Il Santissimo Sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo – Anno C

Posté par diaconos le 26 juin 2025

La moltiplicazione dei pani e dei pesci indica due miracoli di Gesù descritti nei Vangeli. Il primo miracolo, nel quale Gesù sfamò cinquemila uomini con 5 pani e 2 pesci, è riportato da tutti e quattro gli evangelisti (Matteo 14,13-21[1], Marco 6,30-44[2], Luca 9, 12-17[3], Giovanni 6, 1-14[4]). Si tratta dell'unico miracolo di Gesù, a parte la resurrezione, ad essere presente in tutti e quattro i Vangeli. Il secondo miracolo, nel quale Gesù sfamò quattromila uomini con sette pani e "pochi pesciolini", è riportato da Matteo 15,32-39[5] e Marco 8,1-10[6], ma non da Luca e Giovanni.

La moltiplicazione dei pani e dei pesci indica due miracoli di Gesù descritti nei Vangeli.
Il primo miracolo, nel quale Gesù sfamò cinquemila uomini con 5 pani e 2 pesci, è riportato da tutti e quattro gli evangelisti (Matteo 14,13-21[1], Marco 6,30-44[2], Luca 9, 12-17[3], Giovanni 6, 1-14[4]). Si tratta dell’unico miracolo di Gesù, a parte la resurrezione, ad essere presente in tutti e quattro i Vangeli.
Il secondo miracolo, nel quale Gesù sfamò quattromila uomini con sette pani e « pochi pesciolini », è riportato da Matteo 15,32-39[5] e Marco 8,1-10[6], ma non da Luca e Giovanni.

La moltiplicazione dei pani è uno dei miracoli compiuti da Gesù. Il racconto di questo episodio miracoloso si trova nel Nuovo Testamento, nei quattro evangelisti. Con soli 5 pani e 2 pesci, Gesù riuscì a sfamare oltre 5.000 persone. In questa scena di banchetto in riva al lago, Gesù distribuisce i pani e i pesci agli invitati, dando loro quanto desiderano. Dopo che hanno mangiato a sazietà, chiede ai suoi discepoli di raccogliere i pezzi rimasti, in modo che nulla vada perduto.

La moltiplicazione dei pani è uno dei miracoli compiuti da Gesù. Il racconto di questo episodio miracoloso si trova nel Nuovo Testamento, nei quattro evangelisti. Con soli 5 pani e 2 pesci, Gesù riuscì a sfamare oltre 5.000 persone. In questa scena di banchetto in riva al lago, Gesù distribuisce i pani e i pesci agli invitati, dando loro quanto desiderano. Dopo che hanno mangiato a sazietà, chiede ai suoi discepoli di raccogliere i pezzi rimasti, in modo che nulla vada perduto.

Alcuni esegeti ritengono che si tratti dello stesso evento raccontato due volte. Tuttavia, i due miracoli non avvengono nello stesso luogo : in un caso i sono cinquemila uomini, nell’altro quattromila. Anche il numero di ceste di pane in più è diverso. Gesù si riferisce in seguito ai due “miracoli”, distinguendoli chiaramente (Mt 16, 9-11)   Per Giovanni Crisostomo, dottore della Chiesa, Gesù, in questo miracolo, è davvero il creatore del cielo e della terra.

Con questo gesto ci incoraggia anche a pregare prima di ogni pasto e vuole mostrare l’importanza della condivisione. I teologi più moderni direbbero che la moltiplicazione dei pani è il simbolo della Parola data da Cristo, una parola che ha nutrito le persone per secoli. Per Sant’Efrem, durante questo miracolo Gesù ha dato generosamente senza contare il costo. Diede così tanto che rimasero dodici ceste, questa moltiplicazione è l’inizio dell’Eucaristia, che continua ancora oggi.

Secondo alcune interpretazioni teologiche, essa prefigurava l’Ultima Cena, l’ultimo pasto di Gesù con i suoi discepoli, istituendo il rito dell’Eucaristia in cui il pane si dice incarni il corpo di Gesù, dato in sacrificio sulla croce per salvare l’umanità. Per gli storici, gli eventi evocati dagli evangelisti con queste due relazioni rimangono enigmatici, anche se sono state avanzate alcune ipotesi.

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca

In quel tempo, Gesù parlava alle folle del regno di Dio e guariva coloro che ne avevano bisogno. Si stava facendo buio. Allora i Dodici vennero da lui e gli dissero : “Manda via questa folla, perché vada nei villaggi e nelle campagne vicine e trovi alloggio e cibo ; questo è un luogo deserto”.  Ma egli disse loro : “Date loro voi stessi qualcosa da mangiare”.

Risposero : « Non abbiamo più di cinque pani e due pesci. A meno che non andiamo noi stessi a comprare cibo per tutto il popolo ».   C’erano circa cinquemila uomini.  Gesù disse ai suoi discepoli : “Fateli sedere a gruppi di circa cinquanta”. Fecero come aveva chiesto e fecero sedere tutti. Gesù prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, pronunciò una benedizione su di essi, li spezzò e li diede ai suoi discepoli perché li distribuissero alla folla.

Mangiarono e furono tutti saziati; poi raccolsero i pezzi che erano avanzati, facendone dodici ceste. (Lc 9, 11b-17)

La moltiplicazione dei pani

Il giorno era già avanzato. Questa preoccupazione per il popolo sembra essere stata ispirata nei discepoli dalla compassione di Gesù. Secondo l’apostolo Giovanni, fu Gesù stesso a prendere l’iniziativa e le parole dei discepoli furono semplicemente una risposta alla sua domanda.  Questa conversazione dimostrò che c’era un bisogno reale, degno della compassione di Gesù, e che egli non fece un uso inutile del suo potere creativo moltiplicando i pani, come sostenevano i critici negativi. Questo strano ordine, volto a mettere alla prova la fede dei discepoli, fu effettivamente eseguito.

Degna della compassione di Gesù, e che non fece un uso inutile del suo potere creativo moltiplicando i pani, come sostenevano i critici negativi. Questo strano comando, inteso a mettere alla prova la fede dei discepoli, fu effettivamente eseguito. Con quale maestosa sicurezza Gesù sapeva cosa fare con questa provvista insufficiente! Benedisse e pronunciò la benedizione che il padre di famiglia pronunciava prima del pasto. Luca fa mettere la benedizione sui pani, che sarebbero stati consacrati da essa, e dice : “rese grazie”.

Quindi Gesù si sentiva grato a Dio per ciò che aveva dato, Così Gesù si sentì grato a Dio per ciò che aveva dato, e progettò di implorare la benedizione di Dio sui suoi pochi beni per moltiplicarli. Che esempio e che consolazione per il povero che non aveva abbastanza cibo ! I discepoli fecero come era stato detto loro; diedero ciò che avevano ricevuto, e fu nelle loro mani che avvenne il miracolo.

Se Gesù avesse moltiplicato i pani in anticipo, in modo da mettere davanti ai loro occhi una scorta immensa, si sarebbe adattato meglio alla loro mancanza di fede, ma Dio non procede mai in questo modo nella dispensazione delle sue grazie. Egli esercita la fede e l’obbedienza, mentre dà in abbondanza. Fu Gesù a ordinare ai discepoli di raccogliere queste eccedenze, perché nulla andasse perduto ». Questi cesti erano piccole borse da viaggio fatte di giunco o di paglia. Ogni discepolo ne aveva uno e lo riempiva.

Il diacono Michel Houyoux

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Mercredi de la douzième semaine du Temps Ordinaire – Année Impaire

Posté par diaconos le 25 juin 2025

Méfiez-vous des faux prophètes qui viennent à vous déguisés en brebis, mais au-dedans ce sont des loups voraces. C’est à leurs fruits que vous les reconnaîtrez. Matthieu 7,15-20 La dernière partie du grand sermon sur la montagne contient quelques avertissements, notamment sur les mauvais bergers

Méfiez-vous des faux prophètes qui viennent à vous déguisés en brebis, mais au-dedans ce sont des loups voraces. C’est à leurs fruits que vous les reconnaîtrez. Matthieu 7,15-20 La dernière partie du grand sermon sur la montagne contient quelques avertissements, notamment sur les mauvais bergers

# Dans la théologie chrétienne, on parle de communion mystique pour décrire le lien existentiel personnel étroit, la communion qui unit le chrétien à Jésus-Christ et par laquelle il partage les bienfaits salvateurs de sa vie, de sa mort et de sa résurrection. Cette communion est dite mystique parce qu’elle s’accomplit de manière mystérieuse et surnaturelle. Au sein du christianisme, il existe différentes approches du thème de la communion mystique.

Dans le catholicisme romain, l’anglicanisme et le luthéranisme, cette union est établie par le baptême et nourrie par les sacrements, qui sont considérés comme les moyens privilégiés par lesquels la grâce est communiquée. Le mysticisme met tellement l’accent sur l’identification du Christ avec le chrétien qu’il prétend qu’une sorte de fusion complète a lieu, bien qu’ils restent des personnes distinctes. Le rationalisme religieux imagine Dieu comme une réalité immanente au monde et à l’esprit humain.

Le Christ est immanent à la nature et à l’esprit humains. Par conséquent, le salut est pensé de manière universelle, indépendamment de la foi consciente de l’homme en Christ. C’est pourquoi il cite souvent le texte biblique : « De même qu’en Adam tous meurent, de même en Christ tous seront rendus vivants » (1 Co 15, 22). Le Vrai cep est une parabole donnée par Jésus-Christ. Elle est citée dans l’Évangile selon saint Jean. Elle parle de l’importance pour le croyant de rester attacher au vrai cep qui symbolise le Christ, cela pour porter du fruit en abondance. Les fruits, étant à l’image de la relation entre le sarment et le plant principal par la sève qui circule entre les deux, peuvent faire référence à beaucoup d’autres passages bibliques comme celui des fruits de l’Esprit en Galate 5 verset 22.

Pour saint Augustin, les sarments sont dans la vigne afin de recevoir d’elle leur principe de vie. Les humains doivent rester attacher aux vertus données, à la parole transmise par le Christ afin de donner des fruits sains. Benoît XVI dans un commentaire, aborde le sujet de la liberté et des préceptes divins. Mélanger les deux ne sont pas incompatible. Il faut écouter Dieu et il nous donnera la force pour créer et marcher dans notre chemin. La récolte spirituelle sera alors abondante.

De l’Évangile de Jésus Christ selon Matthieu

En ce temps-là, Jésus disait à ses disciples : « Méfiez-vous des faux prophètes qui viennent à vous déguisés en brebis, alors qu’au-dedans ce sont des loups voraces.  C’est à leurs fruits que vous les reconnaîtrez. Va-t-on cueillir du raisin sur des épines, ou des figues sur des chardons C’est ainsi que tout arbre bon donne de beaux fruits, et que l’arbre qui pourrit donne des fruits mauvais.  Un arbre bon ne peut pas donner des fruits mauvais, ni un arbre qui pourrit donner de beaux fruits. Tout arbre qui ne donne pas de beaux fruits est coupé et jeté au feu.  Donc, c’est à leurs fruits que vous les reconnaîtrez. »     (Mt 5,15-20)

Sommaire de la foi

Pour marcher sûrement dans le chemin de la vérité, il faut se garder des séductions de l’erreur. Qui étaient, dans la pensée de Jésus, les faux prophètes ? C’étaient, en première ligne, les docteurs de la loi, les pharisiens, les chefs des prêtres, qui, semblables à leurs devanciers (Jr 28), entraînaient le peuple à sa ruine (Lc 6, 26) Mais le Seigneur voyait plus loin encore que le moment présent ; il savait que dans son Église aussi se lèveraient de faux docteurs prétendant parler au nom de Dieu. Jésus pensait à ce péril futur.

En vêtements de brebis, avec l’apparence de la douceur, de l’innocence, de la vérité, mais au dedans, considérés de l’intérieur, selon leur vraie nature, ils sont des loups ravissants ou rapaces, qui enlèvent et dévorent les brebis. L’erreur n’est pas toujours facile à discerner d’avec la vérité. Jésus donna une marque à laquelle on put reconnaître les faux prophètes : leurs fruits. Il ne faut pas entendre par là, avec Calvin et d’autres, uniquement la doctrine, puisque c’est là précisément ce qu’il s’agit de reconnaître.

Les fruits ce sont, d’une part, les conséquences pratiques des doctrines annoncées, conséquences qui ne tardent pas à se manifester dans les églises ; et d’autre part la vie, l’esprit de ceux qui les annoncent. Non que les faux docteurs soient nécessairement des hommes impies ou immoraux et les vrais docteurs des saints, mais le discernement spirituel ne se trompe guère sur les caractères essentiels de la vie chrétienne.

Les épines ne produisent pas des raisins, ni les chardons des figues. C’est ainsi que tout arbre, bon ou mauvais, se reconnaît à ses fruits. Et ce principe s’applique aussi bien à ceux qui professent la vérité qu’aux défenseurs de l’erreur. «La bonté de l’arbre même, c’est la vérité et la lumière interne, la bonté des fruits, c’est la sainteté de la vie. Si les fruits étaient la doctrine, aucun orthodoxe ne pourrait être damné.» Bengel

Diacre Michel Houyoux

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Lundi de la douzième semaine du Temps Ordinaire- Année Impaire

Posté par diaconos le 23 juin 2025

Hypocrite, enlève d'abord la poutre de ton œil et alors tu verras assez clair pour enlever la paille de l'œil de ton frère.

Hypocrite, enlève d’abord la poutre de ton œil et alors tu verras assez clair pour enlever la paille de l’œil de ton frère.

      # L’amour désigne un sentiment intense d’affection et d’attachement envers un être vivant ou une chose qui pousse ceux qui le ressentent à rechercher une proximité physique, intellectuelle ou même imaginaire avec l’objet de cet amour. L’amour éprouvé pour une autre personne peut conduire à adopter un comportement particulier et aboutir à une relation amoureuse si cet amour est partagé. En tant que concept général, l’amour renvoie la plupart du temps à un profond sentiment de tendresse et d’empathie envers une personne.

Toutefois, même cette conception spécifique de l’amour comprend un large éventail de sentiments différents, allant de la passion amoureuse et de l’amour romantique, à la tendre proximité sans sexualité de l’amour familial ou de l’amour platonique et à la dévotion spirituelle de l’amour religieux. L’amour sous ses diverses formes agit comme un facteur majeur dans les relations sociales et occupe une place centrale dans la psychologie humaine, ce qui en fait également l’un des thèmes les plus courants dans l’art.

Aimer renvoie à une grande variété de sentiments, d’états et de comportements, allant d’un plaisir général lié à un objet ou à une activité ; j’aime le chocolat, j’aime danser à une attirance profonde ou intense pour une personne ou plusieurs personnes. Cette diversité d’emplois et de significations du mot le rend difficile à définir de façon unie et universelle, même en le comparant à d’autres états émotionnels. Le terme amour recouvre quatre sentiments distincts de la Grèce antique : l’éros, la philia, l’agapè et la storgê.

La storgê est l’amour entre parent et enfant, particulièrement l’amour mère-enfant. La philia se rapproche de l’amitié telle qu’on l’entend aujourd’hui, c’est une forte estime réciproque entre deux personnes de statuts sociaux proches, qui mène aussi à l’entraide. Elle ne pouvait exister à l’époque qu’entre deux personnes du même sexe, du fait de l’inégalité entre les sexes. L’agapè est l’amour du prochain proche de l’altruisme aujourd’hui, le don désintéressé. Il se caractérise par sa spontanéité, ce n’est pas un acte réfléchi ou une forme de politesse, mais une réelle empathie pour les autres qu’ils soient inconnus ou intimes.

Dans la tradition chrétienne des pères de l’Église, ce mot est assimilé au concept de charité, bien que celui-ci soit plus proche d’une relation matérielle établie avec des personnes en souffrance. L’agapè originelle ne revêt pas cette connotation morale de responsabilité devant une autorité divine. L’éros, lui, est l’amour au sens d’être amoureux, l’amour des poètes pour ainsi dire.

De l’Évangile de Jésus Christ selon Matthieu

En ce temps-là, Jésus disait à ses disciples : « Ne jugez pas, pour ne pas être jugés ; de la manière dont vous jugez, vous serez jugés ; de la mesure dont vous mesurez, on vous mesurera. Quoi ! tu regardes la paille dans l’œil de ton frère ; et la poutre qui est dans ton œil, tu ne la remarques pas ?
Ou encore : Comment vas- tu dire à ton frère : “Laisse- moi enlever la paille de ton œil”, alors qu’il y a une poutre dans ton œil à toi ? Hypocrite ! Enlève d’abord la poutre de ton œil ; alors tu verras clair pour enlever la paille qui est dans l’œil de ton frère. » (Mt 7,1-5)

Aimer ceux qui nous haïssent

Jésus annonça à ses disciples qu’ils seront haïs et outragés, puis il prononça des malédictions sur le monde ennemi de Dieu. Ses auditeurs conclurent qu’il leur était permis de haïr leurs ennemis. Jésus, en se tournant vers eux, prévint leur pensée par ces mots : «Mais je vous dis, à vous qui écoutez.» Il revint, des riches absents, à ses auditeurs réels. Certaines personnes ces mots : vous qui écouter dans un sens moral : vous qui êtes dociles à mes enseignements. Ce sens est moins simple.

Jésus énonça ce précepte profond qui dépasse les forces de l’homme naturel : aimer ceux qui    nous haïssent. Ce commandement de l’amour, qui ne peut être accompli que sous la loi nouvelle de l’Évangile, est motivé d’une manière différente dans Matthieu, où il se trouve directement opposé à l’esprit de la loi ancienne et rattaché à l’amour des enfants de Dieu pour leur Père céleste.

Dans l’évangile selon Matthieu, Jésus nomma ces deux vêtements dans l’ordre inverse : si quelqu’un veut t’ôter la tunique, laisse-lui aussi le manteau. Il supposa un créancier qui saisit la tunique, de moindre valeur, puis, s’il ne fut pas assez payé, réclama le manteau.

«Et si vous prêtez à ceux de qui vous espérez recevoir, quel gré vous en aura-t-on ? Les pécheurs aussi prêtent aux pécheurs, afin de recevoir la pareille.» (Lc 6, 34) Aimer, faire le bien, prêter, sans rien espérer, c’est agir dans l’esprit et l’amour de Dieu lui-même, c’est prouver à nous-mêmes et aux autres que nous sommes ses enfants.

 Tel est l’exemple divin que Jésus proposa pour nos rapports avec les ingrats et les méchants. Jésus proposa à ses disciples. Le but vers lequel ils devaient tendre constamment en étant miséricordieux comme lui ; et ce sera là leur grande récompense.

Matthieu termina la première partie de son discours par une pensée analogue, mais exprimée preuve de cette miséricorde de Dieu égale pour tous qu’il fait lever son soleil et répand les pluies du ciel sur tous indistinctement.

La récompense promise à l’accomplissement de ces devoirs, c’est de n’être pas jugés, condamnés mais absous par Dieu lui-même. La mesure de son jugement est puisée dans le cœur de chaque personne. Cet esprit miséricordieux est toujours disposé à donner ; et par là même il s’attire, de la part de Dieu, les plus riches dons de sa grâce.

Diacre Michel Houyoux

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◊ paroisselandivisiau.fr cliquez ici pour lire l’article →  Lundi, 6ème Semaine du Temps Ordinaire — Année Impaire

◊ Catholique.org : cliquez ici pour lire l’article →Aimez vos ennemis, faites du bien à ceux qui vous haïssent

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Jeudi de la onzième semaine du Temps Ordinaire — Année Impaire

Posté par diaconos le 19 juin 2025

Pater Noster (latin) fait référence à « Notre Père », une prière chrétienne. Tous les homonymes découlent de celui-ci, par hommage (ville, monument, nom de famille octroyé à un enfant abandonné), par rappel de la prière (danger), par analogie avec la forme du chapelet qui commence par un Pater, ou indirectement d'une de ces formes (noms d'entreprises ou de produits, du nom du fondateur)

Pater Noster (latin) fait référence à « Notre Père », une prière chrétienne. Tous les homonymes découlent de celui-ci, par hommage (ville, monument, nom de famille octroyé à un enfant abandonné), par rappel de la prière (danger), par analogie avec la forme du chapelet qui commence par un Pater, ou indirectement d’une de ces formes (noms d’entreprises ou de produits, du nom du fondateur)

# Le Notre Père est une prière chrétienne à Dieu considéré comme le père des hommes. Il s’agit de la prière la plus répandue parmi les chrétiens, car, d’après le Nouveau Testament, elle a été enseignée par Jésus lui-même à ses apôtres. Prononcée par les catholiques et les orthodoxes en particulier durant chaque célébration eucharistique, par les anglicans pendant les offices divins, par les protestants luthériens et réformés à chaque culte, cette prière, appelée parfois « oraison dominicale », est, avec le sacrement du baptême, ce qui unit le plus fermement les différentes traditions chrétiennes.

Cela explique qu’elle soit dite lors des assemblées œcuméniques. Selon le Nouveau Testament, Jésus, en réponse à une question des disciples sur la façon de prier, leur déclare : «Quand vous priez, dites: Notre Père» Le texte se trouve, avec quelques variantes, dans les évangiles selon Matthieu (6, 9-13) et selon Luc (11, 2-4). En Matthieu, la prière, qui est mentionnée à la suite du Sermon sur la montagne, comprend sept versets ; en Luc, elle n’en compte que cinq.

 Le Notre Père se compose de deux parties. Il présente au début des points communs avec le Kaddish juif (prière de sanctification du Nom de Dieu) puis s’en écarte en reprenant des extraits d’autres textes juifs, notamment celui de la Amida juive (prière de bénédictions).

Le Notre Père est inspiré en grande partie de plusieurs prières juives, en particulier le Kaddish et la Amida, et d’autres textes juifs existant au temps de Jésus de Nazareth. Dans l’Ancien Testament comme dans la tradition orale du judaïsme, Dieu est le « Père » des hommes, notamment dans la Torah ; « Vous êtes les fils de l’Éternel votre Dieu », Dt 14, 1) et chez les prophètes : « Dieu te dit : je veux te faire une place parmi mes enfants. Tu m’appelleras : mon Père, et tu ne t’éloigneras plus de moi » (Jr 3, 20).

 Colette Kessler rappelle que ce Père qui est au ciel est invoqué dans les bénédictions qui précèdent le Sheema Israël : « Notre Père, notre Roi, enseigne-nous ta doctrine », avec la formule : « Notre Père, Père miséricordieux » Dans la Amida, prière dite trois fois par jour tout au long de l’année, Dieu est appelé Père à deux reprises : « Fais nous revenir, notre Père, vers la Torah », et : « Pardonne-nous, notre Père, car nous avons péché contre toi.»

 Le Kaddishprière de sanctification, unit le nom de Dieu et son Règne dans les deux premières demandes. Ces deux demandes : « Que soit magnifié et sanctifié Son grand Nom » et « Qu’il fasse régner Son Règne », correspondent aux deux premières demandes du Notre Père : « Que ton règne vienne » et « Que ton nom soit sanctifié ».

De l’Évangile de Jésus Christ selon Matthieu

En ce temps-là, Jésus disait à ses disciples : « Lorsque vous priez, ne rabâchez pas comme les païens : ils s’imaginent qu’à force de paroles ils seront exaucés. Ne les imitez donc pas, car votre Père sait de quoi vous avez besoin, avant même que vous l’ayez demandé. Donc, lorsque vous priez, priez ainsi : Notre Père, qui es aux cieux, que ton nom soit sanctifié, que ton règne vienne, que ta volonté soit faite sur la terre comme au ciel.

  Donne-nous aujourd’hui notre pain de ce jour. Remets-nous nos dettes, comme nous-mêmes nous remettons leurs dettes à nos débiteurs. Et ne nous laisse pas entrer en tentation, mais délivre-nous du Mal. Car, si vous pardonnez aux hommes leurs fautes, votre Père céleste vous pardonnera aussi. Mais si vous ne pardonnez pas aux hommes, votre Père non plus ne pardonnera pas vos fautes. »  (Mt 6, 7-12)     

Modèle et efficacité de la prière

Luc assigne à la prière du Seigneur une place tout autre que Matthieu. Selon ce dernier, elle fait partie du sermon sur la montagne, tandis que, d’après notre évangéliste, elle fut enseignée plus tard à la demande expresse d’un disciple. Un grand nombre d’excellents exégètes (Calvin, Ebrard, de Wette, Olshausen, Neander, Godet) conclurent que Matthieu, selon son habitude de grouper certains enseignements homogènes du Sauveur, avait librement introduit cette prière dans le discours sur la montagne, tandis que Luc lui assigna sa vraie place. Cette opinion peut s’appuyer sur plus d’un fait semblable. Mais fut-il vrai que cette prière fut déplacée dans le sermon sur la montagne ?

Dans ces instructions sur les diverses manifestations de la piété, l’aumône, la prière, le jeûne, après avoir condamné les prières hypocrites, faites avec ostentation et en usant de vaines redites, n’était-il pas tout naturel que Jésus ajoutât : «Vous, mes disciples, priez ainsi » et que, au milieu de la foule qui l’entourait, les yeux levés vers le ciel, il prononçât d’un ton pénétré cette prière si profonde dans sa simplicité, si riche dans sa brièveté ? Nul n’en aurait jamais douté, sans le récit de Luc qui nous occupe.

Mais ce récit nous oblige-t-il à rejeter celui de Matthieu ? Nullement, à moins qu’on n’admette que jamais Jésus n’ait pu, en des circonstances différentes, redire quelques-unes de ses paroles les plus importantes. Or, les évangiles nous présentent des exemples nombreux de paroles prononcées à diverses reprises. Pourquoi Jésus n’aurait-il pas répondu à ce disciple qui lui demandait de lui enseigner à prier, en répétant cette admirable prière, qu’il présente du reste dans une forme différente et quelque peu abrégée ?

Ainsi l’ont admis Tholuck, Meyer, Stier, Gess et d’autres, qui voient une confirmation de leur opinion dans le fait que Matthieu seul nous a conservé dans sa plénitude cet inimitable modèle de prière. La formule de Luc présente, en outre, quelques expressions qui diffèrent du texte de Matthieu. Ainsi : « Donne-nous chaque jour, au lieu d’aujourd’hui, notre pain quotidien ». Le terme de Luc peut s’étendre à l’avenir, tandis que celui de Matthieu limite la demande au jour présent.

Luc dit : « Remets-nous nos péchés», au lieu de nos dettes, terme qui, même dans Matthieu, ne peut naturellement s’entendre que des péchés dont nous demandons le pardon ; mais Luc conserve la même image dans ces mots : à quiconque nous doit. Matthieu motiva cette demande de pardon en disant : comme nous remettons, Luc : car nous remettons. Il ne voulut pas dire qu’en pardonnant aux autres nous méritions le pardon de Dieu.

La tournure employée suppose, suivant Monsieur Godet, un raisonnement semblable à celui que nous trouvons au verset « Si vous qui êtes mauvais combien plus le Père céleste » De même ici : « Pardonne-nous nos péchés, toi la Miséricorde suprême, puisque nous aussi, tout mauvais que nous sommes, nous pardonnons ».L’expression absolue : à quiconque nous doit, ne s’accorde pas bien avec cette explication. Elle montre que le motif ajouté à la requête est un vœu, une résolution prise pour l’avenir et par laquelle celui qui prie manifeste des dispositions qui le rendent propre à recevoir le pardon de Dieu.

Jésus enseigna l’efficacité de la prière, soit par des analogies, soit par des contrastes, Quant à l’exhortation, c’est le solliciteur lui-même qui nous la fait entendre par son exemple : Puisque, dans les circonstances les plus défavorables, mais pressés par vos besoins, vous ne craignez pas d’importuner avec insistance un homme que vous savez si peu généreux, pourquoi ne faites-vous pas de même envers Dieu qui, dans sa miséricorde infinie, est toujours prêt à vous accorder bien au-delà de toutes vos prières.

Diacre Michel Houyoux

Liens avec d’autres sites chrétiens

 

Paul Calzada : cliquez ici pour lire → Comment améliorer l’efficacité de nos prières ?

EMCI TV → Les 11 attributs de la prière efficace

Vidéo Joyce Meyer → https://youtu.be/HMOielB4Y5I

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