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Mercoledì della sedicesima settimana del Tempo Ordinario – Anno B

Posté par diaconos le 23 juillet 2024

LA PAROLA DELLA DOMENICA. "La parabola del seminatore" e i suoi ...

La parabola del seminatore” e i suoi insegnamenti

# Le parabole del Nuovo Testamento si trovano nei tre vangeli sinottici. Sono storie allegoriche raccontate da Gesù di Nazareth e presentano un insegnamento morale e religioso. Se ne contano circa cinquanta. Seguendo un procedimento radicato nella tradizione ebraica, questi racconti intendono presentare verità attraverso elementi della vita quotidiana o osservazioni della natura, ma nel caso di Gesù si allontanano dalla forma meramente pedagogica dell’interpretazione della Legge da parte dei rabbini per evocare il Regno di Dio e i cambiamenti che avverranno al suo arrivo.

La parabola del seminatore è una parabola evangelica raccontata nei tre Vangeli sinottici: Matteo XIII, 1-23; Marco IV, 1-20; Luca VIII, 4-15 (oltre che nell’apocrifo Vangelo secondo Tommaso). Il seminatore, che rappresenta Gesù, getta i semi, alcuni dei quali cadono per strada, su rocce e cespugli spinosi, così che il seme va perduto; invece, quando cadono su un terreno buono, producono frutti centuplicati. Secondo San Giovanni Crisostomo, Gesù è venuto sulla terra per rinascere come aratore : la terra rappresenta le anime dove Gesù getta il suo seme senza distinguere tra poveri e ricchi, dotti e ignoranti, anime ardenti e pigre. San Giovanni Crisostomo rispondeva a coloro che si stupivano del fatto che un seminatore gettasse il suo seme altrove che in un terreno buono, perché questo dimostra che i cambiamenti sono possibili.

 Non dobbiamo paragonare il seme materiale, ma confrontarlo con la Parola divina che porta la conversione: se il cambiamento non è avvenuto in tutte le anime, non è colpa dell’aratore, ma di chi non ha voluto cambiare. Egli fece ciò che dipendeva da lui con la massima cura. Questa parabola illustra la necessità del cambiamento e della responsabilità. La parabola non dice che il seme è appassito perché il sole era troppo forte, ma perché non aveva radici. Allo stesso modo, quando il seme cade nei cespugli spinosi, la colpa non è dei cespugli (che simboleggiano la vita mondana), ma della persona che li lascia crescere. Se si tagliano gli steli dei cespugli, si può farne buon uso e lasciare che la terra buona metta radici.

Quindi Gesù non parlava delle ricchezze in generale, ma dell’inganno delle ricchezze. E Matteo aggiunge : “Non biasimiamo le cose in sé, ma l’abuso che ne facciamo e la corruzione della nostra mente”. Egli ritiene che questa parabola segni tre tappe nell’evoluzione spirituale, essendo la buona terra promessa a tutti, se rinunciamo alla schiavitù dei piaceri per l’esercizio della virtù, unica garanzia di libertà. Matteo conclude citando come esempio gli eccessi della gola.

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo

Quel giorno Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare. Si radunò intorno a lui una folla così grande che egli salì su una barca e si sedette ; tutta la folla era in piedi sulla riva. Parlò loro di molte cose in parabole: “Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, alcuni chicchi caddero lungo la strada e gli uccelli vennero e li mangiarono tutti. Altri caddero su un terreno sassoso, dove non c’era molta terra; spuntarono subito, perché il terreno era poco profondo. Quando profondo il sole, bruciavano e si seccavano perché non avevano radici. Altri caddero nei rovi; i rovi crebbero e li soffocarono. Altri caddero in un terreno buono e diedero frutti a un ritmo di cento, o sessanta, o trenta a uno. Chi ha orecchi ascolti. (Mt 13, 1-9).

 Il fondamento del regno : la parabola del seminatore

Questo è il giorno in cui Gesù aveva tenuto dei discorsi e fu interrotto da una visita della sua famiglia. Questo è anche l’ordine del racconto di Marco. Luca colloca questi eventi in una sequenza diversa e racconta la parabola del seminatore senza indicare il momento e il luogo in cui fu pronunciata. La casa da cui uscì era quella in cui si trovava quando i suoi genitori andarono da lui. Che scena e che culto ! La cattedrale era la volta scintillante di un cielo d’Oriente; il pubblico era la grande folla che si trovava sulla riva lontana ; la barca di un pescatore fungeva da pulpito; il predicatore era Gesù !

La parabola ha due parti, il corpo e l’anima: il corpo è il racconto della storia che è stata immaginata, e l’anima, il significato morale o mistico nascosto sotto le parole o la storia”. (Littré) Nel Nuovo Testamento, la parola “parabole” è applicata non solo alle prolungate narrazioni allegoriche che Gesù utilizzava così spesso, ma anche a qualsiasi paragone o immagine disegnata per illustrare il pensiero. La differenza notevole tra la parabola e un altro tipo di insegnamento simile, la favola. In quest’ultima, il racconto di fantasia non è necessariamente preso in prestito dal regno del possibile e del vero; fa pensare e parlare animali e piante.

Gesù non si è mai permesso nulla del genere nelle sue parabole. Tutto nella sua storia era così naturale e vero che spesso ci chiediamo se fosse reale o finzionale. E questi racconti sono, dal punto di vista della forma, di una tale bellezza, di una tale perfezione, che smetteremmo di ammirarli molto di più sotto questo aspetto, se le imponenti verità religiose che contengono non catturassero tutta la nostra attenzione. Fondamentalmente, la parabola del Nuovo Testamento è una creazione di Gesù Cristo. Né i miti degli antichi, né la favola che leggiamo nel capitolo nove del libro dei Giudici, né le maschere del profeta Ezechiele avrebbero potuto darcene un’idea.

Coloro che negano la verosimiglianza storica di un lungo discorso composto da una serie di parabole e che attribuiscono a Matteo questa raccolta di similitudini pronunciate da Gesù in momenti diversi, non possono vedere in queste parole introduttive, come in quelle che fungono da conclusione della narrazione, altro che un’invenzione di Matteo. Allo stesso modo, la loro messa in scena sarebbe solo una cornice fittizia data a questo grande quadro. Matteo non pretende di riportare un discorso prolungato, fatto di sette parabole e della spiegazione di due di esse. Egli stesso ha segnato una prima interruzione, provocata da una domanda dei discepoli e dalla risposta di Gesù; ne ha segnata una seconda, con una riflessione su questo tipo di insegnamento, e infine una terza, con un completo cambiamento di luogo e di tempo, quando Gesù aveva ancora parlato solo di due parabole, senza dubbio con sviluppi e applicazioni serie per il suo grande pubblico.

Matteo, secondo il suo metodo di raggruppare insegnamenti e fatti, registrò le parabole minori che Gesù pronunciò altrove e alle quali Luca assegnò un altro posto nel suo racconto. Il racconto di Marco testimonia che Gesù tenne un lungo discorso in riva al mare, in cui in diverse occasioni le sue parole assunsero la forma di parabole. La raccolta di queste sette parabole è storicamente meno implausibile del Discorso della montagna; questa predicazione in parabole era un’estensione di quest’ultimo. Il seminatore non intendeva gettare nessuno dei suoi semi su un sentiero; ma poiché il sentiero costeggiava il suo campo ed egli seminava abbondantemente, molti chicchi caddero lungo il sentiero.

Questi semi non sono stati coperti dalla terra e sono stati mangiati dagli uccelli. Questi luoghi rocciosi non erano una parte del campo coperta da pietre che potevano essere rimosse, ma regioni montuose e aride, luoghi in cui un leggero strato di terra copre la roccia. Lì il seme è in grado di germogliare; addirittura germoglia subito, crescendo verso l’esterno, proprio perché non ha potuto affondare le sue radici nel terreno profondo. Ma al primo ardere del sole primaverile, si brucia e si secca perché non ha radici che lo nutrano con i succhi della terra.

Perché le spine in un campo seminato? Il campo era delimitato da un lato da un sentiero e dall’altro da una siepe. I chicchi di seme caddero sul bordo della siepe, tra le spine, mentre stavano ancora germogliando nella terra. Il seme spuntò, ma le spine divennero ancora più forti e lo soffocarono. La pianta di grano non morì, prese il suo posto, ma era troppo esausta per produrre spighe fertili. Un buon terreno era un terreno reso fertile dalla coltivazione, dal concime e dal lavoro regolare. Questa produttività, fino a cento a uno, era molto comune nei Paesi orientali.

Il diacono Michel Houyoux

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Don Fabio Rosini : clicca qui per leggere l’articolo → La parabola del seminatore

Opus Dei : clicca qui per leggere l’articolo Commento al Vangelo : La parabola del seminatore

Video Mr Franco  : clicca qui https://youtu.be/snDAW8ytO8g

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Mercredi de la seizième semaine du Temps Ordinaire – Année Paire

Posté par diaconos le 23 juillet 2024

Le sermon sur la montagne Les paraboles du Seigneur Jésus Les ...

# Les paraboles du Nouveau Testament se trouvent dans les trois évangiles synoptiques. Il s’agit de récits allégoriques faits par Jésus de Nazareth et présentant un enseignement moral et religieux. On en dénombre une cinquantaine. Suivant un procédé ancré dans la tradition juive, ces récits entendent présenter des vérités au travers d’éléments de la vie quotidienne ou d’observation de la nature mais s’éloignent chez Jésus de la forme simplement pédagogique d’interprétation de la Loi par les rabbins pour évoquer le Règne de Dieu et les changements qui s’accomplissent au moment de sa venue. La parabole du semeur est une parabole évangélique racontée dans les trois Évangiles synoptiques: Matthieu XIII, 1-23 ; Marc IV, 1-20 , Luc VIII, 4-15 (ainsi que dans l’Évangile apocryphe selon Thomas. Le semeur, qui représente Jésus, jette les graines dont certaines tombent sur le bord du chemin, sur les roches et dans des buissons d’épines, et la semence est donc perdue; en revanche lorsqu’elles tombent dans de la bonne terre, elles produisent du fruit jusqu’au centuple.

Selon saint Jean Chrysostome, Jésus vint sur terre pour renaitre laboureur, La terre représente les âmes où Jésus lance la semence sans distinguer le pauvre du riche, le savant de l’ignorant ,l’âme ardente de celle qui est paresseuse. Saint Jean Chrysostome répondit à ceux qui s’étonnèrent de ce qu’un semeur jeta ses graines ailleurs que dans de la bonne terre, car cela prouve que les changements sont possibles. Il ne faut pas comparer la semence matérielle, mais la comparer à la Parole divine qui apporte la conversion: si les changements ne sont point arrivés dans toutes les âmes, ce n’est pas la faute du laboureur, mais de ceux qui n’ont pas voulu se changer. Il a accompli avec un soin entier ce qui dépendait de lui.

 Cette parabole illustre la nécessité du changement et de la responsabilité. La parabole ne dit pas que la semence s’est desséchée à cause du trop grand soleil, mais parce qu’elle n’a pas de racine. De même pour la semence tombée dans les buissons d’épines, la faute ne revient pas aux buissons (qui symbolisent la vie mondaine elle a trait des richesses, mais à celui qui les laisse croître. Si on coupe les tiges des buissons, on peut s’en servir utilement et laisser la bonne terre s’installer. C’est ainsi que Jésus ne parla pas des richesses en général, mais de la duperie. des richesses. Et Matthieu d’ajouter:  » N’accusons pas les choses en elles-mêmes, mais l’abus que nous en faisons et la corruption de notre esprit. Il estima que cette parabole marque trois étapes de l’évolution spirituelle, l La bonne terre étant promise à tous, si l’on renonce à l’ esclavage des plaisirs, pour l’exercice de la vertu, seul gage de la liberté. Matthieu termine en citant comme exemple les excès de la goinfrerie.

De l’Évangile de Jésus Christ selon Matthieu

Ce jour-là, Jésus était sorti de la maison, et il était assis au bord de la mer. Auprès de lui se rassemblèrent des foules si grandes qu’il monta dans une barque où il s’assit ; toute la foule se tenait sur le rivage. Il leur dit beaucoup de choses en paraboles : « Voici que le semeur sortit pour semer. Comme il semait, des grains sont tombés au bord du chemin, et les oiseaux sont venus tout manger. D’autres sont tombés sur le sol pierreux, où ils n’avaient pas beaucoup de terre ; ils ont levé aussitôt, parce que la terre était peu profonde. Le soleil s’étant levé, ils ont brûlé et, faute de racines, ils ont séché. D’autres sont tombés dans les ronces ; les ronces ont poussé et les ont étouffés. D’autres sont tombés dans la bonne terre, et ils ont donné du fruit à raison de cent, ou soixante, ou trente pour un. Celui qui a des oreilles, qu’il entende ! » (Mt 13, 1-9)

La fondation du royaume : Parabole du semeur

Ce jour-là était celui où Jésus avait prononcé des discours et où il fut interrompu par la visite de sa famille. Tel est aussi l’ordre du récit de Marc.  Luc plaça ces faits dans une autre suite, et rapporta la parabole du semeur sans indiquer le temps et le lieu où elle fut prononcée. La maison d’où il sortit fut celle où il était quand ses parents vinrent à lui. Quelle scène et quel culte ! Pour cathédrale, la voûte étincelante d’un ciel d’Orient ; pour auditoire, ces grandes foules, debout, couvrant au loin le rivage ; une barque de pêcheur servit de chaire, le prédicateur fut Jésus !

« La parabole a deux parties, le corps et l’âme : le corps est le récit de l’histoire qu’on a imaginée, et l’âme, le sens moral ou mystique caché sous les paroles ou le récit. » (Littré) Dans le Nouveau Testament le mot de paraboles ne s’applique pas seulement à ces récits allégoriques prolongés qu’employait si souvent Jésus, mais aussi à toute comparaison ou image dessinée à illustrer la pensée. la  différence notable qu’il y a entre la parabole et un autre genre analogue d’enseignement, la fable. Dans celle-ci le récit fictif n’est pas nécessairement emprunté au domaine du possible et du vrai, elle fait penser et parler les animaux, les plantes. Jamais Jésus ne se permit rien de pareil dans ses paraboles.

Tout dans son récit fut tellement naturel et vrai, que souvent on se demande si c’est un fait réel ou une fiction. Ainsi, le semeur, le bon Samaritain, l’enfant prodigue,… Et ces histoires sont, au point de vue de la forme, d’une telle beauté, d’une si grande perfection, qu’on s’arrêterait beaucoup plus à les admirer à cet égard, si les imposantes vérités religieuses qu’elles renferment ne s’emparaient de toute notre attention. Au fond, la parabole du Nouveau Testament est une création de Jésus-Christ. Ni les mythes des anciens, ni la fable qu’on lit au chapitre neuf du livre des Juges, ni les maschals du prophète Ézéchiel n’en purent donner l’idée.

Ceux qui nient la vraisemblance historique d’un long discours composé d’une série de paraboles, et qui attribuent à Matthieu ce recueil de similitudes prononcées par Jésus en divers temps, ne purent voir dans ces paroles d’introduction, comme dans celles qui servent de conclusion au récit, qu’une invention de Matthieu de même, leur mise en scène., ne serait qu’un cadre fictif donné à ce grand tableau. À cette opinion on peut opposer les remarques qui suivent : Matthieu ne prétendit  pas rapporter un discours soutenu, composé de sept paraboles et de l’explication de deux d’entre elles.

Il marqua lui-même, une première interruption provoquée par une question des disciples et la réponse de Jésus ; il en marqua une seconde, par une réflexion sur ce genre d’enseignement, et enfin une troisième, avec changement complet de lieu et de temps alors que Jésus n’avait encore prononcé que deux paraboles, sans doute avec des développements et des applications sérieuses à son grand auditoire. Matthieu, selon sa méthode de grouper les enseignements et les faits homogènes, consigna ces paraboles de moindre étendue que Jésus prononça ailleurs, et auxquelles Luc assigna une autre place dans son récit. Que Jésus fit, au bord de la mer, un discours prolongé dans lequel à plusieurs reprises, sa parole revêtit la forme de la parabole, c’est ce que témoigna le récit de Marc  ; il rapporta quelques-unes de ces paraboles. L’assemblage de ces sept paraboles présente peu d’invraisemblance historique que le sermon sur la montagne, cette prédication en paraboles fut le prolongement de ce dernier.

Le semeur n’eut pas l’intention de jeter aucune partie de sa semence sur un chemin ; mais comme ce chemin longea son champ et qu’il sema abondamment, beaucoup de grains tombèrent le long du chemin. Ces grains n’étant pas recouverts par la terre furent mangés par les oiseaux. Ces endroits rocailleux ne furent pas une partie du champ couverte de pierres, qu’on aurait pu ôter ; mais bien  des contrées montagneuses et arides, des endroits où une légère couche de terre recouvre le roc. Là, la semence peut lever, elle leva même aussitôt, poussa en dehors, précisément parce qu’elle ne pouvait pas enfoncer ses racines dans une terre profonde. Mais aux premières ardeurs du soleil du printemps, elle fut brûlée, desséchée parce qu’elle n’avait pas de racines qui pussent la nourrir des sucs de la terre. 

Pourquoi des épines dans un champ ensemencé ? Si, d’un côté, le champ fut bordé par un chemin, il fut, de l’autre, par une haie vive. Les grains de la semence tombèrent aux abords de la haie, parmi des épines, au moment où elles germèrent encore dans la terre. La semence leva, mais les épines montèrent avec plus de vigueur encore et l’étouffèrent. La plante du blé ne périt pas, elle substitua, mais elle fut trop épuisée pour produire des épis fertiles.  La bonne terre fut une terre rendue fertile par la culture, l’engrais, et le travail régulier Cette productivité, s’élevant jusqu’à cent pour un, était très ordinaire dans les pays de l’Orient.

Diacre Michel Houyoux

Compléments

◊ Diacre Michel Houyoux : cliquez ici pour lire l’article →Catéchèse sur la parabole du semeur (Mt 13, 1-23)

◊ Diacre Michel Houyoux : cliquez ici pour lire l’article →Celui qui reçoit la Parole de Dieu et la comprend, portera beaucoup de fruits.

Liens avec d’autres sites web chrétiens

◊ Familles chrétienne : cliquez ici pour lire l’article →Évangile : « Voici que le semeur sortit pour semer

◊ Radio Don Bosco- Fandraisana : cliquez ici pour lire l’article → Mercredi, Seizième Semaine du Temps Ordinaire

Vidéo Père René Luc ; cliquez ici → https://youtu.be/crQYlDxW7MY

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Dix-septième dimanche du Temps Ordinaire – Année Paire

Posté par diaconos le 22 juillet 2024

 Notre générosité nous dispose à faire l’expérience de la tendresse de Dieu !

 

 # La multiplication des pains est le nom donné à deux miracles réalisés par Jésus de Nazareth selon les textes des évangiles : Matthieu, chapitre 14, versets 14 à 21, puis à nouveau 15, 32-38 ; Marc 6, 34-44, puis à nouveau Marc 8, 1-9 ; Luc 9, 12-17 ; Jean 6, 5-14. La première multiplication des pains intervient après la mort de Jean Baptiste sur ordre d’Hérode Antipas pour répondre au désir de sa fille Salomé, et de guérisons de malades. Une seconde multiplication des pains a lieu ultérieurement qui implique un nombre différent de gens. Matthieu et Marc sont les seuls évangélistes à la relater. Certains exégèses pensèrent qu’il s’agissait du même événement raconté deux fois. Toutefois, les deux miracles ne se déroulèrent pas au même endroit, dans un cas il y eut cinq mille personnes, dans l’autre cas il y en eut quatre mille. Le nombre de corbeilles de pains en surplus fut aussi différent. Par la suite, Jésus évoqua les deux miracles en les distinguant clairement (Mt 16:9-11). Pour le docteur de l’Église Jean Chrysostome, Jésus lors de ce miracle se posa bel et bien comme le créateur du ciel et de la Terre.

Il incita par ce geste à prier avant tout repas, et il voulut montrer l’importance du partage. Des théologiens modernes diraient que la multiplication des pains est le symbole de la Parole donnée par le Christ, parole qui a nourri les peuples pour des siècles. Pour saint Éphrem, Jésus donna généreusement sans compter lors de ce miracle. Il donna tellement qu’il en resta douze corbeilles. Le saint compara également Jésus à Moïse, Moïse qui avait nourri le peuple libéré de l’esclavage avec la manne tombée du ciel. Pour Benoît XVI, dans l’Angélus du 31 juillet 2011, ce geste messianique est symbole de partage fraternel, mais aussi symbole du chemin que devront suivre les apôtres à savoir transmettre la Bonne Nouvelle. Dans l’Angélus du 29 juillet 2012, Benoit XVI met en exergue le fait que cette multiplication est le début de l’Eucharistie qui se perpétue jusqu’à aujourd’hui. Selon certaines interprétations théologiques, il préfigurerait la cène, dernier repas de Jésus avec ses disciples, établissant le rite de l’eucharistie dans lequel le pain est réputé incarner le corps de Jésus, donné en sacrifice sur la croix pour sauver les hommes.

 Pour les historiens, les événements évoqués par les évangélistes avec ces deux relations restent énigmatiques bien que certaines hypothèses aient été émises

De l’Évangile de Jésus Christ selon Jean

En ce temps-là, Jésus passa de l’autre côté de la mer de Galilée,  le lac de Tibériade. Une grande foule le suivait,  parce qu’elle avait vu les signes qu’il accomplissait sur les malades. Jésus gravit la montagne, et là, il était assis avec ses disciples. Or, le lac de Tibériade. Jésus leva les yeux et vit qu’une foule nombreuse venait à lui. Il dit à Philippe : « Où pourrions-nous acheter du pain pour qu’ils aient à manger ? » Il disait cela pour le mettre à l’épreuve,  car il savait bien, lui, ce qu’il allait faire. Philippe lui répondit : « Le salaire de deux cents journées ne suffirait pas pour que chacun reçoive un peu de pain. » Un de ses disciples, André, le frère de Simon-Pierre, lui dit :  « Il y a là un jeune garçon qui a cinq pains d’orge et deux poissons, mais qu’est-ce que cela pour tant de monde ! » 

Jésus dit : « Faites asseoir les gens. » Il y avait beaucoup d’herbe à cet endroit. Ils s’assirent donc, au nombre d’environ cinq mille hommes. Alors Jésus prit les pains et, après avoir rendu grâce, il les distribua aux convives ; il leur donna aussi du poisson, autant qu’ils en voulaient. Quand ils eurent mangé à leur faim, il dit à ses disciples : « Rassemblez les morceaux en surplus, pour que rien ne se perde. »  Ils les rassemblèrent, et ils remplirent douze paniers avec les morceaux des cinq pains d’orge, restés en surplus pour ceux qui prenaient cette nourriture. À la vue du signe que Jésus avait accompli, les gens disaient : « C’est vraiment lui le Prophète annoncé,  celui qui vient dans le monde. »  Mais Jésus savait qu’ils allaient l’enlever pour faire de lui leur roi ;  alors de nouveau il se retira dans la montagne,  lui seul. (Jn 6, 1-15)

Jésus nourrit la foule

Jésus étant passé de l’autre côté du lac de Tibériade, gagna la montagne et là il s’assit avec ses disciples. Il fut suivi de tous ses fans, avides de signes et de guérisons. Voyant cette foule nombreuse venue à lui, Jésus éprouva alors une immense compassion, une immense pitié pour cette foule, qui attendait tout de lui. Jésus vit les besoins des gens. Le miracle qu’il fit fut un geste d’amour. Jésus dit à Philippe : «Où pourrions-nous acheter du pain pour qu’ils aient à manger ?» Cette question est toujours d’actualité. Jésus nous demande de regarder les besoins les plus naturels des personnes : qu’elles aient à manger ! Il nous dit : à manger, tout simplement ! Jésus nous ramène à notre vie de chaque jour, à notre pain quotidien. Aimer… C’est là, dans les services ordinaires de nos journées, qu’il nous faut aimer. Il y avait là, dans cette foule, un jeune garçon qui avait cinq pains d’orge et deux poissons. Il avait des provisions et les autres n’avaient rien à manger. Jésus impressionné par la misère de la foule fit un miracle.

Avant saint Vincent de Paul, avant l’Abbé Pierre, avant Coluche, il lança pour la première fois, les restos du cœur. Il servit à la foule un repas gratuit : pain et poisson et ce sans lésiné sur la quantité  : les restes remplirent douze corbeilles ! Avant de nourrir l’esprit et le cœur, Jésus sait qu’il faut d’abord nourrir les corps. Nous ne devons jamais oublier ces besoins primordiaux : donner à manger ! Cette priorité aux pauvres dont parlait le pape  Jean Paul II est une attitude profondément évangélique : «Je te donne ce pain parce que je t’aime.»

Jésus veut nous faire découvrir dans la multiplication des pains l’annonce de l’Eucharistie. Ainsi, dans ce récit, on était proche de la fête de la Pâque juive, date de la Cène et du sacrifice de la croix : Jésus prit du pain et rendit grâces (c’est le mot Eucharistie et le distribua comme il le fit le soir du Jeudi Saint. L’ordre donné à Philippe de se procurer du pain pour nourrir la foule, et la présence des apôtres remplissant douze paniers des morceaux qui restent, sont une allusion à l’Église invitée à distribuer le Pain de vie (l’Eucharistie), aux personnes.

«Tous ont les yeux sur toi : ils espèrent et tu leur donnes la nourriture en son temps ; quant tu ouvres la main, tu combles et rassasie tous les vivants.» (Psaume 144) Á chaque célébration eucharistique, nous sommes invités à ce même geste de don que Dieu pourra multiplier. Réalisons-nous que nous sommes les invités à la table du Seigneur ? Ce récit évangélique est un appel à la générosité et au partage. Mais il nous dit aussi que rien n’est dérisoire, et que nous ne devons jamais nous décourager devant la faiblesse de nos moyens. Offrons au Seigneur nos petites capacités, il saura, lui, les multiplier.

Diacre Michel Houyoux

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Paroisse de Bezon : cliquez ici  → Homélie du 17ème dimanche du temps ordinaire. Année B.

Marche dans la Bible : cliquez ici pour lire l’article →Jean 6, 1-16 – La multiplication des pains

Vidéo  Campus protestant : cliquez ici → https://youtu.be/y7QsvNmHZ1g 

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Mardi de la seizième semaine du Temps Ordinaire – Année paire

Posté par diaconos le 22 juillet 2024

Paroisse Sainte Monique du Plateau Dokui - « Femme, pourquoi pleures-tu ? Qui  cherches-tu ? » — Jn 20, 1.11-18 Évangile de Jésus Christ selon saint Jean  Acclamation : Alléluia. Alléluia. «

Ils commencèrent leur vie commune à El Abiodh Sidi Cheikh, en Algérie, suivant la règle élaborée par le bienheureux Charles de Foucauld en 1899, centrée sur la clôture et l’adoration eucharistique. Ils travaillent bientôt de leurs mains en se rapprochant des populations locales, abandonnant une interprétation stricte de la règle. L’institut est érigé en institut de droit diocésain par Mgr Gustave Nouet, préfet apostolique de Ghardaïa, le 19 mars 1936 ; il reçut le decretum laudis le 13 juin 1968. Ils prononcèrent les vœux de pauvreté, de chasteté et d’obéissance à l’Église, voulant partager la condition faite aux petits et aux pauvres et être traités comme eux.

Il existe aussi une branche féminine, la fraternité des Petites Sœurs de Jésus. Ils sont au nombre de 75 frères en 1949 et presque 800 frères vingt ans plus tard. Ils furent en 2015 au nombre de 208 religieux de plus de trente nationalités répartis en 71 communautés 5 en petites unités de deux à quatre frères menant une forme de vie contemplative dans des appartements HLM ou des maisons ordinaires de village. Ils ne portent pas d’habit religieux et vivent en salariés dans des emplois au bas de l’échelle sociale : agent de nettoyage, aide soignant, parfois conducteur d’autobus,

Ils sont présents dans dix pays d’Europe (Allemagne, Autriche, Belgique, Croatie, Espagne, France, Italie6, Pologne, Portugal et Suisse), dans six pays d’Afrique (Algérie, Égypte, Nigéria, Cameroun, Tanzanie, Kenya), dans neuf pays d’Asie et Proche-Orient (Liban, Syrie, Iran, Pakistan, Turquie, Corée du Sud, Inde, Japon, Philippines) et dans dix pays d’Amérique (Canada, États-Unis, Mexique, Cuba, Nicaragua, Colombie, Brésil, Paraguay, Chili et Argentine). Le prieur général actuel est le P.F.J. Hervé Janson, de nationalité française. La fraternité générale se trouve à Bruxelles. En 2015, Rome a accepté qu’ils forment une fédération avec les Petits Frères de l’Évangile. Deux Petits Frères de Jésus de nationalité allemande trouvent le martyre au Congo belge, près de Mambasa, le 26 novembre 1964. Il s’agit de Bernard Ignatius Sarnes (28 ans, né le 30 janvier 1936 à Haldenau en Haute-Silésie et de Heinz Eberlein (29 ans, né le 18 juin 1935 à Wingendorf, aujourd’hui quartier de Kirchen)8, qui étaient partis évangéliser les Pygmées dans une mission de la forêt vierge.

De l’Évangile de Jésus Christ selon Matthieu

En ce temps-là, comme Jésus parlait encore aux foules, voici que sa mère et ses frères se tenaient au-dehors, cherchant à lui parler. Quelqu’un lui dit : « Ta mère et tes frères sont là, dehors, qui cherchent à te parler. » Jésus lui répondit : « Qui est ma mère, et qui sont mes frères ? » Puis, étendant la main vers ses disciples, il dit : « Voici ma mère et mes frères. Car celui qui fait la volonté de mon Père qui est aux cieux, celui-là est pour moi un frère, une sœur, une mère. » (Mt 12, 46-50)

La mère et les frères de Jésus

Qui furent les frères de Jésus ? Beaucoup de controverses  donnèrent lieu à cette question, depuis les premiers siècles jusqu’à nos jours. Elle ne fut posée que dans un intérêt dogmatique et depuis qu’on eut commencé à rendre des honneurs idolâtres à la mère de Jésus, pour laquelle il s’agissait dès lors de revendiquer une virginité perpétuelle. Plusieurs des Pères de l’Église puis tous les catholiques, et plus d’un théologien protestant, imaginèrent de faire de ces frères de Jésus, soit des enfants de Joseph par un premier mariage, soit des fils de la sœur de Marie, des cousins de Jésus. Cette supposition se heurte au fait que partout dans les évangiles ces frères de Jésus sont nommés, comme ici, avec sa mère. Les frères de Jésus furent désignés par la voix publique comme enfants de Joseph et Marie.

Tout porte donc à croire qu’il s’agissait de vrais frères de Jésus, et ce fut ainsi que se justifia le titre de premier-né qui lui fut donné.  u moment où Jésus allait prononcer le long discours qui précède, ces membres de sa famille, le voyant s’exposer par son zèle à la dangereuse opposition des adversaires, voulurent le retenir, l’arrêter, et ils disaient : « Il est hors de lui-même ». Puis, pendant qu’il parlait encor, ils insistèrent de nouveau par des motifs peut-être bienveillants, mais tout charnels ; car  ses frères ne croyaient pas en lui, et sa mère pouvait céder à un mouvement de fausse tendresse. Comment  Jésus n’aurait-il pas subordonné entièrement cette parenté selon la chair à la communion sainte et éternelle qui s’établissait alors entre lui et ses disciples ?

Non seulement il le fit lui-même, mais il exigea de ceux qui voulurent lui appartenir qu’ils agissaient dans le même esprit . La vraie famille de Dieu, dont il est le Frère aîné, se compose de ceux qui font la volonté de son Père. Jésus sanctifia les liens de la famille  et témoigna à sa mère le plus tendre amour .  Et ici même, quel amour il révéla à ceux qu’il voulut bien appeler du nom de frères et de sœurs  !

Diacre Michel Houyoux

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