­Diciannovesima domenica del Tempo Ordinario – Anno B

Posté par diaconos le 7 août 2024

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo», il caffè spirituale di mons.  Savino - BatSera

# Secondo l’Antico Testamento, la manna era il cibo degli Ebrei nel deserto. Secondo il libro dell’Esodo, gli Ebrei mormorarono contro Mosè perché stavano morendo di fame. La sera caddero dal cielo delle quaglie ; il mattino seguente si diffuse su di loro una nebbia o rugiada ; quando fu evaporata, apparve sulla superficie del deserto qualcosa di piccolo, granuloso e fine, come la brina sul terreno (Es 16, 14). Mosè disse loro : « Questo è il pane che il Signore vi dà da mangiare ». E più avanti : « La casa d’Israele chiamò questo cibo manna ».

La manna cadeva dal cielo ogni giorno, tranne il sabato ; la vigilia di quel giorno ne cadeva il doppio. I figli di Israele mangiarono la manna per quarant’anni, finché non giunsero in una terra abitata; mangiarono la manna finché non raggiunsero i confini della terra di Canaan. La storia è ripetuta nel Corano, nella Sura al-Baqara : « Abbiamo fatto scendere le nuvole per la vostra ombra; vi abbiamo mandato la manna e le quaglie e vi abbiamo detto: « Nutritevi delle cose buone che vi diamo ».

# Il Corpo di Cristo è un concetto della teologia cristiana legato alla redenzione, alla vita eterna, alla condivisione, alla fratellanza e alla trasmissione della parola divina. Nella Messa cattolica, il sacerdote dice durante la preghiera eucaristica : « Quando fu pronto per essere consegnato ed entrare liberamente nella sua passione, prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli, dicendo: « Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo che è dato per voi »".

Questo richiamo all’Ultima Cena, il pasto prima della crocifissione di Gesù Cristo, è il simbolo della carne data dal Messia per salvare l’umanità dai suoi peccati. Poco dopo, il sacerdote dice : « Ricordando la morte e la risurrezione di tuo Figlio, ti offriamo, Signore, il pane della vita ». Più che il perdono, il pane, come afferma l’officiante, è il pane della vita, il simbolo della risurrezione portata all’umanità da Gesù. Il Corpo di Cristo è il dono del perdono dei peccati da parte del Messia, la nuova parola data che sta alla base della risurrezione e, soprattutto, il pane di vita attraverso questa parola cristica che vuole portare carità e fratellanza.

Mosè ha condotto il popolo fuori dalla schiavitù; Gesù, attraverso il dono del suo corpo e il suo sacrificio, cerca di stabilire le virtù cardinali e teologali. La Comunità Pane di Vita era una nuova comunità della Chiesa cattolica romana, fondata nel 1976 da Pascal e Marie-Annick Pingault e sciolta dal vescovo Jean-Claude Boulanger il 9 aprile 2015. # Per il Dottore della Chiesa Giovanni Crisostomo, Gesù, in questo miracolo, si poneva come creatore del cielo e della terra. Con questo gesto ha anche incoraggiato le persone a pregare prima di mangiare e ha voluto mostrare l’importanza della condivisione. Teologi più moderni affermano che la moltiplicazione dei pani è un simbolo della Parola data da Cristo, una parola che ha nutrito le persone per secoli.

Per Sant’Efrem, durante questo miracolo Gesù ha dato generosamente senza contare il costo. Diede così tanto che rimasero dodici ceste. Il santo ha anche paragonato Gesù a Mosè, che nutrì il popolo liberato dalla schiavitù con la manna caduta dal cielo. Per Benedetto XVI, questo gesto è stato un simbolo di condivisione fraterna, ma anche un simbolo del percorso che gli apostoli hanno seguito: trasmettere la Buona Novella. Benedetto XVI ha sottolineato che questa moltiplicazione è stata l’inizio dell’Eucaristia, che continua ancora oggi.

Secondo alcune interpretazioni teologiche, prefigura l’Ultima Cena, l’ultimo pasto di Gesù con i suoi discepoli, istituendo il rito dell’Eucaristia in cui il pane sarebbe l’incarnazione del corpo di Gesù, dato in sacrificio sulla croce per salvare l’umanità.

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni

In quel tempo, i Giudei si lamentavano contro Gesù perché aveva detto : « Io sono il pane disceso dal cielo ». Dissero : « Non è forse questo Gesù, il figlio di Giuseppe ? Conosciamo bene suo padre e sua madre. Come può dire ora : ‘Sono disceso dal cielo’? » Gesù rispose : « Non litigate tra di voi. Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. È scritto nei profeti Tutti saranno ammaestrati da Dio stesso. « 

Chiunque ha ascoltato il Padre e ha ricevuto il suo insegnamento viene a me. Nessuno ha mai visto il Padre se non colui che viene da Dio : lui solo ha visto il Padre. Amen, amen, vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri mangiarono la manna nel deserto e morirono; ma il pane che scende dal cielo è tale che chiunque ne mangia non morirà. Io sono il pane vivo disceso dal cielo: se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno. Il pane che io darò è la mia carne, data per la vita del mondo. (Gv 6, 41-51)

Il pane vivo dal cielo

Voleva forse dire che c’erano emissari del Sinedrio nella sinagoga di Cafarnao dove Gesù stava parlando ? Giovanni chiamò quei galilei che tradirono la loro opposizione a Gesù con le loro mormorazioni. Ciò che li scandalizzava era che Gesù si presentava loro come il pane disceso dal cielo. Nella loro ignoranza, vedevano una contraddizione tra questa affermazione e la conoscenza che avevano della famiglia di Gesù. Mormorarono tra loro, senza esprimere apertamente la loro opposizione alle parole che avevano appena sentito. Gesù non rispose all’obiezione dei suoi ascoltatori rivelando loro il mistero della sua nascita soprannaturale : perché l’origine miracolosa di Gesù poteva essere accettata solo da un cuore già credente.

Questi scrupoli non erano la causa della loro incredulità; era la loro incredulità che dava origine a questi scrupoli. Egli insistette sulla necessità di un’opera di grazia divina che doveva essere compiuta in ogni uomo che voleva venire a lui e credere in lui. Nessuno può farlo in altro modo. Quest’opera, che descrisse con queste parole : « Tutto ciò che il Padre mi dà verrà a me », la caratterizzò come un’attrazione del Padre verso Gesù. Dio gli dà le anime attirandole a sé.

Dio ha, nella sua potente mano, mille modi per esercitare questa azione della sua misericordia sulle anime. A volte sono le esperienze dolorose della vita, la sofferenza, il pensiero della morte, che fanno sentire tristemente il bisogno di un consolatore, di un Salvatore ; a volte è l’amaro sentimento del peccato che si risveglia in loro e ispira loro questo grido di angoscia : « Cosa devo fare per essere salvato ? ». E non appena Gesù apparve, lo riconobbero come colui che avevano tanto desiderato. Ma il grande mezzo di Dio per attirare gli uomini a Gesù è la sua Parola e il suo Spirito, che sono costantemente all’opera nella nostra umanità e che colgono i momenti più favorevoli per compiere la sua opera.

Solo l’esperienza, che è la grande riconciliatrice dei contrasti, può insegnarci a questo proposito ; insegna agli umili a dire con un riformatore : « Noi vogliamo, perché ci è dato di volere ». « È Dio che opera in voi la volontà e l’esecuzione, secondo il suo buon volere, nonostante l’apparente contraddizione: « Lavorate alla vostra salvezza con timore e tremore » (Fil 2,2-13). Sia come sia, non appena un povero peccatore è stato attirato da Gesù in questo modo, che si assume il compito di completare l’opera divina in lui fino alla fine : « E io lo risusciterò nell’ultimo giorno ».

Gesù ha affermato, con gioiosa certezza : « Chiunque ha ascoltato il Padre ed è stato ammaestrato, viene a lui e trova in lui il suo salvatore ». L’insegnamento che gli uomini hanno ricevuto da Dio è solo preparatorio, destinato a portarli al Figlio, che solo ha visto il Padre da tutta l’eternità, perché viene da Dio. « In lui dunque, che è l’immagine di Dio, lo splendore della sua gloria, i credenti vedono Dio » (Gv 1,14). Gesù disse : « Io sono il pane della vita ». Dopo questa profonda istruzione, provocata dalle mormorazioni dei Giudei, Gesù tornò al suo insegnamento sulla vita eterna, che comunicò ai credenti donandosi a loro come pane di vita.

Gesù rimanda ai Giudei la loro obiezione : « La manna che ha nutrito i loro padri nel deserto non ha impedito loro di morire ». Ma c’è un altro pane che libera dalla morte, il pane disceso dal cielo che dà la vita eterna. Gesù riassume tutto quello che ha appena detto dicendo : « Io sono quel pane vivo » e quindi vivificante, perché dà la vita eterna a chi se ne appropria attraverso la fede e la comunione viva con lui. « Il pane della vita e il pane vivo, ciò che è vita divina realizzata in una persona umana, che scende dal cielo in senso generale e che è scesa dal cielo in senso storico e concreto, nella persona di Cristo; l’espressione negativa: non morirà, e la grande affermazione positiva: vivrà per sempre » (Meyer).

Con queste parole, Gesù presenta il suo pensiero sotto una nuova luce e passa all’ultima parte del suo discorso. Nella parte precedente ha parlato più volte del pane della vita, di un pane disceso dal cielo che dà la vita eterna a chi lo mangia; ha dichiarato che questo pane vivificante è lui stesso e che il modo per vivere di esso è credere in lui. « Dare la sua carne e il suo sangue » non può significare altro che la sua morte, per di più violenta, in cui è stato versato il suo sangue. Infatti, la carne e il sangue sono la natura umana vivente ; darli è consegnarsi alla morte ; darli di questo mondo, che è nella morte, è riscattarlo e salvarlo.

Il modo per appropriarci dei frutti della morte di Gesù è entrare con lui, attraverso la fede, in una comunione intima e personale. Questo è ciò che Gesù ha espresso con le parole : « Mangiate la sua carne e bevete il suo sangue ». Questa è stata l’interpretazione della maggior parte degli esegeti. Un’altra è quella di vedere in questo passo non la morte di Gesù in particolare, ma la sua persona e la sua vita in generale, che egli offre a coloro che credono in lui, come fonte della loro vita spirituale.

 Il diacono Michel Houyoux

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Vendredi de la dix-septième semaine du Temps Ordinaire- Année Paire

Posté par diaconos le 2 août 2024

Vendredi de la dix-septième semaine du Temps Ordinaire- Année Paire dans Bible le-fils-du-charpentier

 Jésus, le fils du charpentier

# Jésus est décrit dans les Évangiles comme ayant des « frères » (Mt 12, 46; Mc 3, 31; Lc 8, 19), Jacques, Joset (ou José ou Joseph suivant les manuscrits), Jude et Simon (ou Siméon), ainsi que des sœurs. L’Église catholique considère que ces frères étaient en réalité des cousins, le mot frère étant en fait utilisé pour parler de relations plus éloignées, essentiellement en raison de la culture sémitique des personnes concernées, qui n’avaient pas dans leur langue, un mot spécifique pour « cousin » ; les textes évangéliques se seraient conformés à cet usage, bien qu’ils fussent écrits en grec, langue dans laquelle existe un mot pour  cousin  contrairement aux langues sémitiques.

Selon cette analyse, ce mot frère désigne, dans la Bible grecque, la Septante, aussi bien des cousins, voire des amis ou des proches dans des contextes tout à fait différents, car le texte fut produit dans le contexte d’une civilisation judéo-hellenistique, celle d’Alexandrie. Selon la lecture protestante, Marie aurait tout simplement eu, après la naissance de Jésus, des enfants avec Joseph, hypothèse qui n’altère pas la virginité de Marie à la naissance de Jésus mais s’oppose au dogme catholique de sa virginité perpétuelle. L’exégèse protestante réfute la théorie du substrat sémitique élaborée par l’exégèse catholique, car les textes ont été rédigés directement en grec. .x

Un apocryphe, le Protévangile de Jacques, écrit vers le IIe siècle, que ne rejeta pas l’orthodoxie orientale, expliqua que ces  frères et sœurs vinrent d’un précédent mariage de Joseph avec une femme inconnue. Cette version est aussi relatée dans un autre texte apocryphe : l’« Histoire de Joseph le Charpentier. Jude se désigne comme frère de Jacques et non de Jésus. Simon est sans ambiguïté désigné comme un cousin, fils de Clopas, le frère de Joseph, dans un passage d’Eusèbe de Césarée. Jésus n’est pas né de l’union de Joseph et Marie. Celui de premier-né de Lc 2, 77 s’explique par la coutume de rachat du premier-né. Lors de la crucifixion, Jésus confia sa mère à Jean qui l’ accueillit chez lui, mais pour une partie des chrétiens, c’est une façon d’enseigner la prééminence de la parenté spirituelle sur la parenté biologique.x

Les sages qui le connaissaient ont dit de lui : N’est-ce pas le fils du charpentier ? n’est-ce pas Marie qui est sa mère ? Jacques, Joseph, Simon et Jude, ne sont-ils pas ses frères ? et ses sœurs ne sont-elles pas toutes parmi nous Dans ce dernier passage les sages de la patrie de Jésus ont dit que ses sœurs étaient parmi eux, et donc mariées à certains de ces sages. Les avis à ce sujet divergent. Partant du principe du judaïsme sur la question du mariage il serait vraisemblable – mais non évident – que Joseph a dû honorer sa femme Marie en lui donnant d’autres enfants. Ceci est un débat exégétique dans les diverses églises et confessions issues du christianisme.

De l’Évangile de Jésus Christ selon Matthieu

En ce temps-là, Jésus se rendit dans son lieu d’origine, et il enseignait les gens dans leur synagogue, de telle manière qu’ils étaient frappés d’étonnement et disaient : « D’où lui viennent cette sagesse et ces miracles ? N’est-il pas le fils du charpentier ? Sa mère ne s’appelle-t-elle pas Marie, et ses frères : Jacques, Joseph, Simon et Jude ? Et ses sœurs ne sont-elles pas toutes chez nous ? Alors, d’où lui vient tout cela ? » Et ils étaient profondément choqués à son sujet. Jésus leur dit : « Un prophète n’est méprisé que dans son pays et dans sa propre maison. »   Et il ne fit pas beaucoup de miracles à cet endroit-là, à cause de leur manque de foi. (Mt 13, 54-58)

Jésus méprisé dans sa patrie

À Nazareth, appelé sa patrie parce que c’était celle de sa famille et qu’il y avait été élevé. Marc rapporta cette visite à Nazareth après la résurrection de la fille de Jaïrus, avant l’envoi des disciples. Matthieu parut lui assigner une époque plus tardive. Quant au récit que Luc  plaça au commencement du ministère de Jésus, et que plusieurs interprètes identifièrent avec celui de Matthieu et de Marc, il en différa beaucoup trop par les éléments les plus essentiels pour que cette identification fut probable.

Ainsi, ce qui étonnait les habitants de Nazareth, c’était la sagesse de Jésus, dans son enseignement, et sa puissance, dans l’action. Cet étonnement pouvait, chez quelques-uns, être accompagné de confiance et de foi, chez d’autres, il était tout charnel. Ce scandale venait de ce que Jésus leur paraissait trop pauvre, trop petit, trop connu à Nazareth dès son enfance pour être un envoyé de Dieu, le Messie. C’est là l’éternel scandale de la raison humaine en présence du Dieu homme.

Que sera-ce quand il faudra admettre la folie de la croix ? Dans le récit de Marc, Jésus lui-même est appelé le charpentier, et sûrement avec raison ; il pratiqua ce travail manuel dans sa jeunesse. Ici et dans Marc, les sœurs de Jésus sont nommées avec ses frères, comme appartenant à la famille du charpentier et de Marie. Comment  admettre que ces frères et ces sœurs ne le fussent pas en effet ?

Sur le nom d’un des frères de Jésus, les manuscrits varient entre Josès et Joseph. Ce dernier nom est plus autorisé dans Matthieu, le premier l’est plus dans Marc. Expression proverbiale d’une grande vérité. On a peine à regarder des yeux de la foi ceux qu’on est habitué à voir des yeux de la chair. Jésus avait guéri là quelques malades, et ces guérisons produisirent l’impression décrite ci-dessus, mais l’incrédulité de ceux qui l’entouraient mit fin à cette action puissante.

Marc observa que Jésus ne put plus faire d’autres miracles.  L’incrédulité se ferma à elle-même la source des grâces divines que la foi seule reçoit. Multiplier dans un tel milieu ses œuvres de puissance et d’amour n’eût été de la part de Jésus que rendre plus coupables ceux qui en auraient été les témoins.

Diacre Michel Houyoux

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Radio Don Bosco – Fandraisana : cliquez ici pour lire l’article → Vendredi, Dix-septième Semaine du Temps Ordinaire

Dom Armand Veilleux (Abbaye de Scourmont – Belgique) : cliquez ici pour lire l’article → Homélie pour le vendredi de la 17ème semaine du Temps ordinaire

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­Diciottesima domenica del Tempo Ordinario – Anno B

Posté par diaconos le 31 juillet 2024

Io sono il pane della vita.... - GIF animé gratuit


# La vita eterna è percepita in modo diverso da popoli diversi in epoche e religioni diverse. Nel Neolitico si credeva nell’esistenza dell’anima, un principio diverso dal corpo. Costruivano monumenti monumentali dove custodivano i corpi, matrici dell’anima. La camera sotto i dolmen era chiusa da una porta con un foro attraverso il quale gli spiriti dei corpi sepolti potevano uscire. Antichi Egizi: Iside, in quanto moglie di Osiride, era la dea associata ai riti funebri. Dopo aver trovato tredici delle quattordici parti del corpo del suo amato, assassinato e massacrato dal geloso fratello Set, gli donò il soffio della vita eterna e gli diede un figlio Horus.


Per poter gioire della vita eterna, gli Egizi avevano bisogno di mantenere intatti i loro corpi e i loro nomi. Privarsi di uno dei due era, ai loro occhi, la punizione definitiva. La palma è il simbolo della vita eterna. L’ebraismo proclama la perpetuità dell’anima; la vita eterna è una delle credenze fondamentali dell’ebraismo. Il mondo a venire, noto come “Olam haBa”, è strettamente legato all’escatologia e al messianismo ebraico. L’autore che ne ha parlato di più è stato l’apostolo.

Giovanni


Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni

In quel momento, quando le folle videro che Gesù non c’era e nemmeno i suoi discepoli, la gente salì sulle barche e si diresse verso Cafarnao in cerca di Gesù. Quando lo trovarono sull’altra sponda del fiume, gli dissero : “Rabbì, quando sei arrivato qui ? Gesù rispose : “Amen, amen, vi dico che mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato dei pani e vi siete saziati. Non lavorate per il cibo che si perde, ma per quello che dura fino alla vita eterna, che vi darà il Figlio dell’uomo, che Dio Padre ha sigillato con la sua mano”

In quel momento, quando le folle videro che Gesù non c’era e nemmeno i suoi discepoli, la gente salì sulle barche e si diresse verso Cafarnao in cerca di Gesù. Quando lo trovarono sull’altra sponda del fiume, gli dissero : “Rabbì, quando sei arrivato qui ? ” Gesù rispose : “Amen, amen, vi dico che mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato dei pani e vi siete saziati. Non lavorate per il cibo che si perde, ma per quello che dura fino alla vita eterna, che vi darà il Figlio dell’uomo, che Dio Padre ha sigillato con la sua mano”.

Allora gli dissero : “Che cosa dobbiamo fare per operare le opere di Dio ?”. Gesù rispose : “L’opera di Dio è che crediate in colui che egli ha mandato”. Allora gli dissero : “Quale segno compirai perché possiamo vederlo e crederti ? Quale opera farai ? I nostri padri mangiarono la manna nel deserto; come dice la Scrittura, Egli diede loro da mangiare il pane del cielo”. Gesù disse loro : “Amen, amen, io vi dico: non è stato Mosè a darvi il pane dal cielo ; è il Padre mio che vi dà il vero pane dal cielo. Perché il pane di Dio è quello che scende dal cielo e dà vita al mondo”. Allora gli dissero: “Signore, dacci sempre questo pane”.

Gesù rispose : “Io sono il pane della vita. Chi viene a me non avrà mai fame; chi crede in me non avrà mai sete”. (Gv n 6, 24-35)

Il pane della vita

La folla che era rimasta lì vide che non c’era nessun’altra barca oltre a quella in cui i discepoli erano entrati da soli, e che Gesù non vi era salito. Ne dedussero che doveva essere rimasto, come loro, sul lato orientale del lago. Ma il giorno dopo, non trovando né Gesù né i suoi discepoli, che non erano tornati a prenderlo, approfittarono di alcune barche che nel frattempo erano arrivate da Tiberiade e attraversarono il lago per andare a Cafarnao a cercare Gesù.

Non erano più i cinquemila uomini del giorno precedente, ma un certo numero di loro che aveva passato la notte lì, mentre la maggior parte degli altri era andata a piedi intorno all’estremità del lago. Queste persone, trovando Gesù sull’altra sponda del lago, gli chiesero con ingenuo stupore : “Quando sei arrivato qui ?”. Sospettavano in questo fatto, per loro inspiegabile, una nuova azione miracolosa.

Erano più desiderosi di miracoli che della verità che avrebbero potuto ricevere dalla parola di Gesù. Da qui la sua risposta e questo discorso per far luce sui loro cuori. Volevano sapere come Gesù avesse attraversato il lago. Gesù non ritenne opportuno rispondere, ma, come era sua abitudine, fece appello alla coscienza dei suoi ascoltatori rimproverandoli. Lo cercavano, non perché vedevano i miracoli. Ogni miracolo di Gesù era un segno della presenza, della potenza e della misericordia di Dio.

Ma invece di considerare il miracolo come un segno e di elevarsi al bene eterno rappresentato da quel segno, i Giudei si concentrarono sugli effetti materiali del miracolo. Così videro nella moltiplicazione dei pani nient’altro che il cibo con cui furono riempiti. È per combattere questa tendenza carnale che Gesù, in un nuovo discorso, spiegò con tanta elevatezza e profondità il significato simbolico e spirituale del miracolo appena compiuto. Dopo essere arrivato a Cafarnao,

Gesù sembra essere entrato nella sinagoga, dove i suoi ascoltatori del giorno precedente lo avevano incontrato di nuovo; lì tenne il suo discorso e rispose alle obiezioni dei suoi ascoltatori. Questa circostanza accresceva la solennità del suo insegnamento. Il commento di Giovanni riguarda l’intero discorso di Gesù. In contrasto con il cibo che perisce e di cui i suoi ascoltatori si accontentavano, Gesù opponeva il cibo che diventa la vita dell’anima non appena lo riceve, che produce vita eterna e prolunga i suoi effetti fino alla pienezza della vita nell’eternità.

Che cosa intendesse Gesù con questo cibo lo conferma aggiungendo: “Il Figlio dell’uomo ve lo darà”. Egli stesso, come Figlio dell’uomo, era la manifestazione della vita divina nella nostra umanità, e solo lui poteva darla. Per ottenerla, dobbiamo renderci idonei a riceverla rinunciando, con un serio sforzo di volontà, ai nostri errori e ai nostri pregiudizi, per venire a Gesù che solo dà la vita. Capirono che Gesù esigeva da loro uno sforzo morale; si chiesero quali opere fossero gradite a Dio, conformi alla sua volontà.

Pensavano a certe azioni esteriori la cui ricompensa sarebbe stata il cibo che dura fino alla vita eterna. Alle opere Gesù ha opposto l’opera, l’unica che Dio richiede. E quest’opera consiste nel credere in Gesù Cristo che egli ha mandato. Questa fede, atto morale della coscienza e del cuore, era di per sé il principio della vita divina, perché metteva l’anima in comunione con Dio attraverso Cristo. È quindi la fonte di tutte le opere di obbedienza, di gratitudine e di amore; era la radice dell’albero che, da solo, porterà buoni frutti. Queste parole: l’opera di Dio, non significano, come pensava Agostino, l’opera che Dio compie in noi, un’idea che è vera in sé.

Il Diacono Michel Houyoux

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Conferenza Episcopale Italiana: clicca qui per leggere l’articolo → XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO B

 ◊ Parrocchia San Giovanni Apostolo – Marotta : clicca qui per leggere l’articolo → IO SONO IL PANE DELLA VITA

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Mardi de la dix-septième semaine du Temps Ordinaire – Année Paire

Posté par diaconos le 30 juillet 2024

Le sermon sur la montagne Les paraboles du Seigneur Jésus Les ...

 

De l’Évangile de Jésus Christ selon Matthieu

En ce temps-là, laissant les foules, Jésus vint à la maison. Ses disciples s’approchèrent et lui dirent : »Explique-nous clairement la parabole de l’ivraie dans le champ. » Il leur répondit : « Celui qui sème le bon grain, c’est le Fils de l’homme ; le champ, c’est le monde ; le bon grain, ce sont les fils du Royaume ; l’ivraie, ce sont les fils du Mauvais. L’ennemi qui l’a semée, c’est le diable ; la moisson, c’est la fin du monde ; les moissonneurs, ce sont les anges. Le même que l’on enlève l’ivraie pour la jeter au feu, ainsi en sera-t-il à la fin du monde. Le Fils de l’homme enverra ses anges, et ils enlèveront de son Royaume toutes les causes de chute et ceux qui font le mal ;     ils les jetteront dans la fournaise : là, il y aura des pleurs et des grincements de dents. Alors les justes resplendiront comme le soleil dans le royaume de leur Père. Celui qui a des oreilles, qu’il entende ! » (Mt 13, 36-43)

Parabole du semeur

 Avec quelle assurance Jésus attribua à son action sur ce monde, tout le bien qui s’y trouve, tous les « fils du royaume » ! Dans la parabole du semeur, où il s’agit de répandre dans la terre une semence qui représente la « Parole de Dieu », Jésus-Christ, tout en restant le premier et le grand semeur, put considérer tous ses serviteurs fidèles comme des continuateurs de son œuvre. Mais ici, où cette semence représente des hommes  engendrés par la parole de la vérité, productions vivantes de la première semence, créations de l’Esprit de Dieu, le Sauveur est le seul qui puisse en remplir ce champ qui est le monde ; en ce sens, semer la bonne semence est son œuvre exclusive.

Cette œuvre, il l’a accomplie de tout temps, comme Parole éternelle au sein de notre humanité  ; il l’accomplissait alors sur la terre, où il était venu opérer une création nouvelle, et il l’accomplira jusqu’à la fin des temps. Le monde : cette parole est la clef de notre parabole. Jésus n’entendit pas par là  la partie mauvaise  de l’humanité, par opposition au peuple de Dieu ; mais bien cette humanité tout entière, que Jésus appela à bon droit son champ ou son royaume, et qui est fut destinée par la miséricorde divine à recevoir la bonne semence et à devenir le  royaume des cieux.

De tout temps il y  eut des interprètes qui, méconnaissant ce  détail fondamental de la parabole : « Le champ c’est le monde », y substituèrent de diverses manières ce sens tout différent : le champ c’est l’Église. Alors, en présence de la question empressée des serviteurs : « Veux-tu que nous allions la cueillir » ? Et de la réponse catégorique de Jésus « Non »  ! Ils se résignèrent à ne voir dans l’Église chrétienne que cette confusion perpétuelle de l’ivraie et du froment, des  fils du royaume et des fils du démon, dont le monde offre le spectacle et dont la parabole serait l’image.

Ainsi Calvin, malgré ses principes rigoureux de discipline, assez peu conciliables avec la défense de Jésus s’il s’agit ici de l’Église, se consola de la confusion qui y resta, en écrivant ces mots : « Mais cette solution doit nous suffire que Christ ne parle pas ici dans sa défense de l’office des pasteurs ou des magistrats, mais ôta seulement le scandale qui troubla les infirmes, quand ils virent que l’Église ne consista pas seulement en des élus, mais qu’il y eut aussi des méchantes canailles. »

D’autre part, il y eut toujours, depuis les donatistes d’Afrique jusqu’aux hommes du Réveil, des chrétiens qui  pensèrent pouvoir constituer des Églises triées, soumises à une sévère discipline, estimant que la défense de Jésus ne concernait que l’humanité rebelle et hostile à l’Évangile. Mais ce mot, dans la pensée de Jésus, avait une signification plus étendue et plus universelle, embrassant l’humanité tout entière, dans laquelle la puissance des ténèbres fut en lutte constante avec l’Évangile du salut.

Voici dès lors ce que Jésus prescrivit à ses serviteurs, dans des vues pleines de sagesse et de miséricorde. Il ne leur demanda pas de voir avec indifférence l’erreur, le mensonge, le péché, toutes les corruptions et les iniquités que l’ennemi du royaume de Dieu sema dans le monde ; il leur ordonna au contraire de les combattre avec toute la puissance et l’énergie que donnent les armes spirituelles de la Parole et de l’Esprit de Dieu.

Mais ce qu’il leur interdit d’une manière absolue, ce fut de recourir dans cette lutte aux armes charnelles, d’y faire intervenir le pouvoir séculier, d’employer la contrainte, d’user de moyens matériels de répression et de propagande. La raison de cette interdiction est indiquée par la parabole : « le froment et l’ivraie représentent des hommes «  ; or, arracher celle-ci, la détruire avant le temps, ce serait exercer un jugement qui n’appartient qu’à Dieu.

Ce que Jésus prévoyait fut toujours arrivé : en s’imaginant cueillir l’ivraie, ces serviteurs, désobéissant à son ordre, arrachèrent le froment. Ce furent les esprits les plus nobles, les plus indépendants, les plus pieux qui devinrent leurs victimes. Qui ne voit quelle lugubre série de persécutions, d’iniquités et de crimes eût été épargnée à l’humanité, si tous avaient compris et observé cette seule parole de Jésus  : « Laissez-les croître ensemble jusqu’à la moisson !

Ce mélange, tout affligeant qu’il fut, dut servir au salut des uns, à l’épreuve et à la patience des autres. Mais la confusion ne durera pas toujours : «  il vient, le jour de la moisson, et alors ce que les serviteurs désirèrent sera accompli, non par des hommes faillibles et pécheurs, mais par la main des anges exécutant la justice de Dieu.

Dans la parabole du semeur, la semence est la parole de Dieu, tombant dans le cœur d’hommes diversement disposés. Ici, c’est cette même parole qui a produit des effets contraires selon qu’elle a été reçue ou repoussée ; et ces effets de la parole divine sont identifiés dans un langage plein de hardiesse avec les hommes eux-mêmes qui les éprouvent.

Les uns sont fils du royaume ; ils y ont été introduits et ont été engendrés par la parole, ils sont animés de l’esprit de ce royaume. Les autres sont fils de Satan, de celui qui sème l’ivraie  ; ils sont sous son influence , animés de son esprit. Les serviteurs, qui, dans la parabole, représentent les disciples de Jésus, avaient demandé avec étonnement et douleur :  » D’où vient qu’il y a de l’ivraie ? »

Le problème désolant de toute philosophie et de toute théologie : d’où vient le mal dans ce monde qui est le champ de Dieu, et où il n’a pu semer que le bien ? La réponse de Jésus fut la seule vraie théodicée. Elle écarta d’un mot tous les systèmes qui, d’une façon ou d’une autre, firent remonter le mal jusqu’à Dieu, et qui par là touchent au blasphème.

Le mal ne vient pas non plus de l’homme, il n’est pas essentiel à sa nature : donc il y a pour lui espoir de guérison. Il vient du dehors, d’un ennemi qui est le diable. Cet enseignement de Jésus est conforme à toute l’Écriture, conforme aussi à la saine raison :  » Le péché, qui n’existe que dans une volonté vivante et personnelle, ne peut avoir son origine que dans une volonté personnelle qui en a été la source.  » ( R. Stier).

Jésus fit entendre cette déclaration précise, non dans la parabole, mais pour expliquer la parabole et nous en indiqua le  sens. Rien ne provoqua cette déclaration, donnée spontanément dans le cercle intime des disciples. Le diable fut nommé comme l’auteur personnel d’une action positive, comme source et origine du mal dans le monde, par opposition à un autre être personnel, le fils de l’homme, auteur et origine du bien.

La fournaise du feu  est l’achèvement de l’image de l’ivraie qu’on brûle. Elle n’en représente pas moins une vive souffrance.  Pourquoi Jésus appela son royaume  ce champ du monde, qu’il purifie de toute souillure, le nomme-t-il maintenant le royaume du Père ? L’apôtre Paula  répondit : « C’est qu’alors la fin sera venue, et le Médiateur, après avoir  aboli tout empire, et toute puissance, et toute force aura remis le royaume à Dieu le Père, afin que Dieu soit tout en tous »  » (1Co 15, 24-28).

Tel est le terme glorieux des destinées de notre humanité. Ces destinées sont tout entières expliquées dans cette parabole, depuis l’origine du mal et du bien, et du douloureux mélange de l’un et de l’autre, jusqu’à la journée où ce mystère sera résolu par le rétablissement du royaume de Dieu dans la perfection ! En présence de telles pensées, il y eut une grande solennité dans ce dernier appel de Jésus :  » Que celui qui a des oreilles, entende ! »

Diacre Michel Houyoux

Compléments

Diacre Michel Houyoux : cliquez ici pour lire l’article → L’homme qui jette en terre la semence, qu’il dorme ou qu’il se lève, la semence grandit, il ne sait comment

◊  ◊ Diacre Michel Houyoux : cliquez ici pour lire l’article → Le bon grain et l’ivraie

Liens avec d’autres sites web chrétiens

Abbaye de Sourmont – Belgique) : cliquez ici pour lire l’article → Homélie pour le mardi de la 17ème semaine du Temps

EMI TV : cliquez ici pour lire l’article →   La parabole du semeur

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