Mercoledì della sedicesima settimana del Tempo Ordinario – Anno B
Posté par diaconos le 23 juillet 2024
La parabola del seminatore” e i suoi insegnamenti
# Le parabole del Nuovo Testamento si trovano nei tre vangeli sinottici. Sono storie allegoriche raccontate da Gesù di Nazareth e presentano un insegnamento morale e religioso. Se ne contano circa cinquanta. Seguendo un procedimento radicato nella tradizione ebraica, questi racconti intendono presentare verità attraverso elementi della vita quotidiana o osservazioni della natura, ma nel caso di Gesù si allontanano dalla forma meramente pedagogica dell’interpretazione della Legge da parte dei rabbini per evocare il Regno di Dio e i cambiamenti che avverranno al suo arrivo.
La parabola del seminatore è una parabola evangelica raccontata nei tre Vangeli sinottici: Matteo XIII, 1-23; Marco IV, 1-20; Luca VIII, 4-15 (oltre che nell’apocrifo Vangelo secondo Tommaso). Il seminatore, che rappresenta Gesù, getta i semi, alcuni dei quali cadono per strada, su rocce e cespugli spinosi, così che il seme va perduto; invece, quando cadono su un terreno buono, producono frutti centuplicati. Secondo San Giovanni Crisostomo, Gesù è venuto sulla terra per rinascere come aratore : la terra rappresenta le anime dove Gesù getta il suo seme senza distinguere tra poveri e ricchi, dotti e ignoranti, anime ardenti e pigre. San Giovanni Crisostomo rispondeva a coloro che si stupivano del fatto che un seminatore gettasse il suo seme altrove che in un terreno buono, perché questo dimostra che i cambiamenti sono possibili.
Non dobbiamo paragonare il seme materiale, ma confrontarlo con la Parola divina che porta la conversione: se il cambiamento non è avvenuto in tutte le anime, non è colpa dell’aratore, ma di chi non ha voluto cambiare. Egli fece ciò che dipendeva da lui con la massima cura. Questa parabola illustra la necessità del cambiamento e della responsabilità. La parabola non dice che il seme è appassito perché il sole era troppo forte, ma perché non aveva radici. Allo stesso modo, quando il seme cade nei cespugli spinosi, la colpa non è dei cespugli (che simboleggiano la vita mondana), ma della persona che li lascia crescere. Se si tagliano gli steli dei cespugli, si può farne buon uso e lasciare che la terra buona metta radici.
Quindi Gesù non parlava delle ricchezze in generale, ma dell’inganno delle ricchezze. E Matteo aggiunge : “Non biasimiamo le cose in sé, ma l’abuso che ne facciamo e la corruzione della nostra mente”. Egli ritiene che questa parabola segni tre tappe nell’evoluzione spirituale, essendo la buona terra promessa a tutti, se rinunciamo alla schiavitù dei piaceri per l’esercizio della virtù, unica garanzia di libertà. Matteo conclude citando come esempio gli eccessi della gola.
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo
Quel giorno Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare. Si radunò intorno a lui una folla così grande che egli salì su una barca e si sedette ; tutta la folla era in piedi sulla riva. Parlò loro di molte cose in parabole: “Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, alcuni chicchi caddero lungo la strada e gli uccelli vennero e li mangiarono tutti. Altri caddero su un terreno sassoso, dove non c’era molta terra; spuntarono subito, perché il terreno era poco profondo. Quando profondo il sole, bruciavano e si seccavano perché non avevano radici. Altri caddero nei rovi; i rovi crebbero e li soffocarono. Altri caddero in un terreno buono e diedero frutti a un ritmo di cento, o sessanta, o trenta a uno. Chi ha orecchi ascolti. (Mt 13, 1-9).
Il fondamento del regno : la parabola del seminatore
Questo è il giorno in cui Gesù aveva tenuto dei discorsi e fu interrotto da una visita della sua famiglia. Questo è anche l’ordine del racconto di Marco. Luca colloca questi eventi in una sequenza diversa e racconta la parabola del seminatore senza indicare il momento e il luogo in cui fu pronunciata. La casa da cui uscì era quella in cui si trovava quando i suoi genitori andarono da lui. Che scena e che culto ! La cattedrale era la volta scintillante di un cielo d’Oriente; il pubblico era la grande folla che si trovava sulla riva lontana ; la barca di un pescatore fungeva da pulpito; il predicatore era Gesù !
“La parabola ha due parti, il corpo e l’anima: il corpo è il racconto della storia che è stata immaginata, e l’anima, il significato morale o mistico nascosto sotto le parole o la storia”. (Littré) Nel Nuovo Testamento, la parola “parabole” è applicata non solo alle prolungate narrazioni allegoriche che Gesù utilizzava così spesso, ma anche a qualsiasi paragone o immagine disegnata per illustrare il pensiero. La differenza notevole tra la parabola e un altro tipo di insegnamento simile, la favola. In quest’ultima, il racconto di fantasia non è necessariamente preso in prestito dal regno del possibile e del vero; fa pensare e parlare animali e piante.
Gesù non si è mai permesso nulla del genere nelle sue parabole. Tutto nella sua storia era così naturale e vero che spesso ci chiediamo se fosse reale o finzionale. E questi racconti sono, dal punto di vista della forma, di una tale bellezza, di una tale perfezione, che smetteremmo di ammirarli molto di più sotto questo aspetto, se le imponenti verità religiose che contengono non catturassero tutta la nostra attenzione. Fondamentalmente, la parabola del Nuovo Testamento è una creazione di Gesù Cristo. Né i miti degli antichi, né la favola che leggiamo nel capitolo nove del libro dei Giudici, né le maschere del profeta Ezechiele avrebbero potuto darcene un’idea.
Coloro che negano la verosimiglianza storica di un lungo discorso composto da una serie di parabole e che attribuiscono a Matteo questa raccolta di similitudini pronunciate da Gesù in momenti diversi, non possono vedere in queste parole introduttive, come in quelle che fungono da conclusione della narrazione, altro che un’invenzione di Matteo. Allo stesso modo, la loro messa in scena sarebbe solo una cornice fittizia data a questo grande quadro. Matteo non pretende di riportare un discorso prolungato, fatto di sette parabole e della spiegazione di due di esse. Egli stesso ha segnato una prima interruzione, provocata da una domanda dei discepoli e dalla risposta di Gesù; ne ha segnata una seconda, con una riflessione su questo tipo di insegnamento, e infine una terza, con un completo cambiamento di luogo e di tempo, quando Gesù aveva ancora parlato solo di due parabole, senza dubbio con sviluppi e applicazioni serie per il suo grande pubblico.
Matteo, secondo il suo metodo di raggruppare insegnamenti e fatti, registrò le parabole minori che Gesù pronunciò altrove e alle quali Luca assegnò un altro posto nel suo racconto. Il racconto di Marco testimonia che Gesù tenne un lungo discorso in riva al mare, in cui in diverse occasioni le sue parole assunsero la forma di parabole. La raccolta di queste sette parabole è storicamente meno implausibile del Discorso della montagna; questa predicazione in parabole era un’estensione di quest’ultimo. Il seminatore non intendeva gettare nessuno dei suoi semi su un sentiero; ma poiché il sentiero costeggiava il suo campo ed egli seminava abbondantemente, molti chicchi caddero lungo il sentiero.
Questi semi non sono stati coperti dalla terra e sono stati mangiati dagli uccelli. Questi luoghi rocciosi non erano una parte del campo coperta da pietre che potevano essere rimosse, ma regioni montuose e aride, luoghi in cui un leggero strato di terra copre la roccia. Lì il seme è in grado di germogliare; addirittura germoglia subito, crescendo verso l’esterno, proprio perché non ha potuto affondare le sue radici nel terreno profondo. Ma al primo ardere del sole primaverile, si brucia e si secca perché non ha radici che lo nutrano con i succhi della terra.
Perché le spine in un campo seminato? Il campo era delimitato da un lato da un sentiero e dall’altro da una siepe. I chicchi di seme caddero sul bordo della siepe, tra le spine, mentre stavano ancora germogliando nella terra. Il seme spuntò, ma le spine divennero ancora più forti e lo soffocarono. La pianta di grano non morì, prese il suo posto, ma era troppo esausta per produrre spighe fertili. Un buon terreno era un terreno reso fertile dalla coltivazione, dal concime e dal lavoro regolare. Questa produttività, fino a cento a uno, era molto comune nei Paesi orientali.
Il diacono Michel Houyoux
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