Terza domenica di Pasqua – Anno C

Posté par diaconos le 29 avril 2025

 

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù si manifestò ai discepoli presso il mare di Tiberiade, ed ecco come. Con lui c’era Simon Pietro, con Tommaso, chiamato Didimo (cioè Gemello), Natanaele, di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due dei suoi discepoli. Simon Pietro disse loro ; “Vado a pescare”. Essi risposero: “Verremo anche noi con te”. Così partirono e salirono sulla barca ; Ma quella notte non presero nulla.


Allo spuntare del giorno, Gesù era in piedi sulla riva, ma i discepoli non sapevano che fosse lui Gesù disse loro :“Figlioli ! Avete qualcosa da mangiare ?” Essi risposero : “No”. Allora disse loro : “Gettate la rete a destra della barca,e troverete”.

Così gettarono la rete, e questa volta non riuscirono a tirarla dentro, c’erano così tanti pesci. Allora il discepolo che Gesù amava disse a Pietro : “È il Signore !”. Quando Simon Pietro sentì che era il Signore, si rivestì di una veste, perché non aveva nulla addosso, e si gettò in acqua.

Gli altri discepoli arrivarono in barca, trascinando la rete piena di pesci ; la terraferma distava solo un centinaio di metri. Quando arrivarono a riva videro un fuoco di brace che giaceva lì con dei pesci sopra, e del pane.Gesù disse loro “Portate un po’ del pesce che avete appena pescato”. Simon Pietro salì e tirò giù la rete piena di grossi pesci: Erano centocinquantatré. E nonostante fossero in tanti, la rete non si strappò.

 Allora Gesù disse loro : “Venite e mangiate”. Nessuno dei discepoli osò chiedergli : “Chi sei ?” Sapevano che era il Signore. Gesù si avvicinò; prende il pane e lo dà loro ; e lo stesso per il pesce. Questa era la terza volta che Gesù, risorto dai morti si mostrò ai suoi discepoli.

Quando ebbero mangiato Gesù disse a Simon Pietro : “Simone, figlio di Giovanni, mi ami davvero più di questi ? più di questi ? Egli rispose : “Sì, Signore ! Tu sai che io ti amo”. Gesù gli disse : “Sii il pastore dei miei agnelli”. Una seconda volta gli disse : “Simone, figlio di Giovanni, mi ami davvero ?

Egli rispose : “Sì, Signore! Tu sai che ti amo”. Gesù gli disse : “Sii il pastore delle mie pecore”.La terza volta gli disse : “Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu ? ” Pietro si rattristò perché Gesù gli chiese per la terza volta : “Mi ami tu?” Gli disse: “Signore, tu sai tutto: sai che ti amo”. Gesù gli disse: “Sii il pastore delle mie pecore. Amen, amen, io ti dico:

quando eri giovane, ti cingevi per andare dove volevi; quando sarai vecchio, tenderai le mani e qualcun altro ti cingerà per portarti dove non vuoi”.Gesù diceva questo per indicare il tipo di morte che Pietro avrebbe dato gloria a Dio. Poi gli disse: “Segui mi.” (Jn 21, 1-19)

Allo spuntare del giorno, Gesù era in piedi sulla riva, ma i discepoli non sapevano che fosse lui. Gesù disse loro : “Figlioli, avete qualcosa da mangiare ? ” Risposero : “No”. Disse loro : “Gettate la rete dalla parte destra della barca e la troverete”. Così gettarono la rete, e questa volta non riuscirono a tirarla dentro perché c’erano molti pesci. Allora il discepolo che Gesù amava disse a Pietro : “È il Signore !”

Quando Sim : on Pietro sentì che era il Signore, si vestì, perché non aveva nulla addosso, e si gettò in acqua. Gli altri discepoli arrivarono in barca, trascinando la rete piena di pesci; la terraferma era a soli cento metri. Quando scesero a terra, videro un fuoco di brace con dei pesci e del pane. Gesù disse loro : “Portate un po’ dei pesci che avete appena preso”. Simon Pietro salì e tirò giù la rete piena di grossi pesci : erano centocinquantatré.

E nonostante fossero così tanti, la rete non si strappò. Allora Gesù disse loro : “Venite e mangiate”. Nessuno dei discepoli osò chiedergli : “Chi sei ?” Sapevano che era il Signore. Gesù si avvicinò ; prese il pane e lo diede loro ; e lo stesso fece con il pesce.

Era la terza volta che Gesù, risorto dai morti, si mostrava ai suoi discepoli. Gesù gli disse : “Simone, figlio di Giona, mi ami tu più di costoro ?” Egli rispose : “Sì, Signore! Tu sai che io ti amo”. Gesù gli disse : “Sii il pastore dei miei agnelli”. Una seconda volta gli disse : “Simone, figlio di Giovanni, mi ami veramente ?” Egli rispose : “Sì, Signore ! Gesù gli disse :  “Giovanni, mi ami tu ?” Pietro si rattristò perché Gesù gli chiese per la terza volta : “Mi ami tu ?”

Egli rispose : “Signore, tu sai tutto: sai che ti amo”. Gesù gli disse : “Sii il pastore delle mie pecore. Amen, amen, ti dico :  quando eri giovane, ti cingevi le spalle per andare dove volevi ; quando sarai vecchio, tenderai le mani e qualcun altro ti cingerà per portarti dove non vuoi”.

Gesù disse questo per mostrare che tipo di morte Pietro avrebbe dato gloria a Dio. Poi gli disse : “Seguimi”. (Gv 21, 1-19) La miracolosa cattura dei pesci Dopo la risurrezione e le prime apparizioni di Gesù ai suoi discepoli, Gesù si manifestò nuovamente sulle rive del mare di Tiberiade (Gv 6,1). Tutti i suoi discepoli vi si recarono per ordine di Gesù, confidando nella sua promessa di apparire loro in quel luogo (Mt 26,31-32; Mt 28,7-10).

 Il racconto di Giovanni è in armonia con quello di Matteo (Mt 28, 7; Mt 16-20) e di Paolo (1 Co 15, 6). Dopo la risurrezione e le prime apparizioni di Gesù ai suoi discepoli (Gv 5, 1; Gv 6, 1; Gv 7, 1).

Gesù apparve di nuovo presso il mare di Tiberiade. Solo Giovanni ha dato questo nome (Gv 6,1) al lago che Matteo chiama mare di Galilea (Mt 4,18), dove tutti i discepoli tornarono, seguendo il comando di Gesù e confidando nella sua promessa di apparire loro lì (Mt 26,31-32; Mt 28,7-10).

Il racconto di Giovanni è in armonia con quello di Matteo e di Paolo (1 Co 15,6), che hanno reso note le apparizioni di Gesù in Galilea. Dei sette discepoli presenti alla scena che segue, cinque sono nominati e ben conosciuti : Simon Pietro (Gv 1,43) ; (Gv 11,16), Natanael i figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni (Mt 4,21).

Altri due discepoli non sono stati nominati perché non erano tra gli apostoli sempre nominati per primi. M. Godet dice giustamente che questo fatto è significativo e che la spiegazione più plausibile che si può dare è che Giovanni, l’autore di questo racconto, si sia attribuito l’ultimo posto per modestia.

I discepoli, tornati in Galilea, erano temporaneamente tornati alla loro occupazione precedente. Pietro, come sempre, prese l’iniziativa. Senza dubbio a causa del cambiamento avvenuto in lui dopo la sua risurrezione (Gv 20,14).

Gesù disse loro : “Figlioli, non avete nulla da mangiare ?” La natura miracolosa di questa pesca consisteva nella conoscenza divina con cui Gesù sapeva che sul lato destro della barca c’era una grande quantità di pesce. A questa vista, i discepoli devono essersi ricordati delle parole di Gesù, che li chiamava all’apostolato : “Seguitemi e vi farò diventare peccatori di uomini” (Mt 4,19) e dell’evento simile a cui avevano assistito (Lc 5,4).

Era anche una magnifica immagine delle immense benedizioni che Gesù avrebbe elargito al loro futuro ministero. Il significato simbolico di questa abbondante pesca non poteva sfuggire alla mente dei discepoli. Gesù disse lor : “Portate un po’ del pesce che avete appena pescato”. I discepoli si stupirono di trovare un pasto preparato, pesce e pane. Molti interpreti videro in questo semplice fatto un miracolo.

Alcuni dissero che Gesù aveva creato il fuoco e il cibo; altri, che erano stati preparati dagli angeli. Al miracolo si aggiungeva poi l’allegoria : per alcuni, il cibo preparato era un’immagine della Cena del Signore ; per altri, un simbolo delle grazie con cui il Signore ristora e rafforza i suoi che lavorano nel suo regno; per altri ancora, un emblema del banchetto celeste promesso ai beati.

Ciò che Gesù voleva, per manifestarsi ai suoi discepoli, era convincerli completamente della sua risurrezione ; e per farlo, entrò in una relazione personale con loro, la più diretta delle quali fu quella di mangiare con loro, proprio come aveva fatto due volte prima (Lc 24,30-42).

Gesù gli disse : “Se voglio che rimanga fino alla mia venuta, che ti importa ? Gesù continuò a parlare con il suo discepolo e con questa solenne dichiarazione, che appartiene esclusivamente al quarto Vangelo.  Gesù continuò la conversazione con il suo discepolo e con questa solenne dichiarazione, che appartiene esclusivamente al quarto Vangelo : “In verità, in verità, gli disse che cosa gli sarebbe accaduto in questa vocazione in cui era appena stato reintegrato”.

Fu attraverso grandi prove che Pietro dimostrò a Gesù l’amore che gli aveva dichiarato per tre volte. Questa predizione assume la forma di un’immagine viva: Potersi cingere, legare intorno ai lombi, per camminare o per lavorare, il lungo costume orientale ; andare dove si vuole, è il segno dell’indipendenza, dell’attività della forza.

Tale era Pietro in quel momento: quando eri più giovane di Gesù, dal punto di vista del futuro che gli annunciava. Pietro fece un uso abbondante di questa libertà, secondo la natura del suo carattere ardente e veloce. Quando Gesù gli parlò così, non era più un giovane, perché era sposato (Mt 8,14). La sua vecchiaia lo rendeva dipendente da qualcun altro e lo costringeva a rinunciare alla sua volontà e alla sua attività.

Per un uomo del carattere di Pietro, una tale rinuncia doveva già essere un sacrificio doloroso. Ma fu ancora peggio : si ridusse a tendere le mani e ad abbandonarsi passivamente a quest’altro che lo avrebbe cinto, legato e condotto con la forza alla morte.

Allora dimostrò a se stesso e agli altri di amare Gesù, al quale sacrificò la sua vita. Questo era il significato della predizione. Gli interpreti erano divisi sul significato di queste parole : “Stenderai le tue mani”. Alcuni, dai Padri a de Wette, Tholuck, Hengstenberg ed Ewald, hanno preso questa espressione alla lettera per significare che Pietro avrebbe sofferto il supplizio della croce.

 Questo fatto è stato riportato da Tertulliano, Origene, Eusebio (Storia ecclesiastica III, 1), che Pietro fu crocifisso. Altri esegeti: Meyer, Weiss, Luthardt e Godet ritengono che le parole : “stenderai le mani” non possano riferirsi all’atteggiamento dell’uomo che si lascia inchiodare alla croce, immagine con cui Gesù rappresenta la passività che non oppone resistenza.

È attraverso questa morte che Pietro ha glorificato Dio. Morire al servizio di Dio e per la verità divina era il modo più eminente per contribuire alla sua gloria in questo mondo (Fil 1,20 ; 1 Pt 4,16). Così, tra i cristiani dei primi secoli, glorificare Dio divenne sinonimo di subire il martirio.

Seguitemi in questo cammino che avete intrapreso, di cui vi ho appena preannunciato l’esito e che, per voi come per me, si concluderà con la morte (Gv 21,22 ; Gv 13,36 ; Mt 10,38 ; Mt 9,9). A questo comando solenne, che riguarda tutti i cristiani, è stato dato un nuovo significato.

Gli interpreti moderni hanno adottato questa spiegazione. “Tuttavia, non ne consegue che il significato del comando: seguimi, sia puramente esteriore. È chiaro che, facendo questo primo passo, Pietro intraprende il cammino di obbedienza a Gesù che lo porterà alla tragica fine del suo apostolato”. (Godet)

 È con questa morte che Pietro ha glorificato Dio. Morire al servizio di Dio e per la verità divina è il modo più eminente per contribuire alla sua gloria in questo mondo (Fil 1,20; 1 Pt 4,16).Tra i cristiani dei primi secoli, la glorificazione di Dio divenne sinonimo di martirio.

“Seguitemi in questo cammino che avete intrapreso, di cui vi ho appena preannunciato l’esito e che, per voi come per me, si concluderà con la morte” (Gv 21,22; Gv 13,36; Mt 10,38; Mt 9,9) In questo modo, Gesù avrebbe voluto dire : “Seguitemi dove vi condurrò per potervi parlare da soli”. Gli interpreti moderni hanno adottato questa spiegazione : Non ne consegue, tuttavia, che il significato del comando : seguimi, sia puramente esteriore

 È chiaro che, facendo questo primo passo, Pietro intraprende il cammino di obbedienza a Gesù che lo porterà alla tragica fine del suo apostolato. È così che il senso superiore è naturalmente legato a quello inferiore, come Giovanni (Gv 1,44) Per quanto riguarda gli elementi di questo pasto, era difficile procurarsi pesce e pane sulle rive di un lago dove c’erano sempre pescatori ? Il cibo preparato non era sufficiente per le otto persone che dovevano partecipare al pasto,


Il diacono Michel Houyoux


Link a siti web cristiani

maranatha.it cliccare qui per legare l’articolo Liturgia della III Domenica di Pasqua – Anno C

Qumran.net › cliccare qui per legare l’articoloTesti – III Domenica di Pasqua (Anno C)

Video Padre Fernando Armellini › cliccare qui https://youtu.be/sFB_OQkbFe4?t=7

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Troisième dimanche de Pâques – Année C

Posté par diaconos le 29 avril 2025

Troisième dimanche de Pâques – Année C

De l’Évangile de Jésus Christ selon Jean

En ce temps-là, Jésus se manifesta encore aux disciples sur le bord de la mer de Tibériade, et voici comment.     Il y avait là, ensemble, Simon-Pierre, avec Thomas, appelé Didyme, c’est-à-dire Jumeau, Nathanaël, de Cana de Galilée, les fils de Zébédée, et deux autres de ses disciples.
Simon-Pierre leur dit : «  » Ils lui répondent : « Nous aussi, nous allons avec toi. » Ils partirent et montèrent dans la barque ; or, cette nuit-là, ils ne prirent rien.

    Au lever du jour, Jésus se tenait sur le rivage, mais les disciples ne savaient pas que c’était lui.   Jésus leur dit : « Les enfants auriez-vous quelque chose à manger ? » Ils lui répondirent : « Non. »
Il leur dit : « Jetez le filet à droite de la barque, et vous trouverez. » Ils jetèrent donc le filet,
et cette fois ils n’arrivaient pas à le tirer, tellement il y avait de poissons.     Alors, le disciple que Jésus aimait dit à Pierre : « C’est le Seigneur ! »

Quand Simon Pierre entendit que c’était le Seigneur, il passa un vêtement, car il n’avait rien sur lui,
et il se jeta à l’eau. Les autres disciples arrivèrent en barque, traînant le filet plein de poissons ; la terre n’était qu’à une centaine de mètres. Une fois descendus à terre, ils aperçoivent, disposé là, un feu de braise avec du poisson posé dessus, et du pain     Jésus leur dit : « Apportez donc de ces poissons que vous venez de prendre. » Simon-Pierre remonta et tira jusqu’à terre le filet plein de gros poissons : il y en avait cent cinquante-trois.

Et, malgré cette quantité, le filet ne s’était pas déchiré. Jésus leur dit alors : « Venez manger. »
Aucun des disciples n’osait lui demander : « Qui es-tu ? »Ils savaient que c’était le Seigneur. Jésus s’approche ; il prend le pain et le leur donne ; et de même pour le poisson.

C’était la troisième fois que Jésus ressuscité d’entre les morts se manifestait à ses disciples. Jésus lui dit ; « Simon, fils de Jonas m’aime -tu plus que ceux-ci ? » Il lui répond : « Oui, Seigneur ! Toi, tu le sais : je t’aime. » Jésus lui dit : « Sois le berger de mes agneaux. » Il lui dit une deuxième fois : « Simon, fils de Jean, m’aimes-tu vraiment? » Il lui répond : « Oui, Seigneur ! Toi, tu le sais : je t’aime. »Jean, m’aimes-tu ? » Pierre fut peiné parce que, la troisième fois, Jésus lui demandait : « M’aimes-tu ? »

Il lui répond : « Seigneur, toi, tu sais tout : tu sais bien que je t’aime. » Jésus lui dit : « Sois le berger de mes brebis. Amen, amen, je te le dis : quand tu étais jeune, tu mettais ta ceinture toi-même pour aller là où tu voulais ; quand tu seras vieux, tu étendras les mains, et c’est un autre qui te mettra ta ceinture, pour t’emmener là où tu ne voudrais pas aller.    Jésus disait cela pour signifier par quel genre de mort Pierre rendrait gloire à Dieu. Sur ces mots, il lui dit : « Suis-moi. » (Jn 21, 1-19)

La pêche miraculeuse

Après la résurrection et les premières apparitions de Jésus à ses disciples, Jésus se manifesta de nouveau au bord de la mer de Tibériade. (Jn 6, 1). Tous les disciples de Jésus y allèrent selon l’ordre de Jésus et comptant sur la promesse qu’il leur avait faite de leur apparaître là (Mt 26, 31-32 ; Mt 28, 7-10).

Le récit de Jean est en harmonie avec celui de Matthieu (Mt 28, 7 ; Mt 16-20) et celui de Paul (1 Co 15, 6). Après la résurrection et les premières apparitions de Jésus à ses disciples (Jn 5, 1 ; Jn 6, 1 ; Jn 7, 1).

Jésus se manifesta de nouveau au bord de la mer de Tibériade. Jean seul donna ce nom (Jn 6, 1) au lac que Matthieu appela mer de Galilée (Mt 4, 18) où tous les disciples y retournèrent, selon l’ordre de Jésus et comptant sur la promesse qu’il leur avait faite de leur apparaître là (Mt 26, 31-32 ; Mt 28, 7-10).

Le récit de Jean est en harmonie avec celui de Matthieu et celui de Paul (1 Co 15, 6), qui fit connaître les apparitions de Jésus en Galilée. Des sept disciples présents à la scène qui va suivre, cinq sont nommés et bien connus : Simon Pierre (Jn 1, 43) ;  (Jn 11, 16)Nathanaël (Jn 1, 46), les fils de Zébédée, Jacques et Jean, (Mt 4, .21).

Deux autres disciples ne furent pas nommés parce qu’ils n’étaient pas du nombre des apôtres toujours nommé en tête. M. Godet dit avec raison que ce fait est significatif et que l’explication la plus plausible qu’on en puisse donner est que Jean, l’auteur de ce récit et qu’il s’attribua, par modestie la dernière place.

Les disciples, de retour en Galilée, avaient repris momentanément leur ancien métier. Pierre, comme toujours, a l’initiative. Sans doute à cause du changement qui s’était opéré dans sa personne depuis sa résurrection (Jn 20, 14 ).

Jésus leur dit  : «  Enfants, n’avez-vous rien à manger ? Ils lui répondirent : « Non » Le but de Jésus en leur adressant cette question était d’entrer en rapport avec eux.Le caractère miraculeux de cette pèche consista dans la science divine par laquelle Jésus connaissait que du côté droit de la barque se trouvait une grande quantité de poissons.

À cette vue, les disciples durent se souvenir de la parole de Jésus, les appelant à l’apostolat : « Suivez-moi et je vous ferai pécheurs d’hommes » (Mt 4, 19) et du fait analogue dont ils avaient été témoins (Lc 5, 4).

C’était aussi une imagé magnifique des immenses bénédictions que Jésus devait accorder à leur futur ministère. Le sens symbolique de cette pêche abondante ne pouvait échapper à l’esprit des disciples.

 Jésus leur dit :« Apportez de ces poissons que vous venez de prendre » Les disciples furent étonnés de trouver là un repas préparé, du poisson et du pains. Beaucoup d’interprètes, virent dans ce fait assez simple un miracle.

Les uns dirent que Jésus avait créé le brasier et les aliments ; d’autres, qu’ils avaient été préparés par des anges. Puis au miracle, on ajouta l’allégorie : ces mets préparés furent, pour les uns, une image de la sainte cène ; pour d’autres, le symbole des grâces par lesquelles le Seigneur restaure et fortifie les siens qui travaillent dans son règne ; pour d’autres encore, un emblème du banquet céleste, promis aux bienheureux.

Ce que voulut Jésus, fur de se manifester à ses disciples, les convaincre complètement de sa résurrection ; et, pour cela, il entra avec eux dans des relations personnelles, dont la plus directe fut d’avoir avec eux un repas, précisément comme il le fit deux fois déjà (Lc 24, 30-42)  

Jésus lui dit : « Si je veux qu’il demeure jusqu’à ce que je vienne, que t’importe ? Toi, suis-moi »  Jésus continua l’entretien avec son disciple ; et par cette déclaration solennelle, qui appartient exclusivement au quatrième Évangile : En vérité, en vérité, il lui annonça ce qui lui arrivera dans cette vocation où il vint de le réintégrer.

Ce fut par de grandes épreuves que Pierre témoigna à Jésus l’amour qu’il lui déclara par trois fois. Cette prédiction revêt la forme d’une image vivante : Pouvoir se ceindre soi-même, rattacher autour des reins, pour la marche ou le travail, le long costume oriental ; aller on l’on veut, c’est la marque de l’indépendance, de l’activité de la force.

Tel était alors Pierre : quand tu étais plus jeune que Jésus se plaça au point de vue de cet avenir qu’il lui annonça. Pierre usait abondamment de cette liberté, selon la nature de son caractère ardent et prompt. Quant Jésus lui parlait ainsi il n’était plus un jeune homme, puisqu’il était marié (Mt 8, 14).

Sa vieillesse le mit dans la dépendance d’un autre et le força à renoncer à sa volonté, à son activité propre. Pour un homme du caractère de Pierre, une telle abdication devait être déjà un pénible sacrifice.

Mais voici qui fut plus grave encore : il fut réduit à étendre ses mains et à se livrer passivement à cet autre qui le ceindra, le liera et le mènera de force à la mort. Alors, il prouva, à lui-même et aux autres, qu’il aimait Jésus, auquel il fit le sacrifice de sa vie. Tel fut le sens de cette prédiction.

Les interprètes se divisèrent sur la signification de ces mots : tu étendras tes mains. Les uns, depuis les Pères jusqu’à de Wette, Tholuck, Hengstenberg, Ewald, prirent cette expression dans un sens littéral signifiant que Pierre souffrira le supplice de la croix.

Ce fait fut rapporté par Tertullien, Origène, Eusèbe (Histoire Ecclésiastique III, 1), que Pierre fut crucifié. D’autres exégètes : Meyer , Weiss, Luthardt, Godet pensèrent que ces mots : tu étendras tes mains ne peuvent désigner l’attitude de l’homme qui se laisse clouer sur la croix, image par laquelle Jésus représenta la passivité qui n’oppose aucune résistance.

Ce fut par cette mort que Pierre glorifia Dieu. Mourir au service de Dieu et pour la vérité divine fut la manière la plus éminente de contribuer à sa gloire dans ce monde (Ph 1,20 ; 1 P 4,16). Aussi, parmi les chrétiens des premiers siècles, glorifier Dieu était devenu synonyme de souffrir le martyre.

Suis-moi dans cette voie où tu t’es engagé, dont je viens de te prédire l’issue et qui, pour toi comme pour moi, aboutira à la mort (Jn 21, 22 ; Jn 13.36 ; Mt 10, 38 ; Mt 9,.9). On a donné de cet ordre si solennel, qui concerne tous les chrétiens.

Les interprètes modernes adoptèrent cette explication. « Il ne résulte pourtant pas de là que le sens de l’ordre : suis-moi, soit purement extérieur. Il est clair que par ce premier pas Pierre rentre dans cette voie de l’obéissance envers Jésus qui le conduira au terme tragique de son apostolat. » (Godet)

Cefut par cette mort que Pierre glorifia Dieu. Mourir au service de Dieu et pour la vérité divine c’est la manière la plus éminente de contribuer à sa gloire dans ce monde Ph 1, 20 ; 1 P 4, 16). Aussi, parmi les chrétiens des premiers siècles, glorifier Dieu était devenu synonyme de souffrir le martyre.

« Suis-moi dans cette voie où tu t’es engagé, dont je viens de te prédire l’issue et qui, pour toi comme pour moi, aboutira à la mort (Jn 21,22 ; Jn 13, 36 ; Mt 10, 38 ; Mt 9, 9). Ainsi, Jésus aurait voulu dire : « Suis-moi, là où je vais te conduire pour m’entretenir seul avec toi ».

Les interprètes modernes adoptèrent cette explication : Il ne résulte pourtant pas de là que le sens de l’ordre : suis-moi, soit purement extérieur. Il est clair que par ce premier pas Pierre rentre dans cette voie de l’obéissance envers Jésus qui le conduira au terme tragique de son apostolat. C’est ainsi que le sens supérieur se lie naturellement à l’inférieur, aussi bien que Jean  (Jn 1,44)

Quant aux éléments de ce repas, il était difficile de se procurer du poisson et du pain sur les bords d’un lac où il y avait toujours des pêcheurs ? Les aliments préparés ne suffisant pas pour les huit personnes qui devaient prendre part au repas,

Diacre Michel Houyoux

Liens avec des sites chrétiens

catholique.org cliquez ici pour lire l’article Troisième dimanche de Pâques – Homélie

arras.catholique.fr cliquez ici pour lire l’article Troisième dimanche de Pâques

Vidéo La pêche miraculeuse cliquez ici https://youtu.be/FB1nQOIA3rQ

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Mardi de la deuxième semaine du Temps Pascal

Posté par diaconos le 28 avril 2025

Mardi de la deuxième semaine du Temps Pascal

 

# Moïse, le premier prophète du judaïsme, est le personnage le plus important de la Bible hébraïque, recevant la Loi pour le judaïsme, préfigurant Jésus-Christ pour le christianisme et précédant le prophète Mahomet pour l’islam. Pour les traditions monothéistes juive et chrétienne, Moïse est l’auteur sous inspiration divine du Pentateuque, c’est-à-dire des cinq premiers livres de la Bible, livres qui constituent la Torah juive et sont appelés la « Loi de Moïse » dans ces deux religions. Moïse écrit également « sous la dictée de Dieu » le Décalogue et tout un ensemble de lois religieuses, sociales et alimentaires.

En plus de cette idée d’une rédaction mosaïque sous la dictée de Dieu connue comme la « Torah écrite », les rabbins attribuent également à Moïse la « Torah orale » que constituent les commentaires de la Loi codifiés dans la Mishna. En islam, Moïse sous le nom de Moussa est le prophète le plus présent dans le Coran, cité à cent trente-six reprises. Il fait partie des « grands prophètes », considéré comme l’un des messagers envoyés par Allah et il annonce le prophète Mahomet. Les récits mosaïques du Coran font référence au Pentateuque et à l’Aggada mais proposent aussi des épisodes originaux, insistant sur le parallélisme entre Mahomet et Moïse.

De l’Évangile de Jésus Christ selon Jean

En ce temps-là, Jésus disait à Nicodème : « Il vous faut naître d’en haut. Le vent souffle où il veut : tu entends sa voix, mais tu ne sais ni d’où il vient ni où il va. Il en est ainsi pour qui est né du souffle de l’Esprit. »

Nicodème reprit : « Comment cela peut-il se faire ? » Jésus lui répondit : « Tu es un maître qui enseigne Israël et tu ne connais pas ces choses-là ? Amen, amen, je te le dis :
nous parlons de ce que nous savons, nous témoignons de ce que nous avons vu comment croirez-vous, et vous ne recevez pas notre témoignage. Si vous ne croyez pas lorsque je vous parle des choses de la terre, quand je vous parlerai des choses
fut élevé par Moïse dans le désert, du ciel ? Car nul n’est monté au ciel sinon celui qui est descendu du ciel, le Fils de l’homme. De même que le serpent de bronze ainsi faut-il que le Fils de l’homme soit élevé, afin qu’en lui tout homme qui b-croit ait la vie éternelle. » (Jn , 3, 7b-15)

Il fallut que le Fils de l’homme soit élevé

Jésus s’efforça d’initier Nicodème aux choses célestes, que lui seul put révéler. Pour rendre accessible à Nicodème le mystère de son œuvre rédemptrice, Jésus emprunta à l’Ancien Testament un magnifique symbole bien connu de son interlocuteur ; et, se l’appliquant à lui-même, il en fit une prédiction très claire de sa mort.

Le peuple d’Israël ayant murmuré contre Dieu, fût châtié par le fléau terrible de serpents brûlants qui causèrent la mort d’un grand nombre des coupables. Alors le peuple repentant, confessant son péché vint vers Moïse, le suppliant d’intercéder pour lui. En réponse à sa prière, le serviteur de Dieu reçut l’ordre d’élever sur une perche un serpent d’airain, et tous ceux qui, croyant la promesse de Dieu, contemplaient cette image du mal dont ils souffraient, furent guéris.

De même, ajouta Jésus, il fallut que le Fils de l’homme soit élevé ; élevé sur la croix d’abord, qui deviendra pour lui le chemin de la gloire. Le sens de ce mot être élevé fut certifié par d’autres déclarations de Jésus, et aussi par le fait que, dans la langue araméenne qu’il parlait, le terme correspondant, qu’il employa, signifie : être élevé sur un poteau, y être pendu ou crucifié.

Il fallu, dit Jésus : glorieuse nécessité, fondée sur la miséricorde éternelle de Dieu, sur son conseil déjà annoncé par les prophéties, qui furent accomplies. Le but de cette œuvre de l’amour de Jésus fut semblable à celui qui fût atteint au désert pour les Israélites mourants : afin que quiconque ne périsse pas dans son péché, comme les coupables périssaient au désert, mais qu’il ait la vie éternelle.

Cette dernière parole se trouve ici pour la première fois dans l’évangile. Elle revint très souvent dans la suite. Le don de la vie éternelle implique le pardon, la réconciliation avec Dieu, mais la participation de l’âme sauvée à la vie de Dieu même, vie impérissable et bienheureuse.  Dieu a tellement aimé : cet amour est le principe et la source suprême du salut. Il a aimé le monde, ce monde déchu, pécheur, en révolte contre lui ; il a aimé notre humanité tout entière à laquelle il destinait cette manifestation de son amour.

Il donna, non seulement envoyé, mais abandonné, ce qu’il avait de plus cher, son Fils unique  : «Lui, qui n’a point épargné son propre Fils, mais qui l’a livré pour nous tous, comment ne nous donnera-t-il pas aussi toutes choses avec lui ? » (Rm 8, 32)  Il n’exige de tout homme, pour qu’il ne périsse pas dans son péché et sa misère, que de mettre en lui toute la confiance de son Cœur. Enfin, il ouvrit aux yeux de ce croyant les immenses et bienheureuses perspectives de a vie éternelle.

Le mot de Fils unique est propre à Jean, mais pourquoi Jésus ne s’en serait-il pas servi, lui qui s’appelle si souvent le Fils ? Jésus confirma que le but de sa venue dans le monde était bien de manifester l’amour éternel de Dieu et non de juger le monde.  Le dessein de cet amour est si universel, que le monde entier pourrait être sauvé par Jésus-Christ. Cette universalité du salut est exprimée de la manière la plus solennelle par la triple répétition du mot monde.

Mais Jésus, en proclamant ainsi le but miséricordieux de sa venue, fut bien éloigné de nier le jugement dernier, qui, au contraire, lui est réservé pour la fin des temps et qu’il annonça de la manière la plus solennelle : «Ne vous étonnez pas de cela; car l’heure vient où tous ceux qui sont dans les sépulcres entendront sa voix, et en sortiront. »

«Ceux qui auront fait le bien ressusciteront pour la vie, mais ceux qui auront fait le mal ressusciteront pour le jugement» (Jn 5, 28-29) Pendant son séjour sur la terre, et tout en annonçant la miséricorde divine.Jésus exerça, par la puissance de la vérité, un autre jugement actuel, intérieur, auquel nul homme n’échappe : «Puis Jésus dit: Je suis venu dans ce monde pour un jugement, pour que ceux qui ne voient point voient, et que ceux qui voient deviennent aveugles.» (Jn 9, 39).

«Jésus qui vient de révéler l’amour rédempteur envers le monde entier, dévoile maintenant à Nicodème la nature du vrai jugement. Et cette révélation aussi est une transformation complète de l’opinion reçue. Ce ne sera pas entre Juifs et païens, ce sera entre croyants et incrédules, quelle que soit leur nationalité, que passera la ligne de démarcation.» (Godet)

Puisque le Fils de Dieu est venu, non pour juger, mais pour sauver, celui qui croit en lui, qui a embrassé en lui la grâce divine, qui s’est donné à lui, n’est pas jugé. Le jugement a bien dû s’exercer dans sa conscience, par la vérité, et l’amener à la repentance, mais maintenant il en est affranchi et il respire dans l’atmosphère de la grâce et de l’amour divins.

Il en a le témoignage au dedans de lui. «Celui qui croit au Fils de Dieu a ce témoignage en lui-même ; celui qui ne croit pas Dieu le fait menteur, puisqu’il ne croit pas au témoignage que Dieu a rendu à son Fils. (1 Jn 5, 10)  Jésus confirma cette parole en déclarant que le croyant est affranchi, même du jugement final : «En vérité, en vérité, je vous le dis, celui qui écoute ma parole, et qui croit à celui qui m’a envoyé, a la vie éternelle et ne vient point en jugement, mais il est passé de la mort à la vie. » (Jn 5, 24)

Où il ne comparaîtra que pour voir constater au grand jour son état d’âme. Jésus affirma : «Celui qui ne croit pas, qui persiste dans son incrédulité est déjà jugé, par le seul fait que le Fils unique de Dieu s’est présenté à lui, plein de grâce et de vérité, et qu’il l’a repoussé en lui fermant son cœur.  Il reste dans son péché, auquel il a ajouté le péché le plus grave, le mépris de la miséricorde divine. Celui qui croit au Fils de Dieu a ce témoignage en lui-même ; celui qui ne croit pas Dieu le fait menteur puisqu’il ne croit pas au témoignage que Dieu a rendu à son Fils.

Jésus pénétra plus profond encore dans l’âme et y découvrit la nature et la cause du jugement. C’est que la lumière est apparue dans le monde par la venue de Jésus, et qu’en sa présence , une décision, une crise, un jugement s’opère en toute âme : ou elle aime la lumière et se donne à Celui qui la fait resplendir, ou elle aime mieux l’erreur, le mensonge, le mal, et elle s’y réfugie pour se livrer à ses œuvres qui étaient mauvaises et qui le restent.

En rejetant Jésus l’homme se juge. L’enquête la plus rigoureuse sur toute sa vie ne constaterait pas mieux sa disposition. Quiconque se livre à des œuvres mauvaises ou fait le mal non seulement n’aime pas la lumière, mais il la hait, parce qu’elle révèle, accuse et condamne les dispositions intimes de son cœur, et il se garde bien de venir à la lumière, c’est-à-dire, de s’approcher de Jésus ; car il sait que ses œuvres seraient reprises, convaincues de culpabilité, comme devant un tribunal.

Il en est tout autrement de celui qui pratique la vérité, la vérité morale, qui, dans les écrits de Jean, est souvent à peu près synonyme de sainteté et qui est tout l’opposé des œuvres mauvaises, ou du mal. «Faire la vérité désigne l’effort persévérant d’élever sa conduite à la hauteur de sa connaissance morale, de réaliser l’idéal du bien perçu par la conscience.» (Godet)

Celui qui agit ainsi vient à la lumière, s’approche avec confiance de Jésus, ne craignant pas, mais désirant, que ses œuvres soient manifestées. C’est qu’il a en lui le témoignage que ses œuvres, sa vie, les dispositions de son cœur sont faites en Dieu, en communion avec lui, en conformité avec son esprit et sa volonté.  «Bien forte pour caractériser les œuvres de l’homme sincère, avant qu’il ait trouvé Christ. Mais soit en Israël, soit même en dehors de la sphère théocratique, c’est d’une impulsion divine que provient tout bien dans la vie humaine (Jn 37-44).

«Partout où il y a docilité de la part de l’homme envers cette divine initiative s’applique cette expression d’œuvres faites en Dieu, qui comprend aussi bien les soupirs du péager humilié et du croyant repentant que les nobles aspirations d’un Jean ou d’un Nathanaël» (Godet)  Jésus reconnut qu’il y a des hommes qui, même avant de venir à lui, la lumière parfaite, ont un cœur sincère et droit, aimant la vérité et cherchant la lumière : «Quiconque est de la vérité : écoute ma voix» (Jn 18, 37). Ce sont les âmes que le Père attire à Jésus et qui ne lui résistent pas. Cette parole, qui termina l’entretien, fut un encouragement pour Nicodème, qui était lui-même venu à Jésus.

Diacre Michel Houyoux

Complément

◊ Diacre Michel Houyoux : cliquez ici pour lire l’article →Il faut que le Fils de l’homme soit élevé

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Lundi de la deuxième semaine du Temps Pascal

Posté par diaconos le 27 avril 2025

Lundi de la deuxième Semaine du Temps Pascal

 

De l’Évangile de Jésus Christ selon Jean

Il y avait un homme, un pharisien nommé Nicodème ; c’était un notable parmi les Juifs. Il vint trouver Jésus pendant la nuit. Il lui dit : « Rabbi, nous le savons, c’est de la part de Dieu que tu es venu comme un maître qui enseigne, car personne ne peut accomplir les signes que toi, tu accomplis, si Dieu n’est pas avec lui. »

Jésus lui répondit : « Amen, amen, je te le dis : à moins de naître d’en haut, on ne peut voir le royaume de Dieu. » Nicodème lui répliqua : « Comment un homme peut-il naître quand il est vieux ? Peut-il entrer une deuxième fois dans le sein de sa mère et renaître ? »

Jésus répondit : « Amen, amen, je te le dis : personne, à moins de naître de l’eau et de l’Esprit, ne peut entrer dans le royaume de Dieu. Ce qui est né de la chair est chair ; ce qui est né de l’Esprit est esprit. Ne sois pas étonné si je t’ai dit : il vous faut naître d’en haut. Le vent souffle où il veut :
tu entends sa voix, mais tu ne sais ni d’où il vient ni où il va. Il en est ainsi pour qui est né du souffle de l’Esprit. » (Jn 3, 1-8)

Jésus et Nicodème

Jean montra en Nicodème un exemple de cette foi qui ne se fondait que sur les miracles (Jn 2, 23) ; il introduisit ce détail comme une exception à l’attitude pleine de réserve que Jésus avait prise (Jn 2, 24) ; il reproduisit et résuma dans cette relation les importantes révélations que Jésus donna, dans les premiers temps de son ministère, sur sa personne et sur son œuvre.

Ne suffit-il pas d’admettre que cette mémorable rencontre de Jésus avec lpharisien Nicodème fut un des principaux épisodes de ce premier séjour de Jésus à Jérusalem, dont Jean retraça les résultats ?

Nicodème était un chef du peuple juif,’il était membre du sanhédrin, conseil suprême de la nation (Jn 7, 50). Il était du parti des pharisiens (Mt 3, 7). Ilétait inconnu dans l’histoire, car son identification avec un Nicodème, disciple de Jésus, dont parle le Talmud et qui vécut jusqu’à la ruine de Jérusalem, n’est pas démontrée.

,Mais Jean lui éleva un monument assez durable pour qu’il ne fut jamais oublié. Du fait qu’il vint vers Jésus de nuit, Nicodème était un homme timide et il resta le type de ceux qui cèdent à la crainte de se compromettre.

Jean rappela cette circonstance toutes les fois qu’il parlait de Nicodème ne laissait subsister de doute à cet égard (Jn 7, 50 ; Jn 19, 39). Ce serait bien à tort, toutefois, qu’on le jugerait trop sévèrement pour cela.

Dans la position sociale qu’il occupait comme membre du sanhédrin, entouré d’hommes qui étaient remplis de préjugés contre Jésus et n’ayant lui-même qu’une foi faible et obscure, Nicodème prit une détermination d’une hardiesse très méritoire en se décidant à chercher des lumières auprès de ce nouveau prophète galiléen. Sa démarche prouva une sincérité qui l’affranchit par degrés de la crainte des hommes.

Malgré l’hostilité croissante du sanhédrin, il prit la défense de Jésus (Jn 7.50) ; et, au moment du plus grand danger, il ne craignit plus de se déclarer ouvertement en faveur de Jésus en qui il le reconnut son Sauveur (Jn 19, 39).

Jésus répondit aux pensées que Nicodème n’avait pas encore eu le temps d’exprimer et qui avaient trait au royaume de Dieu (Mt 3, 2). C’était le grand sujet qui préoccupait tout Israélite pieux. Mais quel renversement des idées de Nicodème : avec les pharisiens, dont il était membre ; il attendait un royaume extérieur, national, politique.

Jésus lui présenta un royaume invisible, dans lequel on entre par une transformation morale. Et, en affirmant la nécessité pour tous de cette naissance d’eau et d’esprit, Jésus détruisit du même coup cet édifice de vertus, d’œuvres, d’observances de la loi, par lesquelles la propre justice pharisaïque pensait pouvoir subsister devant Dieu !

Il ne s’agissait plus de faire, mais d’être et avant d’être, il fallait naître. Ainsi Jésus répondit aux préoccupations intimes de Nicodème. Cette réponse de Jésus lui prêta l’intention de faire passer son interlocuteur de la foi fondée sur les miracles à la foi morale qui produit une transformation du cœur (Augustin, de Wette),

Le titre de Rabbi, décerné à Jésus par Nicodème, comme étant un docteur satisfait de lui-même, avide de discussions et d’instructions nouvelles, chez lequel Jésus s’appliquerait à éveiller la conscience de ses déficits moraux (Weiss). .

Naître de nouveau, ou naître d’en haut ? Chrysostome mentionna les deux interprétations. La première est celle d’Augustin, de la Vulgate, de Luther, Calvin, Bèze, Tholuck, Olshausen, Luthardt, Godet, Weiss-. Leur principal argument fut que la méprise de Nicodème n’eût pas été possible si Jésus avait parlé d’une naissance d’en haut.

Naissance d’en haut signifie dès le commencement, dès l’origine (Lc 1, 3 ; Ac 26, 5) ; cela est tellement vrai que Paul, dans Galates 4.9, lui adjoignit l’adverbe de nouveau.. Jean l’employa toujours dans ce sens local (Jn 3, 31 ; Jn 19, 11-23 ;  Mt 25, 31 ; Jc 1, 17 ; Jc 3, 15), conformément à sa notion de l’homme régénéré, qu’il désigne comme  né de Dieu  (Jn 1, 13 ; 1 Jn 2, 29 ; Jn 3, 9 ; Jn 4, 7 ; Jn 5, 1).

S’il avait voulu dire : naître de nouveau, il avait pour cela à sa disposition le verbe grec qui se trouve fréquemment sous la plume de Paul (Rm 2,2 ; Ep 4, 23 ; 1 P 1,23), ou un autre terme exprimant le renouvellement de l’âme.

La pensée de Jésus est plus complète et plus en harmonie avec l’explication qu’il en donna lui-même, quand il appela cette naissance d’en haut une naissance d’Esprit. (Origène, Erasme, Bengel, Lücke, de Wette, Meyer, Lange Weizsäcker, Rilliet, Reuss).

Pour dissiper si possible l’étonnement de Nicodème, Jésus indiqua l’action de l’Esprit par une comparaison empruntée à la nature. Cette comparaison s’offrait à lui dans le terme qui désigne l’esprit et qui signifie en même temps vent. Il personnifia le vent qui souffle où il veut et fit remarquer qu’on le constate par ses effets : le bruit, la voix, bien qu’on ne sache ni d’où il vient ni où il va (Ec 11, 5).

Il en est de même de l’œuvre de l’Esprit ; celui en qui elle s’accomplit a conscience de la transformation qui s’opère en lui, il la constate par ses effets, mais il ignore de quelle manière elle s’accomplit. Toute vie est un mystère.

Nicodème demanda et il demanda encore comment ? À cette question, il ne saurait y avoir de réponse propre à satisfaire une curiosité tout intellectuelle. Qu’il se replie sur lui-même qu’il s’arrête au fait d’expérience et qu’il se demande : Suis-je né d’en haut ?

Par l’image qu’il choisit, Jésus révéla la parfaite liberté de l’Esprit dans son action : « Il souffle où il veut » et souvent là même où les hommes le soupçonnent le moins. Jésus enseigna encore parI la même image que ceux en qui cet Esprit opère ne savent pas jusqu’où il les conduira. Il ouvrit ainsi devant eux de grandes et glorieuses perspectives.

Diacre Michel Houyoux

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Vidéo Jésus et Nicodème cliquez ici https://youtu.be/0sliPOd27ok

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