Sesta domenica di Pasqua – Anno B

Posté par diaconos le 30 avril 2024

Les paroles de Jésus à Ses disciples après Sa résurrection

# Il Vangelo secondo Giovanni è l’ultimo dei quattro Vangeli canonici del Nuovo Testamento. La tradizione cristiana lo attribuisce a uno dei discepoli di Gesù, l’apostolo Giovanni, figlio di Zebedeo. Secondo Philippe Rolland, i primi Padri della Chiesa sono unanimi nell’affermare che questo Vangelo è l’ultimo dei quattro nel tempo e che è stato scritto da Giovanni.  Tra di loro ci sono Ireneo di Lione, morto nel 210, Clemente di Alessandria, morto nel 211, e Origene, morto nel 245. Per non parlare di Marcione, che morì nel 160 e non è un Padre della Chiesa. Questa ipotesi è oggi respinta dalla maggior parte degli storici, che vedono in questo testo l’opera di una comunità giovannea della fine del I secolo, la cui vicinanza agli eventi è stata oggetto di dibattito.

Questo testo fu scritto in greco, come gli altri tre Vangeli canonici, noti come Sinottici, ma si differenzia da essi per la composizione, lo stile poetico, la teologia e probabilmente le fonti, oltre che per alcuni episodi insoliti, come le nozze di Cana e la donna adultera. Nella dottrina trinitaria, il Vangelo secondo Giovanni è il più importante in termini di cristologia, perché afferma implicitamente la divinità di Gesù, che descrive come Verbo incarnato di Dio.

# Il Vangelo secondo Giovanni è l’ultimo dei quattro Vangeli canonici del Nuovo Testamento. La tradizione cristiana lo attribuisce a uno dei discepoli di Gesù, l’apostolo Giovanni, figlio di Zebedeo. Secondo Philippe Rolland, i primi Padri della Chiesa sono unanimi nell’affermare che questo Vangelo è l’ultimo dei quattro nel tempo e che è stato scritto da Giovanni.
Tra di loro ci sono Ireneo di Lione, morto nel 210, Clemente di Alessandria, morto nel 211, e Origene, morto nel 245.

Per non parlare di Marcione, morto nel 160, che non è un Padre della Chiesa. Questa ipotesi è oggi respinta dalla maggior parte degli storici, che vedono in questo testo l’opera di una comunità giovannea della fine del I secolo, la cui vicinanza agli eventi è discussa. Questo testo fu scritto in greco, come gli altri tre Vangeli canonici, noti come Sinottici, ma si differenzia da essi per la composizione, lo stile poetico, la teologia e probabilmente le fonti, oltre che per alcuni episodi singolari, come le nozze di Cana e la donna adultera.

Nella dottrina trinitaria, il Vangelo secondo Giovanni è il più importante in termini di cristologia, perché afferma implicitamente la divinità di Gesù, che descrive come Verbo incarnato di Dio. # Il Sacro Cuore è una devozione al cuore di Gesù Cristo, come simbolo dell’amore divino con cui Dio ha assunto la natura umana e ha dato la vita per gli uomini. Questa devozione è particolarmente diffusa nella Chiesa cattolica, ma anche nella Chiesa anglicana e in alcune chiese luterane.

Sottolinea i concetti di amore e di adorazione di Cristo. La Solennità del Sacro Cuore fu istituita da Papa Clemente XIII nel 1765 ed estesa a tutta la Chiesa cattolica da Papa Pio IX nel 1856. La diffusione di questa devozione nella Chiesa cattolica, a partire dal XVII secolo, si deve alle rivelazioni di una suora di Paray-le-Monial, Marguerite-Marie Alacoque, che affermò di averla ricevuta da Cristo stesso durante varie apparizioni tra il 1673 e il 16752.

In seguito, a partire dal XIX secolo, essa derivò dalle rivelazioni di un’altra suora cattolica, la Madre Superiora del convento della Congregazione del Buon Pastore di Oporto, Maria del Divin Cuore Droste zu Vischering, che chiese a Papa Leone XIII di consacrare il mondo intero al Sacro Cuore di Gesù. Pio XI disse : « Lo spirito di espiazione o di riparazione ha sempre avuto il primo e principale ruolo nel culto del Sacro Cuore di Gesù ».

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli : « Come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. » Vi ho detto questo perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia completa. Il mio comandamento è questo : « Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato »

Non c’è amore più grande che dare la vita per coloro che amiamo. Voi siete miei amici se fate ciò che vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il padrone; vi chiamo amici, perché tutto quello che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga. Perciò qualsiasi cosa chiederete al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri. (Gv 15, 9-17)

Come io ho amato voi

È l’amore di Gesù che vive nel cuore dei suoi discepoli la fonte del loro amore reciproco. Egli insisteva su questo comandamento, la cui osservanza era l’anima della vita cristiana : « Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amato, anche voi dovete amarvi gli uni gli altri ». (Gv 13,34) La misura dell’amore che dovevano avere gli uni per gli altri era in quella parola : come io ho amato voi. E Gesù spiegò come li amava. Dare la vita per i propri amici è la più grande prova d’amore che si possa dare loro.

Ecco perché contemplare Gesù che muore sulla croce sarà sempre il modo migliore per comprendere la grandezza del suo amore. Queste parole di Gesù rimasero profondamente impresse nel cuore di Giovanni, che le ripeté anche in seguito. Secondo l’apostolo Paolo, Gesù dimostrò un amore ancora più grande quando volle morire non solo per i suoi amici, ma anche per i peccatori. Gesù aveva appena detto che avrebbe dato la vita per i suoi amici.

Poi, rivolgendosi amorevolmente ai suoi discepoli, aggiunse : « Voi siete miei amici !« . Questo per dire loro allo stesso tempo : « Lo proverete, da parte vostra, con l’obbedienza dell’amore ». Gesù fece loro apprezzare molto questa bella parola « amico » che aveva dato loro. E ne spiegò il significato profondo. Disse loro : « Non vi chiamo più servi, perché il servo rimane estraneo ai pensieri e ai progetti del suo padrone, ma vi ho dimostrato che siete miei amici, perché vi ho fatto conoscere tutti i progetti di misericordia e di amore che il Padre mio mi ha affidato per realizzare la salvezza del mondo ».

Questo è ciò che Gesù ha espresso in questi termini familiari : « Tutte le cose che ho udito dal Padre mio ». Con tutto il loro amore per Gesù, non potevano mai dimenticare che egli era il Signore, e quanto più li elevava a lui, tanto più sentivano il bisogno di umiliarsi alla sua presenza. Tutto questo », ha aggiunto Gesù, « l’ho fatto perché andiate liberamente, con gioia, al vostro lavoro e portiate frutto, un frutto permanente per la vita eterna ». Queste cose, queste parole e queste istruzioni di Gesù, in cui tutto era amore da parte sua, egli le ha elargite ai suoi, affinché essi si amassero a loro volta.

Così gli apostoli hanno compreso l’immensa importanza di questo amore reciproco, che è l’anima della Chiesa nella sua comunione con Gesù. 

Il diacono Michel Houyoux


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Cinquième dimanche de Pâques – Année Paire

Posté par diaconos le 21 avril 2024

Jésus a dit : "je suis la vraie vigne et vous les sarments" - KT42 ...

Le Vrai cep est une parabole donnée par Jésus-Christ. Elle est citée dans l’Évangile selon saint Jean. Elle parle de l’importance pour le croyant de rester attacher au vrai cep qui symbolise le Christ, cela pour porter du fruit en abondance. Les fruits, étant à l’image de la relation entre le sarment et le plant principal par la sève qui circule entre les deux, peuvent faire référence à beaucoup d’autres passages bibliques comme celui des fruits de l’Esprit en Galate 5 verset 22.

Pour saint Augustin, les sarments sont dans la vigne afin de recevoir d’elle leur principe de vie. Les humains doivent rester attacher aux vertus données, à la parole transmise par le Christ afin de donner des fruits sains. Benoît XVI dans un commentaire, aborde le sujet de la liberté et des préceptes divins. Mélanger les deux n’est pas incompatible. Il faut écouter Dieu et il nous donnera la force pour créer et marcher dans notre chemin. La récolte spirituelle sera alors abondante.

De l’Évangile de Jésus Christ selon Jean

En ce temps-là, Jésus disait à ses disciples : «et mon Père est le vigneron. Tout sarment qui est en moi, mais qui ne porte pas de fruit, mon Père l’enlève ; tout sarment qui porte du fruit, il le purifie en le taillant, pour qu’il en porte davantage. Mais vous, déjà vous voici purifiés grâce à la parole que je vous ai dite.Demeurez en moi, comme moi en vous. De même que le sarment ne peut pas porter de fruit par lui-même s’il ne demeure pas sur la vigne, de même vous non plus, si vous ne demeurez pas en moi. et vous, les sarments.

Celui qui demeure en moi et en qui je demeure, celui-là porte beaucoup de fruit, car, en dehors de moi, vous ne pouvez rien faire. Si quelqu’un ne demeure pas en moi, il est, comme le sarment, jeté dehors, et il se dessèche. Les sarments secs, on les ramasse, on les jette au feu, et ils brûlent. Si vous demeurez en moi, et que mes paroles demeurent en vous, demandez tout ce que vous voulez, et cela se réalisera pour vous. Ce qui fait la gloire de mon Père, c’est que vous portiez beaucoup de fruit et que vous soyez pour moi des disciples. » (Jn 15, 4-8)

Le cep et les sarments

Les interprètes se demandèrent quelle circonstance extérieure put amener Jésus à se présenter à ses disciples sous l’image d’un cep de vigne. les uns pensèrent que ce fut la vue de la coupe avec laquelle il institua la cène, en prononçant cette parole : «Je ne boirai plus de ce produit de la vigne» ; d’autres qu’une treille ornait les parois extérieures de la chambre haute et que ses rejetons entraient par les fenêtres.

Les exégètes qui admirent que ce discours fut prononcé en plein air, sur les pentes du Cédron , se représentèrent Jésus passant le long d’une vigne. Mais puisque Jean garda le silence sur ce détail, nous ajouterons, avec R. Strier, qu’il y eut quelque chose de mesquin à penser que Jésus dut avoir sous les yeux l’objet matériel dont il fit une image.

Ce qui est digne de toute notre attention, c’est l’admirable parabole par laquelle il figura son union avec les siens, cette union dont il leur parla, cette union qui fut aussi vivante, aussi intime, aussi organique que celle des sarments avec le cep dont ils tirèrent la sève, la vie, la fertilité. Il est le vrai cep, le véritable, celui qui, dans la sphère spirituelle et morale, et dans ses rapports avec les âmes, réalise pleinement l’idée du cep dans la nature.

Le cep de vigne est une plante sans apparence et sans beauté, mais elle est vivace et produit des fruits exquis un vin généreux. Une telle plante donne lieu à une comparaison pleine de vérité de richesse et de beauté. «Mon Père est le vigneron», ajouta Jésus. C’est Dieu qui planta ce cep au sein de notre humanité, en envoyant son Fils au monde, et qui, par l’effusion de l’Esprit, provoqua sa croissance ; c’est Dieu qui amena les âmes à la communion avec Jésus.

Il y a, dans les ceps de vigne, des rejetons sauvages qui ne portent jamais de fruit ; le vigneron les retranche, afin qu’ils n’absorbent pas inutilement la sève. Un homme peut, de diverses manières, appartenir extérieurement à Jésus-Christ en se rattachant à son Église, en professant la foi chrétienne sans avoir part à la vie sanctifiante du Christ. Tôt ou tard, il se verra retranché, exclu de cette communion apparente avec Jésus.

Les vrais sarments portent du fruit. Ceux-ci, Dieu les nettoie, les émonde , les purifie et  les émonde. Jésus eut dit que ces sarments fertiles durent être débarrassés de tout jet inutile, et même d’une partie de leur feuillage qui empêcherait le fruit de mûrir. C’est Dieu encore qui poursuit, dans ses enfants, cette œuvre de purification et de sanctification continue, il l’accomplit par sa Parole, par son Esprit, par tous les moyens de sa grâce.

Si cela ne suffit pas, le céleste cultivateur emploie l’instrument tranchant et douloureux des épreuves, de la souffrance et des renoncements qu’il impose à ses enfants. Car ce qu’il veut à tout prix, c’est qu’ils portent plus de fruit.Jésus, se tournant vers ses disciples, les rassura au sujet de ce mot sévère : il  nettoie tout sarment qui porte du fruit.Déjà ils furent nets, purs : au moyen de la parole divine que Jésus leur annonça, un principe impérissable de vie nouvelle fut déposé dans leur cœur, et s’y développa peu à peu jusqu’à la perfection.

Jésus invita ses disciples à renoncer constamment à tout mérite propre, à toute sagesse propre, à toute volonté et à toute force propres, ce qui fut, pour eux, la condition d’une communion vivante avec lui. «Si vous le faites, je demeurerai en vous, comme la source intarissable de votre vie spirituelle. Sinon, vous vous condamneriez à la stérilité du sarment séparé du cep

Afin de rendre plus frappante encore la conséquence négative qui précède, Jésus déclara solennellement que ce fut lui qui fut le cep et que ses disciples furent les sarments ; pour conclure qu’en lui, ils porteront beaucoup de fruit, mais que, hors de lui, ils n’en porteraient aucun, pas plus que le sarment séparé du cep. Mais ce fruit, qui le porte ?

Celui-là seul qui demeure en moi, dit Jésus ; d’où il résulte que c’est l’Esprit de Christ, qui, comme la sève du cep dans le sarment, nous fait seul porter du fruit; c’est ce que confirme le fait d’expérience que nous hors de Christ, comme le sarment détaché du cep, ne pouvons rien produire, rien de véritablement bon, rien qui supporte le regard du Dieu saint et qui lui soit agréable.

Le thème ici formulé n’est pas celui de l’impuissance morale de l’homme naturel pour tout bien ; c’est celui de l’infécondité du croyant laissé à sa force propre, quand il s’agit de produire ou d’avancer la vie spirituelle, la vie de Dieu, en lui ou chez les autres.

Non seulement celui qui ne demeure pa  en Jésus, dans une communion vivante avec lui, ne peut rien faire, mais il va au-devant d’une succession de jugements terribles. Le sarment séparé du cep est d’abord jeté dehors, hors de la vigne qui représente le royaume de Dieu, et il sèche nécessairement, puisqu’il ne reçoit plus la sève du cep. Qu’on pense à Judas, par exemple dont Jésus annonça la ruine.

Ce jugement, moralement accompli dès maintenant, aura au dernier jour son issue tragique que décrivirent les paroles : «On ramasse ces sarments, et on les jette au feu et ils brûlent» Dans la parabole, ce sont les serviteurs du vigneron ; dans la réalité, ce sont les anges de Dieu.

Après avoir prononcé ces redoutables paroles, Jésus revint avec tendresse à ses disciples qui demeurèrent en lui, et il leur promit les grâces les plus précieuses : toutes leurs prières furent exaucées et ils eurent le bonheur de glorifier Dieu par des fruits abondants. La communion des disciples avec Jésus est ici exprimée par ces deux termes : «Si vous demeurez en moi et que mes paroles demeurent en vous» Les paroles de Jésus, qui sont esprit et vie, et qu’ils gardent dans leur cœur, sont le lien vivant de communion avec lui.

Inspirés par elles, ils sont à la source de toutes les grâces divines, et leurs prières, qui ne seront plus que les paroles de Jésus transformées en requêtes, obtiendront toujours un exaucement certain. Dieu, dans ses perfections, sa puissance, sa sainteté, son amour, se glorifie en reproduisant, dans le moindre de ses enfants, ces divers traits de sa ressemblance, plus que par toute la magnificence des œuvres de la création. Portez beaucoup de fruit à la gloire de Dieu, ce sera la preuve certaine que vous êtes mes disciples et le moyen de le devenir toujours de nouveau.

Diacre Michel Houyoux

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Samedi de la cinquième semaine du Carême – Année paire

Posté par diaconos le 22 mars 2024

#Le Christ #Le Seigneur #autorité #Jésus Christ #Dieu Jésus dit: Faites ...

# Lazare fut un personnage de l’entourage de Jésus, apparaissant dans le Nouveau Testament, et ainsi devenu protagoniste de légendes orientales et occidentales du début de l’ère chrétienne. Il est essentiellement connu par un récit de l’Évangile selon Jean (chapitre 11) selon lequel Lazare, mort depuis quatre jours et mis dans un sépulcre, serait sorti vivant de la tombe sur l’ordre de Jésus. Pour Ernest Renan, cet épisode illustre le fait que Jésus subissait les miracles que l’opinion exigeait de lui bien plus qu’il ne les faisait .

Selon ce même auteur, le miracle fut d’ordinaire l’œuvre du public bien plus que de celui de Jésus. Dans son Histoire critique de Jésus-Christ, d’Holbach, philosophe des Lumières, souligna l’absence de témoins de la mort de Lazare. Cette résurrection fit écho à celle du Christ et au Ciel promis une fois le dernier moment venu. C’est en l’incluant dans son homélie 26, chapitre 6, sur la résurrection de Jésus et sur l’apôtre Thomas que le docteur de l’Église Grégoire le Grand aborda le retour de Lazare. Au Moyen Âge on en fit le patron des lépreux (à l’origine du lazaret), le confondant avec le personnage de la parabole rapportée par Luc.

De l’Évangile de Jésus Christ selon Jean

En ce temps-là, quand Lazare fut sorti du tombeau, beaucoup de Juifs, qui étaient venus auprès de Marie et avaient donc vu ce que Jésus avait fait, crurent en lui. Mais quelques-uns allèrent trouver les pharisiens pour leur raconter ce qu’il avait fait. Les grands prêtres et les pharisiens réunirent donc le Conseil suprême ; ils disaient : «Qu’allons-nous faire ? Cet homme accomplit un grand nombre de signes. Si nous le laissons faire, tout le monde va croire en lui, et les Romains viendront détruire notre Lieu saint et notre nation.»

Alors, l’un d’entre eux, Caïphe, qui était grand prêtre cette année-là, leur dit : «Vous n’y comprenez rien vous ne voyez pas quel est votre intérêt : il vaut mieux qu’un seul homme meure pour le peuple, et que l’ensemble de la nation ne périsse pas.» Ce qu’il disait là ne venait pas de lui-même ; mais, étant grand prêtre cette année-là, il prophétisa que Jésus allait mourir pour la nation ; et ce n’était pas seulement pour la nation, c’était afin de rassembler dans l’unité les enfants de Dieu dispersés.

À partir de ce jour-là, ils décidèrent de le tuer. C’est pourquoi Jésus ne se déplaçait plus ouvertement parmi les Juifs ; il partit pour la région proche du désert, dans la ville d’Éphraïm où il séjourna avec ses disciples. Or, la Pâque juive était proche, et beaucoup montèrent de la campagne à Jérusalem pour se purifier avant la Pâque. Ils cherchaient Jésus et, dans le Temple, ils se disaient entre eux : «Qu’en pensez-vous ? Il ne viendra sûrement pas à la fête !» Les grands prêtres et les pharisiens avaient donné des ordres : quiconque saurait où il était devait le dénoncer, pour qu’on puisse l’arrêter. (Jn 11, 45-57)

Conséquences de la résurrection de Lazare

À a suite de ce triomphe de la vie sur la mort dont ils furent témoins, un grand nombre de personnes crurent en Jésus. Il y eut des degrés très divers dans cette foi opérée par la vue du miracle. il fut possible que plusieurs fussent d’avance préparés à la foi en Jésus. Chez d’autres, cette foi ne fut peut-être que l’impression vive, mais passagère, du miracle. D’autres, enfin, ne reçurent pas même cette impression. Au grand nombre de ceux qui crurent, Jean en opposa quelques-uns qui, témoins de la puissance divine et de l’amour de Jésus, allèrent vers les pharisiens et leur dirent ce que Jésus fit. Dans quelle intention ?

Les termes mêmes qu’employa Jean et la suite du récit ne le prouvèrent que trop. Ils allèrent dénoncer à ces pharisiens, ennemis de Jésus et qui exercèrent la plus grande influence sur le sanhédrin, ce qui se passa à Béthanie. Ces mêmes pharisiens, avec les principaux sacrificateurs convoquèrent une séance du sanhédrin, pour délibérer sur l’événement qu’on leur dénonça et qui fut de nature à grandir démesurément l’influence redoutée de Jésus sur le peuple. Ce qui les remplit d’inquiétude ce fut que cet homme  fit beaucoup de miracles.

Ce ne fut pas seulement la résurrection de Lazare qui les troubla, celle-ci ne fit que mettre le comble à ces manifestations de la puissance divine qui agissait par Jésus et que les chefs du peuple ne purent tolérer. Ils crurent ces miracles, ils les constatèrent officiellement, et ils voulurent condamner celui qui les opéra ! Cette crainte des Romains fut-elle sincère ? Plusieurs interprètes le pensèrent avec les idées charnelles que les Juifs se faisaient du Messie, ils pouvaient redouter que Jésus ne suscitât parmi le peuple quelque émeute, qui aurait provoqué une répression sévère de la part des Romains et amené peut-être la suppression du pouvoir du sanhédrin.

Que cette crainte fût sincère ou simulée leur principal mobile fut l’ambition égoïste : ils craignirent que les Romains ne mirent un terme à leur domination sur ce qu’ils appelèrent notre lieu, notre nation. Caïphe, en vrai sadducéen (Josèphe, Bell. Jud. 2, 8, 14), parla avec rudesse : «Vous n’y entendez rien» ; puis, invoquant la raison d’État, au nom de laquelle tant d’iniquités furent commises, il leur dit : «Vous ne considérez pas qu’il vous est avantageux de sacrifier un seul homme pour sauver la nation.» Innocent ou coupable, il fallut que cet homme périsse !

Les exégètes ne furent pas d’accord sur la nature de cette prophétie attribuée au souverain sacrificateur. Les uns, se rappelant que, dans les beaux jours de la vie religieuse en Israël, le souverain sacrificateur fut censé posséder le don de prophétiser, ou de prononcer des oracles en consultant l’Éternel, pensèrent qu’en ce moment l’Esprit de Dieu renouvela en Caïphe ce don depuis longtemps disparu et lui fit prononcer, en vertu de sa charge, une véritable prophétie.

Ce fut bien Caïphe lui-même qui, de son propre mouvement, prononça un principe de sa détestable politique, mais, par une direction spéciale de la providence divine, il le fit en des termes dans lesquels Jean put, à bon droit, voir une prophétie involontaire de la mort du Fils de Dieu. Pilate aussi proclama la royauté divine de Jésus-Christ aux yeux de tous, en attachant à la croix le titre de cette dignité. Caïphe prophétisa, en vertu de sa charge, comme souverain sacrificateur de cette année-là.

Ce ne fut pas seulement pour la nation juive que Jésus devait mourir, mais afin de rassembler en un seul corps, par la prédication de l’évangile, les enfants de Dieu dispersés parmi toutes les nations : «J’ai encore d’autres brebis, qui ne sont pas de cet enclos : celles-là aussi, il faut que je les conduise. Elles écouteront ma voix : il y aura un seul troupeau et un seul pasteur.» (Jn 10, 16) Dans quel sens Jean appela-il enfants de Dieu ces milliers d’hommes de l’avenir qui n’avaient encore aucune connaissance de Jésus ? Des interprètes, jaloux d’attribuer à l’homme le plus possible et à Dieu le moins possible dans l’œuvre du salut, répondirent que ces enfants de Dieu étaient ceux que Dieu voyait disposés à le devenir.

Ce fut là le mystère de la miséricorde divine, s’étendant à toutes les nations et dont Paul fut le grand prédicateur 00: «Le mystère caché de tout temps et dans tous les âges, mais révélé maintenant à ses saints, à qui Dieu a voulu faire connaître quelle est la glorieuse richesse de ce mystère parmi les païens, savoir: Christ en vous, l’espérance de la gloire.» (1 Co, 26-27). Jésus n’ignora pas la décision qui fut prise ; il quitta les environs de Jérusalem et la Judée, il ne parut plus , il ne marcha plus ouvertement, en public, librement, parmi les Juifs, il se retira dans la contrée voisine du désert de Juda qui s’étendait au loin dans la direction du Jourdain et de la mer Morte. Il  séjourna avec ses disciples dans une ville appelée Éphraïm.

Cette ville selon Eusèbe, était à huit milles, selon Jérôme à vingt milles au nord-est de Jérusalem. L’historien Josèphe la plaça dans le voisinage de Béthel : «Or Abija poursuivit Jéroboam, et lui prit ces villes : Béthel et les villes de son ressort, Jeshana et les villes de son ressort, Éphron et les villes de son ressort. » (2 Cr 13, 19). Le mot : contrée ne désigne pas spécialement le pays où Jésus s’était retiré, mais en général les campagnes, par opposition à la capitale. Ces gens se rendaient à Jérusalem avant la Pâque, afin que ceux qui étaient atteints de quelque souillure légale eussent le temps de se purifier par des sacrifices et diverses cérémonies, pour pouvoir prendre part à la fête.

Jean décrivit ainsi un mouvement de curiosité chez les uns, de sérieuse attente chez les autres. Leur attente fut excitée par le bruit que fit le dernier miracle de Jésus. La décision prise par le sanhédrin contre lui rendit très douteuse, à leurs yeux, sa venue à la fête. Ils se demandèrent les uns aux autres, avec un vif intérêt : «Que vous en semble ? qu’il ne viendra pas à la fête ? »Ils se posèrent ces questions, se tenant là dans le temple où ils savaient que Jésus avait l’habitude de se rendre pour parler au peuple.

Diacre Michel Houyoux

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Second Sunday in Lent -Even year

Posté par diaconos le 21 février 2024

 Mark 9:2-9 — Catching a Glimpse of the Glory of God in Jesus on the ...

 # The Transfiguration is an episode in the life of Jesus Christ recounted in the New Testament. It involves a change in Jesus’ bodily appearance for a few moments during his earthly life, in order to reveal his divine nature to three disciples. This physical state, considered miraculous, is reported in the three synoptic Gospels : (Mt 17 , 1-9, Mk 9, 2-9, Lk 9, 28-36). According to Christianity, it is a prefiguration of the bodily state announced to believers for their own resurrection. The traditional site of the Transfiguration is Mount Tabor, near Lake  #.

Some exegetes place the event on Mount Hermon, since the Gospel episodes that frame it are set in this region. For the Maronites, the Transfiguration took place in the region of Bcharré, on Mount Lebanon. For the Catholic Church, the immediate purpose of the Transfiguration was to prepare the hearts of the disciples to overcome the scandal of the cross. The transfiguration is also an announcement of the « marvellous adoption » that will make all believers sons of God. The Orthodox Church also celebrates the Transfiguration. In the Church of Ethiopia, the feast is called Buhe.

 # The place of the Transfiguration is Mount Tabor, near Lake Tiberias. It was chosen in Byzantine times because of its proximity to Nazareth and Lake Tiberias. Some exegetes place the event on Mount Hermon, since the Gospel episodes that frame it are set in this region.  For the Maronites, the Transfiguration took place in the region of Bcharré, on Mount Lebanon. The mountain of the Transfiguration refers to Mount Horeb and Mount Sinai, two symbolic places in the Old Testament, due to the presence of Moses and Elijah alongside Christ, whose missions are linked to them.

The cloud from which the Father’s voice comes echoes the cloud that enveloped the Hebrews during the Exodus and their crossing of the desert. According to some observers, Saint Peter’s proposal to erect three tents also refers to the tent of meeting in the Old Testament. This transfiguration is also an announcement of the « marvellous adoption » that will make all believers sons of God. His Transfiguration is not an anticipation of the Resurrection – in which his body will be transformed to God – but rather the presence of the Triune God and the whole of salvation history in his predestined body on the cross. »

From the Gospel of Jesus Christ according to Mark

At that time Jesus took Peter, James and John with him and led them up a high mountain by themselves. And he was transfigured before them. His clothes became radiant, of such whiteness that no one on earth can obtain such whiteness. Elijah appeared to them with Moses, and they both spoke with Jesus. Then Peter spoke up and said to Jesus: « Rabbi, it is good that we are here ! Let’s put up three tents: one for you, one for Moses and one for Elijah. In fact, Peter did not know what to say, so great was their fear. A cloud came and overshadowed them, and from the cloud a voice said, « This is my beloved Son; listen to him ! Suddenly, looking round, they saw nothing but Jesus aloïne with them.

Whom they had seen before the Son of Man had risen from the dead. And they held fast to this word, wondering among themselves what was meant by « rising from the dead ». When someone smiles at us, their face changes. It’s wonderful to see ! How can we not love making others smile ? A sense of complicity is created, a free and true communion that gives us a glimpse of happiness. Jesus was transfigured and the followers, Peter, James and John saw Jesus : his inner light, his infinite love, never ceased to flow from his heart.

His body was radiant with it. Jesus, on the mountain, was not illuminated from the outside by a light; it was he, in his body, who was Light. What was this light? It was the very mystery of Jesu Elijah and Moses appeared in the light. Were they there to confirm to the apostles the person and work of Jesus? The extraordinary light of Christ and the presence of the greatest figures in the history of Israel gave the disciples prodigious joy. We can understand Peter’s exclamation : « Rabbi, it is good that we are here ». They wanted to build three tents, and were overjoyed to see God’s plan come to fruition. (Mk 9, 5)

The transfiguration of the Lord is part of the Good News. When love reigns, it transfigures people. Love drawn from God blooms and stimulates. On the other hand, without love or overrun by passion, people quickly become dominated by jealousy, greed and chronic dissatisfaction. Passion hardens, blinds and blurs the gaze. A gaze that becomes hurtful and humiliating, a gaze that destroys ! Marc noted : « That he did not know what to say, so great was their fright ». Happiness or fear ? Faced with the mystery of God, there are these two feelings. The joy of understanding, the joy of discovering, the joy of receiving what lies at the heart of the mystery of God. But fear remains. Peter didn’t understand much about this extraordinary moment; he was a witness who wasn’t making anything up.

He later wrote : « These are not made-up fables. we saw him in all his glory when we saw him on the holy mountain, we ourselves heard this voice from heaven when we were with him on the holy mountain : This is my beloved son, in whom I am well pleased ». This is the heart of Jesus’ personality, this is the reason for the irradiation of all of himself, the source of life in his being : Jesus is loved by his Father, he is his Son, his beloved. The Transfiguration ended with a recommendation : say nothing before the Resurrection.

In this way, Jesus announced that the love that unites him to his Father will only be truly heard and understood when the cross has been seen. Then everyone will be able to hear, listen to and receive the eternal mystery of God’s love for all mankind. Note We know almost nothing about the life of the apostle Peter from the time of the Council of Jerusalem in 49 AD (see Acts of the Apostles, chapter 15) until the time when he wrote this letter from Rome, around 64 AD, shortly before his death.

Deacon Michel Houyoux

Links to other Christian websites

◊ Father Hanly : click here to read the paper → Homily for 2nd Sunday of Lent, Year B

 ◊ Association of Catholics Priest : click here to read the paper → 2nd Sunday, Year B

◊ Young Catholics : click here to read the paper → 2nd Sunday of Lent Year B

Video  Transfiguration of Jesus : click here to watch the video → https://youtu.be/J-LMAP1P7D0

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