Ventiseiesima domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Posté par diaconos le 26 septembre 2023

Ventiseiesima domenica del Tempo Ordinario - Anno A dans articles en Italien

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo


In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo : «Che ve ne pare ? Un uomo aveva due figli.» Si avvicinò al primo figlio e gli disse : «Figlio, oggi vai a lavorare nella vigna». Egli rispose: « Non lo farò ». Ma poi si pentì e andò. Poi il padre andò dal secondo figlio e gli parlò allo stesso modo.

 

Quest’ultimo rispose : «Si, Signore e non andò. Chi dei due ha fatto la volontà del padre ?». Gli risposero : «Il primo». Gesù disse loro : «In verità vi dico che gli esattori delle tasse e le prostitute vi precederanno nel regno di Dio. Perché Giovanni Battista è venuto a voi sulla via della giustizia e voi non avete creduto alla sua parola, ma gli esattori delle tasse e le prostitute sì. Ma voi, dopo aver visto questo, non vi siete nemmeno pentiti e non avete creduto alla sua parola.» (Mt 21, 26-32)


Andate a lavorare nella mia vigna oggi


Questo racconto del Vangelo di Matteo parla di un figlio che dice sì e non lo fa, e di un altro figlio che dice no e lo fa. «Un uomo aveva due figli. Si avvicinò al primo figlio e gli disse : ‘Figlio, oggi vai a lavorare nella mia vigna’. Egli rispose : « Non voglio ». Ma poi si pentì e andò » (Mt 21, 29). 

Raccontandoci questa brevissima storia, Gesù vuole mostrarci solo una persona che cambia comportamento, una persona che si converte. Questa è una rivelazione molto importante e confortante per tutti noi: qualunque sia il nostro passato, qualunque siano i nostri precedenti rifiuti, il cambiamento è sempre possibile.


Nel nostro mondo, una persona viene definitivamente classificata in base al suo passato; se è cattiva, non le viene data alcuna possibilità di rifarsi una vita. Dio, invece, crede nella nostra libertà; crede che possiamo cambiare da cattivi a buoni e da buoni a migliori.


Gesù non rinchiude mai nessuno nel suo passato. Gesù dà a tutti una possibilità, anche ai più peccatori. Non ci blocca, ci offre sempre la possibilità di un nuovo inizio. Grazie, Signore, per questa speranza che riponi in noi.


Il padre disse la stessa cosa al secondo figlio. Il figlio rispose : «Sì, Signore». E Gesù ci pone questa domanda : «Chi dei due ha fatto la volontà del Padre ? Il primo, è ovvio ! Non possiamo rispondere diversamente.» Sono le nostre azioni che contano, non le nostre intenzioni ! Ma non giudichiamo gli altri.

Questo secondo figlio di cui parla Gesù è molto spesso come noi. Alcuni dicono, ad esempio, di essere credenti ma non frequentatori della chiesa. Un altro esempio: diciamo Sì a Dio e No con le nostre azioni! Non è logico.


Un terzo esempio : nella nostra preghiera a Dio, diciamo : vgenga il tuo regno, sia fatta la tua volontà. I nostri comportamenti corrispondono a queste belle dichiarazioni ?  « Non sono quelli che dicono Signore, Signore… che entreranno nel regno dei cieli, ma quelli che fanno la volontà del Padre mio che è nei cieli » (Mt 7, 21). E Giovanni, il discepolo che Gesù amava, ha tradotto : « Non amiamo a parole o con la lingua, ma con i fatti e nella verità » (Gv 3, 18).


Ancora una volta, attraverso i contemporanei di Gesù, siamo sfidati : è sempre Dio che ci chiede di dirgli Sì con la nostra fede attiva. E questo Sì della nostra fede è spesso l’inizio di una conversione : «Va’ e lavora oggi nella mia vigna !» Dio dice a ciascuno di noi questa mattina : « Va’ e lavora nella mia vigna !» Non fare come il figlio che ha detto sì e poi non ha fatto nulla. Sii piuttosto come colui che ha detto di no e si è messo al lavoro, pentendosi di aver detto di no.


Ma è ancora meglio che tu mi dica di sì e che metta in pratica il tuo sì. Tutti noi possiamo diventare buoni operai nella vigna di Dio. Dio non dirà mai : « Ne ho abbastanza di te, mi arrendo con te, fai quello che vuoi, non voglio più vederti ». . (Mt 21, 28-32)


Il diacono Michel Houyoux


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Associazone Ma donna di Fatima : clicca qui per leggere l’articolo →XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

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Venticinquesima domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Posté par diaconos le 20 septembre 2023

Ouviers-de-la-11ème-heure

# Gli operai dell’undicesima ora è una parabola del Vangelo secondo Matteo. Appartiene al suo Sondergut. L’undicesima ora si riferisce a un antico metodo di calcolo delle ore che iniziava con il sorgere del sole e divideva il giorno in dodici parti.

La parabola riguarda un proprietario terriero che paga anche i suoi vari dipendenti, indipendentemente dall’ora in cui iniziano a lavorare. Questa parabola potrebbe significare che la generosità di Dio supera la nostra giustizia. Infatti, associamo il proprietario della vigna a Dio.


Il rapporto di Dio con noi non è uguale a quello del padrone con i suoi operai. Tra i primi cristiani, quelli di origine ebraica potevano rimanere scioccati nel vedere peccatori e pagani come loro chiamati nella comunità cristiana. Questa parabola serviva a placare il risentimento che poteva nascere da questa situazione.

Origene paragonava la vite alla Chiesa e il padrone a Cristo. Sant’Agostino, nel suo sermone 87 intitolato: Le ore della storia della salvezza, dice : « I giusti che vennero al mondo per primi, come Abele e Noè, furono per così dire chiamati alla prima ora, e otterranno la felicità della risurrezione nello stesso

momento in cui la otterremo noi ».

Gli altri giusti che vennero dopo di loro, Abramo, Isacco, Giacobbe e tutti quelli che vivevano a quel tempo, furono chiamati all’ora terza, e otterranno la felicità della risurrezione alla stessa ora di noi. Lo stesso è avvenuto per gli altri giusti,

Mosè, Aronne e tutti coloro che sono stati chiamati con loro all’ora sesta; poi i successivi, i santi profeti, chiamati all’ora nona, hanno assaporato la stessa felicità che abbiamo noi. Tutti i cristiani sono chiamati all’undicesima ora; alla fine del mondo otterranno la felicità della risurrezione con coloro che li hanno preceduti.


Tutti la riceveranno insieme. Ma vediamo quanto tempo i primi aspetteranno prima di arrivarci. Così loro la riceveranno dopo molto tempo, e noi dopo poco tempo. Anche se dobbiamo riceverla insieme agli altri, possiamo dire di essere i primi, perché la nostra ricompensa non tarderà ad arrivare.

John Ruskin utilizzò questa parabola nel suo saggio Unto This Last per criticare il pagamento dei lavoratori in base al lavoro e per sostenere il pagamento in base al bisogno di vita del lavoratore, indipendentemente dal reale contributo del suo lavoro alla ricchezza del datore di lavoro.


Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo


In quel tempo, Gesù parlò ai suoi discepoli con questa parabola : « Il regno dei cieli è simile a un uomo che uscì di buon mattino per assumere operai per la sua vigna. concordò con loro il salario per la giornata: un denario, cioè una moneta d’argento, e li mandò nella sua vigna.

Quando uscì, verso le nove, vide altri che stavano in piazza senza far nulla. Allora disse loro : « Andate anche voi nella mia vigna e vi darò ciò che è giusto ». Così andarono. E uscì di nuovo verso mezzogiorno, e di nuovo verso le tre, e fece lo stesso. Verso le cinque uscì di nuovo, trovò altri che stavano lì e disse loro : « Perché siete stati lì tutto il giorno a non fare niente ?

Risposero : « Perché nessuno ci ha assunti ». Disse loro : « Andate anche voi nella mia vigna ». Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo amministratore : « Chiama gli operai e distribuisci loro il salario, cominciando dall’ultimo e finendo con il primo ».


Quelli che avevano iniziato alle cinque si fecero avanti e ricevettero ciascuno un soldo. Quando fu il turno dei primi operai, pensavano di ricevere di più, ma anche loro ricevettero un soldo ciascuno. 
Quando la ricevettero, si lamentarono con il padrone della tenuta : « Queste persone, le ultime arrivate, hanno lavorato solo per un’ora, e tu le tratti come tratti noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il calore !

Ma il padrone rispose a uno di loro : « Amico mio, non sono ingiusto con te. Non ti sei accordato con me per un denario ? Prendi ciò che è tuo e vai.Voglio dare all’ultimo uomo quanto a te: non ho forse il diritto di fare ciò che voglio dei miei beni ? O i vostri occhi sono cattivi perché io sono buono? Gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi » (Mt 20, 1-16).


Chiamata di operai a lavorare nella vigna del Signore

Il denario romano era una delle monete fondamentali dei Romani. Si trattava di una moneta d’argento che pesava tra i 3 e i 4 grammi, a seconda del periodo. I primi denari romani apparvero alla fine del III secolo a.C., in seguito alla svalutazione dell’asso in seguito alle guerre puniche.

L’asso era una moneta di bronzo o di rame dell’antica Roma. Il suo peso e il suo aspetto cambiarono notevolmente nel corso dei secoli. All’epoca di Jesàs, un denario (4,4 euro) era il prezzo di una giornata di lavoro per un bracciante. Questo salario era concordato tra il padrone e i lavoratori.

La giornata ebraica iniziava alle sei del mattino, quindi la loro terza ora era alle nove. L’agorà era il luogo pubblico dove si riuniva il popolo e dove gli operai cercavano la lode. Nel senso letterale della parabola, questi operai erano davvero lì a non fare nulla, oziosi. Nella vita, si può essere oziosi anche nel mezzo della più grande attività, se il proprio lavoro non ha nulla a che fare con il regno di Dio.

Andarono senza indugio, fidandosi della parola del loro maestro. A mezzogiorno e alle tre il maestro chiamò altri operai. Verso l’undicesima ora, le cinque di sera, molto vicino alla fine della giornata, c’erano ancora operai che non facevano nulla, avendo sprecato la maggior parte della giornata.

Non era colpa loro. Quante migliaia di uomini vivono in mezzo alla cristianità senza aver mai sentito la chiamata del Vangelo! Così questi operai furono invitati a lavorare nella vigna durante l’ultima ora del giorno.

La giornata ebraica iniziava alle sei del mattino, quindi la loro terza ora era alle nove. L’agorà era il luogo pubblico dove si riuniva il popolo e dove gli operai cercavano la lode. Nel senso letterale della parabola, questi operai erano davvero lì a non fare nulla, oziosi. Nella vita, si può essere oziosi anche in mezzo alla folla.

Cominciare dagli ultimi significava mostrare il tema dell’intera parabola: nel regno di Dio, tutto è grazia. Dicendo : « Questi ultimi hanno lavorato un’ora sola e tu li hai trattati come hai trattato noi, che abbiamo sopportato il peso del giorno e del caldo » (Mt 20,12).

Avevano concordato con il padrone, che lo ricordava in modo significativo, e avevano appena sottolineato la differenza tra il loro lavoro e quello degli operai dell’undicesima ora, per stabilire il loro diritto a ricevere di più.


La risposta del padrone, basata su questo stesso diritto, fu senza replica: niente di male, siete d’accordo, ciò che è vostro. Il termine « amico » o « compagno » non esprimeva né affetto né rigore. « Così gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi ». (Mt 20,16)

Questa frase, ripetuta solennemente, presenta la sintesi e il significato profondo di tutta la parabola. Ricordando con un certo compiacimento di aver lasciato tutto per seguire Gesù, Pietro aveva chiesto una ricompensa (Mt 19, 12)

Stava cedendo a un sentimento falso e pericoloso, quello della propria giustizia. In un primo momento, Gesù gli diede una risposta incoraggiante, perché in fondo il discepolo era sincero e pieno di amore per il suo Maestro; ma a questa risposta aggiunse un serio avvertimento che volle rendere più impressionante con il drammatico racconto che segue.

Come è sorprendente ! Il padrone che chiama gli operai è Dio, che ha un diritto assoluto su di loro e che, chiamandoli, fa loro una grazia immensa. Infatti, la vigna a cui li manda è il suo bellissimo regno di verità, giustizia e pace. Gli operai che hanno il privilegio di lavorarvi non sono solo i medici o i pastori, ma tutti coloro che sentono la chiamata e vi si recano.

Le diverse ore del giorno sono le diverse età della vita umana o i diversi periodi della storia del regno di Dio. Il lavoro è tutto ciò che si fa per il bene dell’umanità, per il progresso del regno di Dio. La sera è la fine della vita o la fine dell’economia attuale, il ritorno di Cristo, l’amministratore divino che presiede alla retribuzione.

Infine, il denario è la salvezza, la vita eterna che, essendo di valore infinito e sproporzionato al lavoro degli operai, non può che essere una grazia. In questo senso, c’è uguaglianza tra tutti, ma ecco la differenza: il denario può avere un valore infinitamente diverso a seconda della disposizione interiore di chi lo riceve, cioè a seconda della sua capacità morale di godere della vita del cielo.

In questo caso, coloro che sono stati i primi a lavorare potrebbero essere gli ultimi. E anche se Gesù non li esclude, poiché concede loro il denario pattuito, essi rischiano di escludersi da soli, se dovessero prevalere i sentimenti che esprimono nella parabola.

D’altra parte, coloro che hanno capito che, nel regno di Dio, tutto è grazia – la chiamata, il lavoro, la ricompensa – e che si sono affidati alla parola del maestro, hanno potuto essere i primi, anche se sono stati gli ultimi a lavorare.

Gli esegeti che, basandosi su C, D, Itala e Siriaco, ammiravano queste parole come autentiche, non sapevano come interpretarle. Meyer fece loro capire che tra coloro che erano nel regno di Dio, erano pochi quelli scelti per essere i primi.


Il diacono Michel Houyoux


Supplementi

Conferenza episcopale Italia XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno A

Qumran testi XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) – Testi

Vidéo Padre Fernando Armellni https://youtu.be/Wkx2r-wxMFE


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Ventiquattresima domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Posté par diaconos le 14 septembre 2023

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Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo


In quel tempo, Pietro venne da Gesù e gli chiese : « Signore, quando il mio fratello fa del male a me, quante volte devo perdonargli ? Fino a sette volte ? ». Gesù rispose : « Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Così il regno dei cieli è come un re che voleva regolare i conti con i suoi servi. Stava per farlo, quando gli fu portato qualcuno che gli doveva diecimila talenti (cioè sessanta milioni di monete d’argento).« 

Poiché l’uomo non aveva denaro per ripagare il debito, il padrone ordinò che fosse venduto, con la moglie, i figli e tutti i suoi beni, per saldare il debito. Il servo cadde ai suoi piedi, si prostrò e disse : « Abbi pazienza con me e ti restituirò tutto ». Mosso a compassione, il padrone del servo lo lasciò andare e gli condonò il debito.

 Ma quando il servo uscì, trovò uno dei suoi compagni che gli doveva cento monete d’argento.

Gli si gettò addosso e lo strangolò, dicendo : « Restituisci il tuo debito ! » Allora il suo compagno cadde ai suoi piedi e lo pregò : « Abbi pazienza con me e ti restituirò il denaro » Ma l’altro rifiutò e lo fece gettare in prigione finché non avesse restituito il dovuto. Quando i suoi compagni se ne accorsero, ne furono profondamente rattristati e andarono a raccontare l’accaduto al loro padrone, che allora lo chiamò e gli disse : « Servo malvagio, ti ho dato tutto quel debito perché mi hai pregato. »

Non avresti dovuto, a tua volta, avere pietà del tuo compagno, come io avevo avuto pietà di te ? In preda all’ira, il padrone lo consegnò ai carnefici finché non avesse restituito tutto ciò che doveva. Così vi tratterà il Padre mio che è nei cieli, se ciascuno di voi non perdonerà al proprio fratello dal profondo del cuore.

Questa ventiquattresima domenica del Tempo Ordinario, la Domenica del Perdono, ci mette di fronte alla realtà profondamente umana e genuinamente cristiana del perdono. Ci incoraggia a riflettere sugli ostacoli al perdono e sui percorsi che ci portano ad esso. Prima o poi nella vita si pone la questione del perdono.

 Perché prima o poi qualcuno vi ferisce in un modo o nell’altro. Rancore e rabbia ! Siamo su un terreno familiare e sulla strada della vita quotidiana. Il rancore è una pianta ben curata i cui frutti di rabbia e vendetta si presentano stagione dopo stagione !  Rancore e rabbia verso le persone, rabbia di far pagare a caro prezzo l’offesa ricevuta o il danno causato.

Non dimenticherò mai! La pagherà. Guai a chi ferisce la nostra vanità, getta un’ombra sulla nostra immagine, tocca i beni che si attaccano alla nostra pelle ! Il perdono è impossibile! Per un problema di recinzione, è la tensione… C’è tanto risentimento tra genitori, figli, coniugi, vicini di casa e colleghi di lavoro.

Persino alle porte delle chiese, vediamo persone che si rifiutano di salutarsi, ma cantano insieme il Padre Nostro che li condanna : « Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori ».

 Due secoli prima di Gesù Cristo, Ben Sirach, il Saggio (Prima Lettura), che osservò a lungo la persona umana e contemplò altrettanto a lungo Dio, arrivò rapidamente a vedere tre grandi nemici del perdono: risentimento, rabbia e vendetta, e ricordò ai suoi lettori due profonde verità che sono ancora molto attuali. Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori !

 In primo luogo, non trattenete nel vostro cuore tutti quei sentimenti negativi chiamati odio, risentimento, desiderio di vendetta, rabbia e rifiuto di perdonare. Se conservate questi veleni nel vostro cuore, come potete contare sul perdono degli altri e come potete cercare il perdono di Dio ? 

A tutti questi nemici della pace dentro di voi e con gli altri, Ben Sirac ha una sola parola : « Perdona… se vuoi essere perdonato dal tuo Dio ». Perdona al tuo prossimo il male che ti ha fatto ; allora, alla tua preghiera, i tuoi peccati saranno perdonati.

La domanda di Pietro al Signore era quanto mai attuale : « Quando il mio fratello mi fa del male, quante volte devo perdonargli ? Pietro suggerì a Gesù un numero:  » Fino a sette volte ? Gesù rifiutò di entrare nei suoi calcoli. Questo è il significato della sua risposta : « Fino a settanta volte sette ! »Questa è la giustificazione di Gesù per il perdono illimitato : « Dovete perdonare sempre ! ».

Quando si tratta di Dio, siamo tutti nella stessa situazione del servo che deve al suo padrone una somma fantastica di denaro. Per amore incomprensibile, Dio ci ha perdonato questo debito. Eppure, quando dobbiamo perdonare, esitiamo e molto spesso ci accontentiamo di contrattare o rifiutare. Eppure, a Messa, cantiamo : « Signore, abbi pietà di noi », mentre troppo spesso abbiamo poca pietà degli altri !

 Dio perdona con la stessa pazienza e generosità del re di cui parla Gesù nella parabola. Il suo perdono, però, presuppone che la lezione abbia portato frutto in noi. Sta anche a noi capire e avere misericordia, perdonare e condonare i debiti dei nostri fratelli e sorelle. « Perdonaci come noi perdoniamo i nostri debitori ».


Il Diacono Michel Houyoux

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Siti interessanti da vedere su Internet


Qumran : clicca qui per lezggere l’articolo XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

 Conferenza Episcopale Italiana →XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO A

  VideoPadre Fernando Pellugrini24a Domenica del Tempo Ordinario anno A – YouTube

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Ventitreesima domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Posté par diaconos le 5 septembre 2023

immagini dal blog del diacono Michel Houyoux

# Nel cristianesimo, la correzione fraterna è un processo di spiegazione da parte di un cristiano nei confronti del fratello, nel caso in cui quest’ultimo pecchi. Questo approccio è descritto nel Vangelo secondo Matteo : « Se tuo fratello pecca, va’ da lui e rimproveralo, uno per uno. Se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello. Se non vi ascolta, prendete con voi uno o due altri, perché ogni questione sia decisa sulla parola di due o tre testimoni ».

Se rifiuta di ascoltare, ditelo alla comunità. E se rifiuta di ascoltare anche la comunità, sia per voi come il pagano e il pubblicano. In verità vi dico: tutto ciò che legherete sulla terra sarà tenuto in cielo come legato, e tutto ciò che scioglierete sulla terra sarà tenuto in cielo come sciolto ». La correzione fraterna assume la forma della conversione. È una delle tante forme di penitenza della vita cristiana e può far parte del sacramento della penitenza e della riconciliazione. La correzione fraterna può essere preceduta da una fase di preghiera e deve mantenere l’anonimato di chi ha peccato, in modo da preservare l’onore. La correzione fraterna è spesso un dovere. Dio spiega al profeta Ezechiele che non avvertire un fratello che pecca mortalmente significa di fatto essere colpevole quanto lui (Ez 33,7-9). Più ancora del timore per la propria salvezza, o della più nobile preoccupazione per il bene comune, ciò che motiva la correzione fraterna è l’amore per il fratello.

Nel 2011, Papa Benedetto XVI ci ha ricordato l’importanza di praticare la correzione fraterna, sottolineando quanto l’amore fraterno includa un senso di responsabilità reciproca. Papa Francesco ci ha raccomandato di tenere a mente che se dovete correggere un piccolo difetto in un’altra persona, pensate prima di tutto che voi stessi avete difetti molto più grandi. Se non siete capaci di esercitare la correzione fraterna con amore, carità, verità e umiltà, correte il rischio di offendere e distruggere il cuore di quella persona, aggiungerete solo pettegolezzi che fanno male e diventerete un ipocrita cieco, come Gesù ha denunciato. Dobbiamo quindi prendere in disparte il nostro prossimo, con dolcezza e amore, e parlargli. Dobbiamo anche dire la verità e non dire cose non vere. La correzione fraterna non deve consistere nel giudicare o accusare, ma nell’aiutare. Non dobbiamo giudicare il comportamento del nostro fratello. Le parole di Cristo risuonano nella nostra coscienza: « Non giudicate, perché non siate giudicati… Che hai da guardare il neo che è nell’occhio del tuo fratello? E non ti accorgi della trave nel tuo occhio!

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli : « Se tuo fratello ha peccato contro di te, va’ e rimproveralo da solo. Se vi ascolterà, avrete vinto il vostro fratello. Se non ti ascolta, prendi con te una o due altre persone, in modo che l’intera questione possa essere risolta sulla parola di due o tre testimoni.

Se rifiuta di ascoltarli, ditelo alla Chiesa; se rifiuta ancora di ascoltare la Chiesa, consideratelo un pagano e un pubblicano. Amen, vi dico che tutto ciò che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. E allo stesso modo, amen, vi dico che se due di voi sulla terra sono d’accordo su qualsiasi cosa chiedano, la otterranno dal Padre mio che è nei cieli. Perché quando due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro ». (Mt 18, 15-20)

Rimprovero fraterno

Se il vostro fratello vi offende, andate ad avvertirlo in particolare; se si convince, avete conquistato il vostro fratello. In caso contrario, portate con voi alcuni testimoni ; se non li ascolta, ditelo alla Chiesa; se infine non ascolta la Chiesa, consideratelo estraneo a ogni comunione fraterna.

La Chiesa ha il potere di pronunciarsi in tutti questi casi, di legare e di sciogliere, perché agirà nello spirito della preghiera, che può ottenere tutto.

L’efficacia della preghiera

Qual è il nesso tra l’istruzione che inizia con queste parole : « Dove due o tre sono così riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro ? » Sono due aspetti dello stesso argomento: la carità non permette che i piccoli e i deboli siano scandalizzati o disprezzati ; quale condotta ispirerà a colui che, invece di fare un male simile, dovrà subirlo ?

Gesù ha descritto questo comportamento nelle sue varie fasi. Man mano che lo spiegava, generalizzava il suo pensiero e abbracciava tutto ciò che riguardava le relazioni reciproche tra fratelli della stessa comunità. Se uno pecca contro l’altro, lo offende, gli fa un torto, quest’ultimo deve prima andarsene, senza aspettare che il fratello venga da lui, per rimproverarlo, ammonirlo, fargli notare il suo torto, ma da solo con lui, un’importante condizione di prudenza e carità, il mezzo migliore per conquistarlo evitando di ferire la sua autostima

Tuttavia, le autorità su cui basiamo questa riduzione non sono decisive. Se fosse altrimenti, la domanda di Pietro sarebbe difficile da capire. Ottenere cosa? Alcuni hanno risposto : « Il tuo guadagno, avrai reso fratello colui che ti ha offeso, sarai riconciliato nell’amore ». Altri assegnano all’azione conciliante uno scopo più alto e interpretano : « Lo avrai conquistato a Dio, alla vita dell’anima, che rischiava di perdere ». Ma se non vi ascolta, prendete con voi una o due persone in più, in modo che ogni caso sia stabilito sulla parola di due o tre testimoni: questo è il secondo grado della riprovazione. Quale deve essere il ruolo dei testimoni ?

È indicato in queste parole : « Non basterà un solo testimone per opporsi a un uomo colpevole di un crimine, di una colpa o di un peccato, qualunque essi siano. Sarà necessaria la deposizione di due o tre testimoni per giudicare il caso ». (Dt 19,15)

Secondo Meyer, i testimoni devono registrare ogni parola dell’accusato per confermarla davanti alla Chiesa. Ma questo sarebbe un’invasione della terza fase, per cui Weiss pensava che i testimoni dovessero piuttosto sostenere la riprovazione con la loro autorità, cercando di convincere il fratello.

Il terzo stadio della riprovazione Gesù ha usato la parola Chiesa, e avrebbe potuto farlo, dato che alcuni discepoli riuniti intorno a lui formavano già una Chiesa. Con queste parole, egli guardava al futuro.

Con questo termine intendeva una Chiesa locale, un’assemblea di cristiani davanti alla quale si poteva portare una causa e trattarla fraternamente. Gesù aveva in mente un’assemblea di cristiani, alla quale attribuiva l’autorità necessaria per esercitare un atto di disciplina, perché presumeva che sarebbe stata animata dallo Spirito di Dio e illuminata dalla sua Parola, in base alla quale avrebbe giudicato.

Gesù autorizzò qualsiasi persona offesa che avesse fatto di tutto per vincere il fratello, a non avere più rapporti fraterni con colui che era indurito nella sua impenitenza. La carità, tuttavia, non può cessare, perché un cristiano ama anche un pagano e un peccatore.

L’autorità conferita a Pietro è conferita qui non solo agli anziani della Chiesa, ma alla Chiesa stessa, nella quale, secondo tutto il Nuovo Testamento, risiede il potere di giudicare le questioni riguardanti il suo governo, secondo la Parola e lo Spirito di Dio.

La Chiesa può, in certi casi, delegare i suoi poteri, ma essi le appartengono sotto la suprema autorità di Gesù Cristo. Questa seconda affermazione spiega e modifica profondamente la prima riguardante l’apostolo Pietro. Se due di voi sono d’accordo e pregano con una sola voce e un solo cuore, saranno ascoltati.

. Queste parole ci mostrano anche che la nozione cristiana di Chiesa non sta nei grandi numeri, o in tali e tante istituzioni, ma che due o tre credenti uniti nella preghiera sono una Chiesa, alla quale appartengono tutti i privilegi spirituali del più grande corpo ecclesiastico.

Infine, non dobbiamo limitare le parole di Gesù a questi due insegnamenti speciali sull’attività e la costituzione della Chiesa. Egli ha generalizzato il suo pensiero e lo scopo principale della sua affermazione è quello di renderci certa l’efficacia della preghiera in comune, in cui la fede di ciascuno è ravvivata dalla fede di tutti.

Questa efficacia è garantita dalla presenza di Gesù stesso in mezzo a coloro che sono riuniti nel suo nome. Questa presenza di Gesù Cristo in tutti i luoghi del mondo in cui si riuniscono i suoi discepoli è una magnifica dimostrazione della sua divinità.

Il diacono Michel Houyoux

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◊ Qumran →Testi – XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A

◊ La Paroma (Italia) → Video Marcello Tunasi → 23.a Domenica del Tempo Ordinario

Vidéo Padre Fernando Aremellini https://youtu.be/1AR3QtmJTDg?t=2

 

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