi siete saziati. Non lavorate per il cibo che si perde, ma per quello che dura fino alla vita eterna, che vi darà il Figlio dell’uomo, che Dio Padre ha sigillato con la sua mano”

In quel momento, quando le folle videro che Gesù non c’era e nemmeno i suoi discepoli, la gente salì sulle barche e si diresse verso Cafarnao in cerca di Gesù. Quando lo trovarono sull’altra sponda del fiume, gli dissero : “Rabbì, quando sei arrivato qui ? ” Gesù rispose : “Amen, amen, vi dico che mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato dei pani e vi siete saziati. Non lavorate per il cibo che si perde, ma per quello che dura fino alla vita eterna, che vi darà il Figlio dell’uomo, che Dio Padre ha sigillato con la sua mano”.

Allora gli dissero : “Che cosa dobbiamo fare per operare le opere di Dio ?”. Gesù rispose : “L’opera di Dio è che crediate in colui che egli ha mandato”. Allora gli dissero : “Quale segno compirai perché possiamo vederlo e crederti ? Quale opera farai ? I nostri padri mangiarono la manna nel deserto; come dice la Scrittura, Egli diede loro da mangiare il pane del cielo”. Gesù disse loro : “Amen, amen, io vi dico: non è stato Mosè a darvi il pane dal cielo ; è il Padre mio che vi dà il vero pane dal cielo. Perché il pane di Dio è quello che scende dal cielo e dà vita al mondo”. Allora gli dissero: “Signore, dacci sempre questo pane”.

Gesù rispose : “Io sono il pane della vita. Chi viene a me non avrà mai fame; chi crede in me non avrà mai sete”. (Gv n 6, 24-35)

Il pane della vita

La folla che era rimasta lì vide che non c’era nessun’altra barca oltre a quella in cui i discepoli erano entrati da soli, e che Gesù non vi era salito. Ne dedussero che doveva essere rimasto, come loro, sul lato orientale del lago. Ma il giorno dopo, non trovando né Gesù né i suoi discepoli, che non erano tornati a prenderlo, approfittarono di alcune barche che nel frattempo erano arrivate da Tiberiade e attraversarono il lago per andare a Cafarnao a cercare Gesù.

Non erano più i cinquemila uomini del giorno precedente, ma un certo numero di loro che aveva passato la notte lì, mentre la maggior parte degli altri era andata a piedi intorno all’estremità del lago. Queste persone, trovando Gesù sull’altra sponda del lago, gli chiesero con ingenuo stupore : “Quando sei arrivato qui ?”. Sospettavano in questo fatto, per loro inspiegabile, una nuova azione miracolosa.

Erano più desiderosi di miracoli che della verità che avrebbero potuto ricevere dalla parola di Gesù. Da qui la sua risposta e questo discorso per far luce sui loro cuori. Volevano sapere come Gesù avesse attraversato il lago. Gesù non ritenne opportuno rispondere, ma, come era sua abitudine, fece appello alla coscienza dei suoi ascoltatori rimproverandoli. Lo cercavano, non perché vedevano i miracoli. Ogni miracolo di Gesù era un segno della presenza, della potenza e della misericordia di Dio.

Ma invece di considerare il miracolo come un segno e di elevarsi al bene eterno rappresentato da quel segno, i Giudei si concentrarono sugli effetti materiali del miracolo. Così videro nella moltiplicazione dei pani nient’altro che il cibo con cui furono riempiti. È per combattere questa tendenza carnale che Gesù, in un nuovo discorso, spiegò con tanta elevatezza e profondità il significato simbolico e spirituale del miracolo appena compiuto. Dopo essere arrivato a Cafarnao,

Gesù sembra essere entrato nella sinagoga, dove i suoi ascoltatori del giorno precedente lo avevano incontrato di nuovo; lì tenne il suo discorso e rispose alle obiezioni dei suoi ascoltatori. Questa circostanza accresceva la solennità del suo insegnamento. Il commento di Giovanni riguarda l’intero discorso di Gesù. In contrasto con il cibo che perisce e di cui i suoi ascoltatori si accontentavano, Gesù opponeva il cibo che diventa la vita dell’anima non appena lo riceve, che produce vita eterna e prolunga i suoi effetti fino alla pienezza della vita nell’eternità.

Che cosa intendesse Gesù con questo cibo lo conferma aggiungendo: “Il Figlio dell’uomo ve lo darà”. Egli stesso, come Figlio dell’uomo, era la manifestazione della vita divina nella nostra umanità, e solo lui poteva darla. Per ottenerla, dobbiamo renderci idonei a riceverla rinunciando, con un serio sforzo di volontà, ai nostri errori e ai nostri pregiudizi, per venire a Gesù che solo dà la vita. Capirono che Gesù esigeva da loro uno sforzo morale; si chiesero quali opere fossero gradite a Dio, conformi alla sua volontà.

Pensavano a certe azioni esteriori la cui ricompensa sarebbe stata il cibo che dura fino alla vita eterna. Alle opere Gesù ha opposto l’opera, l’unica che Dio richiede. E quest’opera consiste nel credere in Gesù Cristo che egli ha mandato. Questa fede, atto morale della coscienza e del cuore, era di per sé il principio della vita divina, perché metteva l’anima in comunione con Dio attraverso Cristo. È quindi la fonte di tutte le opere di obbedienza, di gratitudine e di amore; era la radice dell’albero che, da solo, porterà buoni frutti. Queste parole: l’opera di Dio, non significano, come pensava Agostino, l’opera che Dio compie in noi, un’idea che è vera in sé.

Il Diacono Michel Houyoux

Link ad altri siti cristiani

Conferenza Episcopale Italiana: clicca qui per leggere l’articolo → XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO B

 ◊ Parrocchia San Giovanni Apostolo – Marotta : clicca qui per leggere l’articolo → IO SONO IL PANE DELLA VITA

Video Padre Fernando Armellini : clicca qui → https://youtu.be/2QAqORHn30A

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Mercredi de la dix-septième Semaine du Temps Ordinaire — Année Paire

Posté par diaconos le 31 juillet 2024

Caté : La parabole du Trésor et de la perle

# La parabole de la perle de grand prix, est une parabole que Jésus utilisa pour expliquer la valeur du Royaume des Cieux, comme la parabole du trésor caché. L’archevêque Jean Chrysostome compara la perle de la parabole aux Évangiles : « Vous voyez donc, mes frères, que la parole et la vérité évangélique est cachée dans ce monde comme un trésor et que tous les biens y sont renfermés… Cette perle unique est la vérité qui est une et ne se divise pas. Celui qui a trouvé cette perle précieuse sait bien qu’il est riche, mais sa richesse échappe aux autres, parce qu’il la cache, et qu’il peut tenir dans sa main ce qui le fait riche.x

Il en est de même de la parole et de la vérité évangélique. Celui qui l’a embrassée avec foi, et qui la renferme dans son cœur comme son trésor, sait bien qu’il est riche ; mais les infidèles ne connaissent pas ce trésor, et ils nous croient pauvres parmi ces richesses » . Le docteur de l’Église ponctua son homélie en spécifiant qu’il fallait bel et bien suivre les valeurs du Christ et se comporter en suivant les vertus. Le trésor caché, ce sont les Évangiles pour Jean Chrysostome. Le plus important pour un homme est d’avoir la foi. Mais pas en la laissant seule, mais en la nourrissant d’actes qui suivent les valeurs défendues par Jésus comme la charité, le pardon, et surtout rester à l’écoute, spécifie-t-il. Il parle de cela en citant une autre métaphore : la parabole du filet.

De l’Évangile de Jésus Christ selon Matthieu

En ce temps-là, Jésus disait aux foules : « Le royaume des Cieux est comparable à un trésor caché dans un champ ; l’homme qui l’a découvert le cache de nouveau. Dans sa joie, il va vendre tout ce qu’il possède, et il achète ce champ. Ou encore : Le royaume des Cieux est comparable à un négociant qui recherche des perles fines.     Ayant trouvé une perle de grande valeur, il va vendre tout ce qu’il possède, et il achète la perle. » (Mt 13, 44-46)

Paraboles du trésor, de la perle, du filet

Jésus compara le royaume des cieux à un trésor caché dans un champ ; un homme le trouva par hasard, et tout joyeux, il vendit tout ce qu’il avait pour acheter ce champ. Le royaume des cieux ressemble aussi à un marchand qui cherche des perles précieuses, et qui, en ayant trouvé une de grand prix, vendit tout ce qu’il possède, et l’acheta. Il compara encore son royaume à un filet jeté dans la mer, lequel se remplit de choses bonnes et de mauvaises, et que les pêcheurs amènent sur le rivage pour recueillir les unes et rejeter les autres. Telle sera la séparation, au jour du jugement.

Conclusion : Jésus demanda à ses disciples s’ils eurent compris ces paraboles. De leur réponse affirmative il conclut qu’ils devaient, imitant son exemple, tirer de leur trésor des choses nouvelles et des choses anciennes. Le sens littéral de cette parabole est simple : un homme a découvert un trésor caché, enfoui dans un champ ; il le cacha de nouveau, enterré, afin que nul ne se douta de sa trouvaille.

On peut soulever, à ce propos, une question de droit, qui, dans la vie ordinaire, ne serait certainement pas résolue en faveur d’un tel procédé. Mais Jésus n’eut pas à s’en occuper, parce que, dans la signification religieuse de son récit, cette question ne se présenta pas du tout. Toute l’attention se reporte sur le trésor, les richesses impérissables de l’Évangile de la grâce, qu’on peut acquérir sans faire tort à personne, mais que nul n’obtient sans faire le sacrifice de tout ce qu’il a en propre.

La parabole, tout en figurant le prix infini du royaume, enseigne l’obligation pour chacun de se l’approprier personnellement, et les conditions auxquelles il peut en prendre possession. Elle montre enfin ce qui rend l’homme capable du renoncement complet qu’il doit pratiquer pour acquérir ce trésor : c’est la joie de sa possession nouvelle, la joie du salut. Le cœur ne se dépouille jamais d’un amour que par un amour plus grand, plus puissant ! Une seule perle de grand prix ; voilà encore la cause du dépouillement volontaire.

Diacre Michel Houyoux

Compléments

Diacre Michel Houyoux : cliquez ici pour lire l’article → Le Royaume des cieux est comparable à un trésor enfoui dans un champ

Diacre Michel Houyoux : cliquez ici pour lire l’article →   Un cœur qui écoute

Liens avec d’autres sites web chrétiens

Radio Don Bosco- Fandraisana  : cliquez ici pour lire l’article →    Mercredi, Dix-septième Semaine du Temps Ordinaire

Dom Armand Veilleux – Abbaye Notre Dame de Scourmont (Belgique)  : cliquez ici pour lire l’article → Homélie pour le mercredi de la 17ème semaine du Temps ordinaire

 Vidéo Pasteur Marc Pernot  : cliquez ici →  https://youtu.be/HYgN_lcWDmQ

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Dix-huitième dimanche du Temps Ordinaire – Année Paire

Posté par diaconos le 30 juillet 2024

Dimanche prochain

# La vie éternelle est perçue par les peuples différemment à travers les époques et les religions. À l’époque néolithique, les peuples croient à l’existence de l’âme, principe différent du corps. Ils élèvent des monuments de taille monumentale où ils conservent les corps, matrices de l’âme. La chambre située en dessous des dolmens est fermée par une porte qui possède un trou par lequel pourront sortir les esprits des corps inhumés. Égyptiens de l’Antiquité : Isis, en tant qu’épouse d’Osiris, est la déesse associée aux rites funéraires. Après avoir retrouvé treize des quatorze parties du corps de son bien-aimé, assassiné et dépecé par Seth, son frère jaloux, elle lui donna le souffle de la vie éternelle, et lui donna un fils Horus.

Pour pouvoir se réjouir de la vie éternelle, les Égyptiens avaient besoin de faire conserver intact leur corps et leur nom. Être privé de l’un ou de l’autre était à leurs yeux le châtiment ultime. Le palmier est le symbole de la vie éternelle. Le judaïsme proclame la pérennité de l’âme ; la Vie éternelle est l’un des fondements des croyances du judaïsme. Le Monde à venir dit « Olam haBa » est étroitement liée à l’eschatologie et au messianisme juif. L’auteur qui en fit le plus mention est l’apôtre Jean

De l’Évangile de Jésus Christ selon Jean

En ce temps-là, quand la foule vit que Jésus n’était pas là,  ni ses disciples,  les gens montèrent dans les barques  et se dirigèrent vers Capharnaüm  à la recherche de Jésus.  L’ayant trouvé sur l’autre rive, ils lui dirent :  « Rabbi, quand es-tu arrivé ici ? » Jésus leur répondit :  « Amen, amen, je vous le dis :  vous me cherchez,  non parce que vous avez vu des signes,  mais parce que vous avez mangé de ces pains  et que vous avez été rassasiés.  Travaillez non pas pour la nourriture qui se perd,  mais pour la nourriture qui demeure  jusque dans la vie éternelle,  celle que vous donnera le Fils de l’homme,  lui que Dieu, le Père, a marqué de son sceau. » 

Ils lui dirent alors :  « Que devons-nous faire pour travailler aux œuvres de Dieu ? »   Jésus leur répondit : « L’œuvre de Dieu, c’est que vous croyiez en celui qu’il a envoyé. »  Ils lui dirent alors :
« Quel signe vas-tu accomplir pour que nous puissions le voir, et te croire ? Quelle œuvre vas-tu faire ?     Au désert, nos pères ont mangé la manne ; comme dit l’Écriture : Il leur a donné à manger le pain venu du ciel. » 

Jésus leur répondit :  « Amen, amen, je vous le dis :  ce n’est pas Moïse  qui vous a donné le pain venu du ciel ;  c’est mon Père  qui vous donne le vrai pain venu du ciel.  Car le pain de Dieu,
c’est celui qui descend du ciel  et qui donne la vie au monde. »
Ils lui dirent alors :  « Seigneur, donne-nous toujours de ce pain-là. »

Jésus leur répondit :  «Moi, je suis le pain de la vie. Celui qui vient à moi n’aura jamais faim ; celui qui croit en moi n’aura jamais soif.» (Jn n 6, 24-35)

Le Pain de Vie

La foule qui y était restée vit qu’il n’y avait pas eu là d’autre barque que celle dans laquelle étaient entrés les disciples seuls, et que Jésus n’y était pas monté. Ces gens en conclurent qu’il devait être resté, comme eux, du côté oriental du lac. Mais le lendemain, ne trouvant là ni Jésus ni ses disciples, qui n’étaient pas revenus le chercher, ils profitèrent de quelques barques qui, dans l’intervalle, étaient venues de Tibériade, et traversèrent le lac, pour se rendre à Capharnaüm et y chercher Jésus.

Il ne s’agissait plus des cinq mille hommes de la veille, mais d’un certain nombre d’entre eux, qui avaient passé la nuit sur les lieux, tandis que la plupart des autres s’en étaient allés en contournant à pied l’extrémité du lac. Ces gens, retrouvant Jésus de l’autre côté du lac, lui demandèrent, avec un naïf étonnement : «Quand es-tu arrivé ici ?» Ils soupçonnèrent dans ce fait, qui leur fut inexplicable, une nouvelle action miraculeuse.

Ils furent plus avides de miracles que de la vérité qu’ils auraient pu recevoir par la parole de Jésus. De là, sa réponse, et ce discours pour répandre la lumière dans leurs cœurs. Ils voulurent savoir comment Jésus avait traversé le lac. Jésus ne jugea pas d’y répondre ; mais, selon sa coutume, il fit appel à la conscience de ses auditeurs, en leur adressant un reproche. Ils le cherchèrent, non parce qu’ils virent des miracles. Chaque miracle de Jésus était le signe de la présence, de la puissance et de la miséricorde de Dieu.

Mais, au lieu de considérer le miracle comme un signe et de s’élever aux biens éternels figurés par ce signe, les Juifs s’arrêtèrent aux effets matériels du miracle. Ainsi ils ne virent pas, dans la multiplication des pains, que la nourriture dont ils furent rassasiés. Ce fut pour combattre cette tendance charnelle que Jésus, dans un nouveau discours, exposa avec tant d’élévation et de profondeur la signification symbolique et spirituelle du miracle qu’il venait d’accomplir.

Jésus, après être arrivé à Capharnaüm, parut être entré dans la synagogue, où ses auditeurs de la veille l’avaient retrouvé ; là il prononça son discours et répondit aux objections de ses auditeurs. Cette circonstance ajouta à la solennité des enseignements qu’il fit entendre. La remarque de Jean concerna tout le discours de Jésus.  À la nourriture qui périt et dont se contentaient ses auditeurs, Jésus opposa la nourriture qui devient la vie de l’âme dès que celle-ci la reçoit et qui produit la vie éternelle et prolonge ses effets jusqu’au plein épanouissement de la vie dans l’éternité.

Ce que Jésus entendit par cette nourriture, il le confirma en ajoutant : «Le Fils de l’homme vous la donnera.» Il était lui-même, comme Fils de l’homme, la manifestation de la vie divine dans notre humanité, et lui seul pouvait la donner. Pour l’obtenir, il faut se rendre apte à la recevoir en renonçant, par un effort sérieux de la volonté, à nos erreurs et nos préjugés, pour venir à Jésus qui seul donne la vie.

Ils comprirent que Jésus exigeait d’eux un effort moral ; ils demandèrent quelles œuvres furent agréables à Dieu, conformes à sa volonté. Ils pensèrent à certains actes extérieurs dont la récompense serait la  nourriture qui subsiste en vie éternelle. la réponse de Jésus est d’autant plus frappante. À des œuvres Jésus opposa l’œuvre, la seule que Dieu demande. Et cette œuvre consiste à croire en Jésus-Christ qu’il envoya .

Cette foi, acte moral de la conscience et du cœur, fut, en elle-même, le principe de la vie divine parce qu’elle mit l’âme en communion avec Dieu par Christ. Elle est ainsi la source de toutes les œuvres d’obéissance de reconnaissance et d’amour, elle fut là racine de l’arbre qui, de lui-même, portera de bons fruits. Ces mots : l’œuvre de Dieu, ne signifient pas, comme le pensait Augustin, l’œuvre que Dieu opère en nous, idée vraie en elle-même.

Diacre Michel Houyoux

Liens avec d’autres sites chrétiens

Église catholique en France : cliquez ici pour lire l’article → Travailler pour la nourriture qui demeure jusque dans la vie éternelle

Service de catéchèse (diocèse de Namur) : cliquez ici pour lire l’article → Recevons le Pain de Vie

Vidéo Pasteur Marc Pernot : cliquez ici  https://youtu.be/S25ZjdJoW9o

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Mardi de la dix-septième semaine du Temps Ordinaire – Année Paire

Posté par diaconos le 30 juillet 2024

Le sermon sur la montagne Les paraboles du Seigneur Jésus Les ...

 

De l’Évangile de Jésus Christ selon Matthieu

En ce temps-là, laissant les foules, Jésus vint à la maison. Ses disciples s’approchèrent et lui dirent : »Explique-nous clairement la parabole de l’ivraie dans le champ. » Il leur répondit : « Celui qui sème le bon grain, c’est le Fils de l’homme ; le champ, c’est le monde ; le bon grain, ce sont les fils du Royaume ; l’ivraie, ce sont les fils du Mauvais. L’ennemi qui l’a semée, c’est le diable ; la moisson, c’est la fin du monde ; les moissonneurs, ce sont les anges. Le même que l’on enlève l’ivraie pour la jeter au feu, ainsi en sera-t-il à la fin du monde. Le Fils de l’homme enverra ses anges, et ils enlèveront de son Royaume toutes les causes de chute et ceux qui font le mal ;     ils les jetteront dans la fournaise : là, il y aura des pleurs et des grincements de dents. Alors les justes resplendiront comme le soleil dans le royaume de leur Père. Celui qui a des oreilles, qu’il entende ! » (Mt 13, 36-43)

Parabole du semeur

 Avec quelle assurance Jésus attribua à son action sur ce monde, tout le bien qui s’y trouve, tous les « fils du royaume » ! Dans la parabole du semeur, où il s’agit de répandre dans la terre une semence qui représente la « Parole de Dieu », Jésus-Christ, tout en restant le premier et le grand semeur, put considérer tous ses serviteurs fidèles comme des continuateurs de son œuvre. Mais ici, où cette semence représente des hommes  engendrés par la parole de la vérité, productions vivantes de la première semence, créations de l’Esprit de Dieu, le Sauveur est le seul qui puisse en remplir ce champ qui est le monde ; en ce sens, semer la bonne semence est son œuvre exclusive.

Cette œuvre, il l’a accomplie de tout temps, comme Parole éternelle au sein de notre humanité  ; il l’accomplissait alors sur la terre, où il était venu opérer une création nouvelle, et il l’accomplira jusqu’à la fin des temps. Le monde : cette parole est la clef de notre parabole. Jésus n’entendit pas par là  la partie mauvaise  de l’humanité, par opposition au peuple de Dieu ; mais bien cette humanité tout entière, que Jésus appela à bon droit son champ ou son royaume, et qui est fut destinée par la miséricorde divine à recevoir la bonne semence et à devenir le  royaume des cieux.

De tout temps il y  eut des interprètes qui, méconnaissant ce  détail fondamental de la parabole : « Le champ c’est le monde », y substituèrent de diverses manières ce sens tout différent : le champ c’est l’Église. Alors, en présence de la question empressée des serviteurs : « Veux-tu que nous allions la cueillir » ? Et de la réponse catégorique de Jésus « Non »  ! Ils se résignèrent à ne voir dans l’Église chrétienne que cette confusion perpétuelle de l’ivraie et du froment, des  fils du royaume et des fils du démon, dont le monde offre le spectacle et dont la parabole serait l’image.

Ainsi Calvin, malgré ses principes rigoureux de discipline, assez peu conciliables avec la défense de Jésus s’il s’agit ici de l’Église, se consola de la confusion qui y resta, en écrivant ces mots : « Mais cette solution doit nous suffire que Christ ne parle pas ici dans sa défense de l’office des pasteurs ou des magistrats, mais ôta seulement le scandale qui troubla les infirmes, quand ils virent que l’Église ne consista pas seulement en des élus, mais qu’il y eut aussi des méchantes canailles. »

D’autre part, il y eut toujours, depuis les donatistes d’Afrique jusqu’aux hommes du Réveil, des chrétiens qui  pensèrent pouvoir constituer des Églises triées, soumises à une sévère discipline, estimant que la défense de Jésus ne concernait que l’humanité rebelle et hostile à l’Évangile. Mais ce mot, dans la pensée de Jésus, avait une signification plus étendue et plus universelle, embrassant l’humanité tout entière, dans laquelle la puissance des ténèbres fut en lutte constante avec l’Évangile du salut.

Voici dès lors ce que Jésus prescrivit à ses serviteurs, dans des vues pleines de sagesse et de miséricorde. Il ne leur demanda pas de voir avec indifférence l’erreur, le mensonge, le péché, toutes les corruptions et les iniquités que l’ennemi du royaume de Dieu sema dans le monde ; il leur ordonna au contraire de les combattre avec toute la puissance et l’énergie que donnent les armes spirituelles de la Parole et de l’Esprit de Dieu.

Mais ce qu’il leur interdit d’une manière absolue, ce fut de recourir dans cette lutte aux armes charnelles, d’y faire intervenir le pouvoir séculier, d’employer la contrainte, d’user de moyens matériels de répression et de propagande. La raison de cette interdiction est indiquée par la parabole : « le froment et l’ivraie représentent des hommes «  ; or, arracher celle-ci, la détruire avant le temps, ce serait exercer un jugement qui n’appartient qu’à Dieu.

Ce que Jésus prévoyait fut toujours arrivé : en s’imaginant cueillir l’ivraie, ces serviteurs, désobéissant à son ordre, arrachèrent le froment. Ce furent les esprits les plus nobles, les plus indépendants, les plus pieux qui devinrent leurs victimes. Qui ne voit quelle lugubre série de persécutions, d’iniquités et de crimes eût été épargnée à l’humanité, si tous avaient compris et observé cette seule parole de Jésus  : « Laissez-les croître ensemble jusqu’à la moisson !

Ce mélange, tout affligeant qu’il fut, dut servir au salut des uns, à l’épreuve et à la patience des autres. Mais la confusion ne durera pas toujours : «  il vient, le jour de la moisson, et alors ce que les serviteurs désirèrent sera accompli, non par des hommes faillibles et pécheurs, mais par la main des anges exécutant la justice de Dieu.

Dans la parabole du semeur, la semence est la parole de Dieu, tombant dans le cœur d’hommes diversement disposés. Ici, c’est cette même parole qui a produit des effets contraires selon qu’elle a été reçue ou repoussée ; et ces effets de la parole divine sont identifiés dans un langage plein de hardiesse avec les hommes eux-mêmes qui les éprouvent.

Les uns sont fils du royaume ; ils y ont été introduits et ont été engendrés par la parole, ils sont animés de l’esprit de ce royaume. Les autres sont fils de Satan, de celui qui sème l’ivraie  ; ils sont sous son influence , animés de son esprit. Les serviteurs, qui, dans la parabole, représentent les disciples de Jésus, avaient demandé avec étonnement et douleur :  » D’où vient qu’il y a de l’ivraie ? »

Le problème désolant de toute philosophie et de toute théologie : d’où vient le mal dans ce monde qui est le champ de Dieu, et où il n’a pu semer que le bien ? La réponse de Jésus fut la seule vraie théodicée. Elle écarta d’un mot tous les systèmes qui, d’une façon ou d’une autre, firent remonter le mal jusqu’à Dieu, et qui par là touchent au blasphème.

Le mal ne vient pas non plus de l’homme, il n’est pas essentiel à sa nature : donc il y a pour lui espoir de guérison. Il vient du dehors, d’un ennemi qui est le diable. Cet enseignement de Jésus est conforme à toute l’Écriture, conforme aussi à la saine raison :  » Le péché, qui n’existe que dans une volonté vivante et personnelle, ne peut avoir son origine que dans une volonté personnelle qui en a été la source.  » ( R. Stier).

Jésus fit entendre cette déclaration précise, non dans la parabole, mais pour expliquer la parabole et nous en indiqua le  sens. Rien ne provoqua cette déclaration, donnée spontanément dans le cercle intime des disciples. Le diable fut nommé comme l’auteur personnel d’une action positive, comme source et origine du mal dans le monde, par opposition à un autre être personnel, le fils de l’homme, auteur et origine du bien.

La fournaise du feu  est l’achèvement de l’image de l’ivraie qu’on brûle. Elle n’en représente pas moins une vive souffrance.  Pourquoi Jésus appela son royaume  ce champ du monde, qu’il purifie de toute souillure, le nomme-t-il maintenant le royaume du Père ? L’apôtre Paula  répondit : « C’est qu’alors la fin sera venue, et le Médiateur, après avoir  aboli tout empire, et toute puissance, et toute force aura remis le royaume à Dieu le Père, afin que Dieu soit tout en tous »  » (1Co 15, 24-28).

Tel est le terme glorieux des destinées de notre humanité. Ces destinées sont tout entières expliquées dans cette parabole, depuis l’origine du mal et du bien, et du douloureux mélange de l’un et de l’autre, jusqu’à la journée où ce mystère sera résolu par le rétablissement du royaume de Dieu dans la perfection ! En présence de telles pensées, il y eut une grande solennité dans ce dernier appel de Jésus :  » Que celui qui a des oreilles, entende ! »

Diacre Michel Houyoux

Compléments

Diacre Michel Houyoux : cliquez ici pour lire l’article → L’homme qui jette en terre la semence, qu’il dorme ou qu’il se lève, la semence grandit, il ne sait comment

◊  ◊ Diacre Michel Houyoux : cliquez ici pour lire l’article → Le bon grain et l’ivraie

Liens avec d’autres sites web chrétiens

Abbaye de Sourmont – Belgique) : cliquez ici pour lire l’article → Homélie pour le mardi de la 17ème semaine du Temps

EMI TV : cliquez ici pour lire l’article →   La parabole du semeur

Vidéo Pasteure Béatrice Céro Mazire cliquez ici → https://youtu.be/Q1biLgCrF9U

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